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Eccoci nella ridotta dei corbyniani, tutta rabbia, critiche e tornerà-il-socialismo

Gregorio Sorgi

Abbiamo assistito a una conversazione del Socialist campaign group (con tutti i “compagni”, anche Corbyn). Un nuovo libro che piace a questa resistenza

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Un anno fa di questi tempi i militanti laburisti cantavano a squarciagola il nome di Jeremy Corbyn, che prometteva di rivoluzionare la Gran Bretagna. Oggi gli architetti del “progetto” corbyniano – così lo chiamano i suoi sostenitori più accaniti – si riuniscono in una chiamata su Zoom, a cui Il Foglio ha assistito, e promettono battaglia. “Questo non è il tempo di abbandonare la nave”, dice Ian Lavery, ex presidente del partito e uno dei custodi del corbynismo. I membri del Socialist campaign group, l’ala più radicale del Labour, si sentono dei corpi estranei nel partito di Keir Starmer. Il nuovo leader non viene mai criticato direttamente ma ogni dirigente lancia una frecciatina contro di lui. “Il Labour deve proporre una visione”, ripetono molti nostalgici corbyniani che vedono il ritorno dei moderati alla guida del partito come una minaccia esistenziale.

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Un anno fa di questi tempi i militanti laburisti cantavano a squarciagola il nome di Jeremy Corbyn, che prometteva di rivoluzionare la Gran Bretagna. Oggi gli architetti del “progetto” corbyniano – così lo chiamano i suoi sostenitori più accaniti – si riuniscono in una chiamata su Zoom, a cui Il Foglio ha assistito, e promettono battaglia. “Questo non è il tempo di abbandonare la nave”, dice Ian Lavery, ex presidente del partito e uno dei custodi del corbynismo. I membri del Socialist campaign group, l’ala più radicale del Labour, si sentono dei corpi estranei nel partito di Keir Starmer. Il nuovo leader non viene mai criticato direttamente ma ogni dirigente lancia una frecciatina contro di lui. “Il Labour deve proporre una visione”, ripetono molti nostalgici corbyniani che vedono il ritorno dei moderati alla guida del partito come una minaccia esistenziale.

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“Non basta dire che i conservatori sono incompetenti”, ripetono i dirigenti infastiditi dall’opposizione costruttiva di Starmer, che finora è stata premiata dai sondaggi. A loro dire il Labour deve riprendere la battaglia ideologica contro il neoliberismo, che “è al potere da quarant’anni ed è responsabile della crisi sanitaria”. Anche Shami Chakrabarti, ex ministro ombra ai tempi di Corbyn, liquida il “patriottismo progressista” di cui Starmer si è fatto promotore. “Negli ultimi tempi sento parlare molto di patriottismo – ha spiegato l’ex avvocato per i diritti – ma questo termine spesso significa nazionalismo e xenofobia, quel vecchio trucco della destra...”. Forse la critica più dura proviene da John McDonnell, l’ex cancelliere ombra e una delle menti del corbynismo. “Non dobbiamo affidare le nostre battaglie a nessun partito o leader; le nostre politiche devono essere create da noi stessi”, ha detto McDonnell mostrando poca fiducia nel nuovo corso.

 

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L’ex cancelliere ha incoraggiato i militanti “a sostenere tutti i movimenti che condividono le nostre parole d’ordine”, tra cui sindacati, operatori sanitari, rifugiati e manifestanti anti razzisti. Il Socialist campaign group è di fatto un partito nel partito. Ha i propri riti, una sua classe dirigente e un album dei ricordi in cui una buona parte del Labour non si riconosce. I deputati si rivolgono l’uno all’altro come “compagni”, McDonnell viene presentato come “il cancelliere del popolo” e l’erede designata Rebecca Long-Bailey interviene in collegamento dalla “Repubblica popolare di Salford”, che sarebbe la sua constituency. Il giovane Richard Burgon, un ex ministro ombra noto per le sue gaffe, evoca nel suo discorso il conflitto marxista tra oppressori e oppressi. Al termine dell’incontro viene perfino dedicato un inno all’ottantottenne Dennis Skinner, uno dei padri nobili della sinistra radicale, con un finale che promette: “Il socialismo non può essere fermato”. I dirigenti socialisti hanno maturato una fiducia incrollabile nei loro ideali e sono seriamente intenzionati a riprendersi la guida del partito.

 

“Le cause del Labour sono l’unica speranza per il mondo”, proclama John Trickett, un altro ex ministro ombra e corbyniano della prima ora. Nessuno tra i partecipanti osa criticare la gestione precedente (“un grande successo”), che a loro dire è stata indebolita da una serie di congiunture: la Brexit, l’ostilità dei governi stranieri e, ovviamente, dell’impero mediatico di Rupert Murdoch. “Alcune forze potenti si sono mobilitate contro di noi”, dice Jeremy Corbyn che, libero da ogni vincolo, compare in video con una maglietta verde e alle sue spalle uno striscione rosso del Labour. L’evento sembra un incontro tra vecchi nostalgici più che una riunione programmatica. Eppure i superstiti corbyniani non sono tutti coetanei dell’ex leader; alcuni tra i deputati più agguerriti sono trentenni. Manca la generazione di mezzo, quella che si è formata negli anni di Blair e Brown, e che oggi ha riconquistato le leve del potere.

 

Gli eredi del corbynismo sono stati epurati dalla nuova gestione, che col passare del tempo è diventata sempre più critica con l’ex leader. L’ultima superstite corbyniana nel governo ombra, Long-Bailey, è stata licenziata a giugno per avere condiviso un articolo dai toni antisemiti. Il leader del Labour scozzese Richard Leonard, uno dei pochi radicali rimasti al vertice, di recente ha rischiato di essere vittima di una congiura dei suoi avversari interni. Intanto la conferenza di partito di Starmer è stata tutta all’insegna della discontinuità. Nelle interviste degli ultimi giorni il leader ha ribadito tre punti simbolici: è sua abitudine guardare il suo discorso della Regina il giorno di Natale, non avrebbe alcun problema a usare le armi nucleari in caso di minaccia e il suo partito “non deve avere paura di definirsi patriottico”.

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Corbyn aveva commesso delle gaffe intervenendo su ciascuno di questi temi, e la sua reputazione ne aveva molto risentito. Una delle poche note di speranze per i radicali è il libro-manifesto “This Land” (in uscita il 24 settembre) scritto da Owen Jones, opinionista del Guardian e autore bestseller molto vicino alla galassia corbyniana. Il testo non è un’inchiesta giornalistica, ma il racconto di chi ha vissuto in prima persona l’ascesa e il declino del corbynismo e spera in un suo ritorno. Jones non è un osservatore imparziale. Si è fatto le ossa lavorando come assistente di McDonnell e successivamente ha contribuito al “progetto” dalle colonne del Guardian.

 

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Non a caso condivide la versione di Corbyn: la leadership è stata sabotata da nemici esterni e interni, ovvero i deputati e funzionari di partito che hanno remato contro l’ex leader fin dal primo giorno. Anche Jones è poco entusiasta del nuovo corso starmeriano (“non vedo quale sia la sua visione della società”) ma è convinto che i socialisti torneranno più forti di prima. “Le basi di ciò che è diventato il corbynismo non sono andate via tutto d’un tratto. Non è stato un colpo di fulmine a ciel sereno...”, ha detto Jones in un’intervista al New Statesman: “Una società ricca e allo stesso tempo ingiusta come la nostra non può essere stabile. Credo che il ritorno del socialismo sia inevitabile: la scelta è tra il socialismo e la barbarie”.

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