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Cosa cantano le mura di Minsk

Anna Zafesova

“Peremen” di Viktor Tsoy è l’inno della protesta bielorussa e di tutti i cambiamenti dell’est. Dalla perestrojka a oggi, la resistenza passa anche per la storia di un murale

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Togli murale, metti murale. Nella variopinta galassia della protesta bielorussa, dietro la prima linea dello scontro – sempre più duro – tra le donne vestite di bianco e i poliziotti antisommossa, sono in corso tante altre battaglie piccole e grandi. Un esercito di agenti della polizia e addetti comunali è impegnato nella lotta impari con le bandiere bianco-rosso-bianche della Bielorussia indipendente, sostituite da Aljaksandr Lukashenka con quelle rosso-verdi della Bielorussia sovietica: spuntano ovunque, vengono appese ai balconi, dipinte sulle facciate dei palazzi e sulle panchine, proiettate sulle pareti, disegnate sull’asfalto o formate da centinaia di nastrini colorati legati alle ringhiere. Per eliminarle vengono impiegati strumenti che vanno dalle forbici alle gru edili, ma tornano ogni sera, e gli abitanti del quartiere accorrono a difenderli, spesso avvertiti in segreto dagli stessi dipendenti comunali inviati a cancellarle.

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Togli murale, metti murale. Nella variopinta galassia della protesta bielorussa, dietro la prima linea dello scontro – sempre più duro – tra le donne vestite di bianco e i poliziotti antisommossa, sono in corso tante altre battaglie piccole e grandi. Un esercito di agenti della polizia e addetti comunali è impegnato nella lotta impari con le bandiere bianco-rosso-bianche della Bielorussia indipendente, sostituite da Aljaksandr Lukashenka con quelle rosso-verdi della Bielorussia sovietica: spuntano ovunque, vengono appese ai balconi, dipinte sulle facciate dei palazzi e sulle panchine, proiettate sulle pareti, disegnate sull’asfalto o formate da centinaia di nastrini colorati legati alle ringhiere. Per eliminarle vengono impiegati strumenti che vanno dalle forbici alle gru edili, ma tornano ogni sera, e gli abitanti del quartiere accorrono a difenderli, spesso avvertiti in segreto dagli stessi dipendenti comunali inviati a cancellarle.

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E’ una microguerra partigiana, quella tra il dittatore – che ieri ha prestato giuramento in segreto, senza fare nessun annuncio, si è nascosto in una Minsk blindata per celebrare l’inizio del suo mandato da presidente non eletto, non era mai successo  – e il suo popolo.  E  in un paese fiero della sua resistenza ai nazisti le reti della solidarietà clandestina sembrano nascere direttamente dalla memoria storica, come le chat in Telegram che dirigono i manifestanti nel gioco a nascondino con i “gestapo”, come vengono chiamati i poliziotti, o le parrucchiere ed estetiste che danno rifugio alle ragazze in fuga dai manganelli in piazza nei loro saloni, spacciandole per clienti. Il canale Telegram Nexta – che guida una protesta decapitata dei leader arrestati o esiliati – ha iniziato a pubblicare nomi, indirizzi e numeri di telefono dei poliziotti, ma già prima erano stati stanati, e coperti di vergogna, dai loro vicini. La rivoluzione si fa quartiere per quartiere, tra una grigliata e un tortino in cortile, in un ritrovato senso di comunità che sfida l’anonimato dei casermoni sovietici. Ed è da questa rivoluzione nel vicinato che è nato il monumento con il quale uno sconosciuto Banksy di Minsk ha deciso i volti e la colonna sonora della protesta, disegnando sulla fiancata di una comune centralina elettrica di un comunissimo cortilone di Minsk i due dj che alla vigilia delle elezioni truccate del 9 agosto scorso avevano messo a un raduno pubblico l’inno “Cambiamenti” del gruppo russo Kino. I due, Vlad Sokolovsky e Kirill Galanov, sono stati immediatamente arrestati, picchiati e incarcerati per dieci giorni, allo scadere dei quali hanno accettato la gentile offerta di asilo politico della Lituania. Per diventare dissidenti, nella mini Urss del “kartoffenfuhrer” bielorusso basta mettere un disco.

 

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Ieri Lukashenka ha prestato giuramento in segreto, senza fare nessun annuncio, si è nascosto nella capitale blindata 


 

Non è però un disco qualunque: “Cambiamenti” (“Peremen”) è uno dei pezzi più famosi del rock russo, cantato dalla voce cavernosa di Viktor Tsoy, il rocker russo-coreano che nel pantheon postsovietico degli idoli morti giovani sostituisce Jimy Hendrix e Kurt Cobain. I suoi compagni di band possono continuare a dire finché vogliono che era una canzone sui cambiamenti interiori, che non c’entrava nulla con la politica, ma non c’è ex sovietico sotto i cinquant’anni che non si emozioni a ricordare il finale del film “Assa”, dove Tsoy abbandona l’ufficio di una amministratrice dal look di bimba di Lukashenka che gli sta recitando tutte le regole che deve seguire durante i concerti, per dirigersi verso il palco, gettare via il cappotto e iniziare a suonare. Il suo chiodo di pelle nera tempestato di garofani rossi (più che un rimando al socialismo, gli unici fiori in pronta consegna per le strade di Mosca nel 1987), la sua grazia asiatica e la gestualità aggressiva mai vista prima sugli schermi di un paese che regolava ogni ancheggiamento dei musicisti, uniti al ritmo da marcetta di una canzone  scandita dagli spalti, hanno bucato lo schermo, e la pellicola – dove si scopre che Tsoy e i Kino non stanno più suonando in un locale vuoto, ma su un palco di fronte a una platea oceanica – ha fatto uscire il rock sovietico dalle catacombe alla luce del sole. I rocker non dovevano più fare i custodi e gli operatori delle caldaie per avere un impiego ufficiale e un posto dove suonare di notte: la “generazione degli spazzini e dei custodi”, cantata dal guru Boris Grebenshikov, uno che per la musica russa è stato Bob Dylan e John Lennon insieme, era uscita dagli scantinati per diventare delle star. Il regista Sergey Solovyov, il classico incendiario che in vecchiaia diventa pompiere, ha in seguito disconosciuto il messaggio da “rottamazione”, sostenendo che la voglia di cambiamenti aveva portato al disastro, ma Tsoy e il suo inno erano ormai storia, al punto che perfino Mikhail Gorbaciov ha in seguito raccontato di aver lanciato la perestrojka perché “ormai la gente cantava ‘Cambiamenti’ ovunque”. La perestrojka è iniziata nel 1985, e i Kino hanno suonato la canzone per la prima volta dal vivo un anno dopo, il film “Assa” è uscito nel 1987, ma nella memoria di Gorby ormai il comunismo è crollato non perché l’ha voluto lui, ma perché l’ha cantato Tsoy: un esempio di come l’arte vince sulla realtà.

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I volti della protesta sono i due dj incarcerati Vlad Sokolovsky e Kirill Galanov, lo ha deciso uno sconosciuto Banksy di Minsk


 

Un inno trascinante e ingenuo, perfetto per la rivoluzione bielorussa che con uno scoppio ritardato di trent’anni cerca di far cadere l’ultimo baluardo sovietico. I due DJ mettono “Cambiamenti” in pubblico, un atto eversivo per un regime che arrestava per le suonerie dei telefonini con le note di Tsoy già nel 2010. Lukashenka li definisce dei “vili”, e mentre i poliziotti li riempiono di botte in prigione all’urlo di “Hai voluto i cambiamenti?”, gli abitanti di una periferia di Minsk disegnano le sagome dei dj con le braccia trionfalmente alzate, sulla centralina elettrica al centro del cortile in via Cerviakova. “Cambiamenti” rimbalza ovunque: suonata nei sottopassaggi della metropolitana di Minsk da musicisti ambulanti, attaccata a pieno volume dai finestrini delle auto, cantata (stonatissima) dalla piazza, con una menzione speciale per un gruppo di musica medioevale che la rielabora con cornamuse durante un corteo. I due dj sono i nuovi eroi rivoluzionari, i ventenni che si ribellano ai padri, e una mano ignota cancella le sagome di Kirill e Vlad dalla parete della centralina.

 

E’ l’inizio del braccio di ferro più singolare della rivoluzione bielorussa. Togli murale, metti murale. Le sagome dei due ragazzi vengono ripristinate, e riverniciate di nuovo, e ripristinate ancora. Dopo un mese, si è perso il conto, ma ormai il gioco si è ripetuto più di dieci volte. A un certo punto, i poliziotti sono arrivati a coprire la centralina di uno strato di catrame, dimenticandosi però la vecchia regola che vuole imbattibile il genio popolare: il giorno dopo, al posto dei due dj verniciati c’erano due sagome di cartone appiccicate direttamente sopra lo strato nero. Gli addetti del comune sono stati inviati a raschiarle via, ma gli attivisti del vicinato conoscevano bene i loro polli, e ne hanno ordinato uno stock sufficiente a ripristinare l’immagine giorno dopo giorno. Gli inquilini hanno lasciato anche dei messaggi appiccicati: “Caro cittadino della Repubblica bielorussa che cancelli questo murale con una tenacia degna di miglior applicazione! Apprezziamo molto qualunque lavoro e, anche se non siamo d’accordo con te, vogliamo che tu sia felice! Ci dispiace vedere le registrazioni delle telecamere dove hai una espressione così triste. Sorridi! Passa nella caffetteria al numero 62 di via Cerviakova, dove abbiamo pagato un caffè con biscottini a te e al tuo compagno, e ti ringraziamo perché metti una pellicola per non sporcare”.


Nella memoria di Gorbaciov ormai il comunismo è crollato non perché l’ha voluto lui, ma perché l’ha cantato Tsoy


E’ il tono gentile e canzonatorio di una rivoluzione che sa di stare dalla parte dei buoni, ma il murale diventa una questione di principio anche per i cattivi. Davanti alla parete della centralina vengono mandati agenti armati in passamontagna, a montare la guardia impassibili mentre gli inquilini dei palazzi circostanti organizzavano abbuffate e canti, incuranti dei tre convitati di pietra. Ma, appena i poliziotti vengono richiamati a manganellare altrove, le sagome dei due DJ tornano sulla parete di cemento della centralina, di nuovo e di nuovo, in un gioco sempre più surreale. Il cortile in via Cerviakova diventa la “piazza dei Cambiamenti”, teatro di raduni e feste, con gli inviati delle TV di mezzo mondo che fanno gli stand-up davanti alla centralina e i bambini che giocano sotto i piedi dei poliziotti per provocarli. 

 

Togli murale e rimetti murale, il gioco si espande anche fuori dai confini di Minsk, e a Mosca, sul murale dedicato a Viktor Tsoy sull’Arbat, la via turistica che negli anni Ottanta era il ritrovo di tutti i rocker, i punk e gli hippie di Mosca, è apparsa una bandiera bielorussa, quella bianco-rosso-bianca della protesta. Una manifestazione di solidarietà tra popoli ex fratelli che al Cremlino risulta semmai sgradita, e qualcuno ha cancellato la bandiera che Lukashenka – che si autodefinisce con evidenti intenti promozionali “l’ultimo alleato di Putin” – considera sovversiva. Il murale è stato replicato anche in altre città, e perfino Riga, la capitale di una Lettonia ormai parte dell’Ue, ha installato le sagome dei due DJ di fronte al conservatorio. Intanto “Cambiamenti” veniva gridata dalla piazza di Khabarovsk, la città russa all’altro capo del mondo dove da due mesi è in corso una protesta di piazza molto simile a quella di Minsk, rivolta però contro l’autocrate russo.

 


Il rock è ancora una musica di libertà, e a Minsk come a Mosca una canzone diventa un incantesimo con cui rovesciare un dittatore


 

 

Il rock è ancora una musica di libertà, e in Bielorussia come in Russia una canzone diventa un incantesimo con cui rovesciare un dittatore. La voglia di cambiare contro i custodi del passato. Il codice grazie al quale riconoscersi, e il riscatto dei padri, che quelle parole, “cambiamenti chiedono i nostri cuori”, l’avevano cantata per la prima volta salvo poi lasciar perdere, nel vortice di una faticosa quotidianità, nel nome del tirare su dei figli che oggi chiedono di completare la rivoluzione. Sono cresciuti negli stessi anni in cui a Minsk e Mosca invecchiava una generazione di apparatchik che equipara il desiderio di “cambiamenti” a un atto di lesa maestà, e guarda con stupore un popolo che non sono più in grado di governare. In “piazza cambiamenti” i vicini, dai bambini ai vecchietti, girano un video collettivo in difesa di un loro coinquilino accusato di aver voluto addirittura “avvelenare” i poliziotti, e alle loro spalle c’è la solita centralina diventata ormai il simbolo della rivoluzione quanto il muro di Berlino con il murale di Brezhnev e Honecker. Non nascondono i loro volti, dicono i loro nomi, sorridono e ridono, mentre chiedono un paese “dove saremo noi a decidere cosa dipingere sui muri”, e promettono: “Non riuscirete a cancellarci”.

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