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Appunti internazionali

Così ti rifaccio un partito di sinistra

I conti chiusi con il predecessore, lo sguardo avanti invece che indietro, un elettorato definito da corteggiare, e la voglia di vincere e governare. Il metodo di Keir Starmer, leader di un Labour che vuole essere adulto

Paola Peduzzi

 In “Left out”, il saggio di  Gabriel Pogrund e Patrick Maguire pubblicato all’inizio del mese, è spiegato bene perché qualsiasi tentativo di convergenza dentro al partito fosse destinato al fallimento: o i corbyniani o i moderati, spazio per entrambi non ce n’era più. In “Beyond the Red Wall”, Deborah Mattinson cerca di spiegare “il terremoto” nelle Midlands, nello Yorkshire e nell’Inghilterra del nord, le regioni in cui il Labour a dicembre ha perso due terzi dei 60 seggi che in totale sono stati riconquistati dai Tory

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Ehi, venite a vedere, il Labour è cambiato, sta cambiando, c’è un nuovo leader e c’è una visione che “non vuole riportare indietro gli orologi” a un passato mitico di prosperità, ma che si proietta verso il 2030, e anche più in là. Venite a vedere, c’è un’opposizione credibile e competente dopo tanto tempo, “e questo non è abbastanza, non sono entrato in politica per stare all’opposizione, nemmeno voi volete stare all’opposizione, sono entrato in politica per cambiare la vita delle persone”. Keir Starmer, leader del Labour britannico, ha tenuto ieri il suo discorso alla convention virtuale del partito e nonostante gli occhi del paese fossero rivolti altrove – alla mascherina finalmente obbligatoria nei negozi, alla curva dei contagi di coronavirus in crescita – Starmer ha fatto sì che questo suo intervento diventasse rilevante. Per il Labour e i suoi elettori prima di tutto, ma anche per il Regno Unito che recupera nelle parole del leader del Labour una dimensione molto diversa da quella che oggi il paese offre al resto del mondo – la dimensione dell’ambizione.

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Ehi, venite a vedere, il Labour è cambiato, sta cambiando, c’è un nuovo leader e c’è una visione che “non vuole riportare indietro gli orologi” a un passato mitico di prosperità, ma che si proietta verso il 2030, e anche più in là. Venite a vedere, c’è un’opposizione credibile e competente dopo tanto tempo, “e questo non è abbastanza, non sono entrato in politica per stare all’opposizione, nemmeno voi volete stare all’opposizione, sono entrato in politica per cambiare la vita delle persone”. Keir Starmer, leader del Labour britannico, ha tenuto ieri il suo discorso alla convention virtuale del partito e nonostante gli occhi del paese fossero rivolti altrove – alla mascherina finalmente obbligatoria nei negozi, alla curva dei contagi di coronavirus in crescita – Starmer ha fatto sì che questo suo intervento diventasse rilevante. Per il Labour e i suoi elettori prima di tutto, ma anche per il Regno Unito che recupera nelle parole del leader del Labour una dimensione molto diversa da quella che oggi il paese offre al resto del mondo – la dimensione dell’ambizione.

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Starmer è stato nominato leader del primo partito d’opposizione del Regno ad aprile, dopo che il suo predecessore, Jeremy Corbyn, si era dimesso consegnandogli una compagine parlamentare ridotta di 60 seggi (la peggiore sconfitta dal 1935) e una mappa elettorale in cui il “muro” di elettori delle Midlands che era rosso Labour è diventato blu Tory. Starmer non ha avuto nessuna festa, nessuna incoronazione, nessun pubblico plaudente: è arrivato che c’era già la pandemia, e ancora ieri guardava da solo la telecamera mentre pronunciava il suo discorso. In questi mesi però Starmer ha fatto un’opera di restauro che non si vedeva da tempo – nel Labour, ma anche in altri partiti occidentali. Durante la campagna per la nomina, si era posizionato a metà tra i corbyniani e gli anti corbyniani: aveva fatto parte del governo ombra e cercava di trovare sostegno in entrambi i campi. I corbyniani, che fiutavano l’inganno, erano molto scettici, ma avevano straperso le elezioni e non potevano mostrare la loro insofferenza. I moderati, a domanda diretta: ti piace Starmer?, rispondevano: stiamo a vedere, ma un pochino di luce negli occhi ce l’avevano. Una volta nominato, Starmer ha ribaltato tutto ciò che di tossico c’era nel partito, dalle persone alle idee, in particolare l’antisemitismo. In “Left out”, il saggio di  Gabriel Pogrund e Patrick Maguire pubblicato all’inizio del mese, è spiegato bene perché qualsiasi tentativo di convergenza dentro al partito fosse destinato al fallimento: o i corbyniani o i moderati, spazio per entrambi non ce n’era più. Pogrund e Maguire partono dall’arroganza di Corbyn nel 2017, quando conquistò il 40 per cento dei voti e tolse la maggioranza ai Tory, e poi raccontano con molti aneddoti e gossip (il più chiacchierato è quello sulla lite tra Corbyn e il suo cancelliere ombra, John McDonnell: litigarono sulla questione dell’antisemitismo, non si parlarono per mesi) come si è sfasciato il Labour: faide personali, consigli sbagliati, l’ambiguità sulla Brexit, un leader che appariva tanto deciso fuori quanto confuso dentro. In estrema sintesi, “Left out” racconta la storia di una leadership che non vuole il confronto, che punisce il dissenso (e lo definisce anche) e che finisce per perdere l’unico patrimonio che conta davvero: gli elettori.

 
Questi sono i cocci che Starmer ha rimesso insieme. Ieri non ha mai citato Corbyn, e anzi agli elettori perduti ha detto: “A quelli che hanno lasciato il Labour, diciamo: ‘vi stiamo sentendo’. Vi chiedo di darci di nuovo un’occhiata, abbiamo una nuova leadership”. Anche su tutte le riflessioni venute dopo la sconfitta del dicembre scorso (quella che ha dato una grande maggioranza al governo di Boris Johnson, premier conservatore), Starmer ha messo un punto: “Se perdi le elezioni in una democrazia, vuol dire che te lo meritavi. Non vai dagli elettori a chiedere: ‘Che cosa ti è venuto in mente?’. Guardi te stesso e dici: ‘Che cosa stiamo facendo?’. Il Labour ha perso quattro elezioni di fila, abbiamo garantito ai Tory un decennio al governo”. La linea di divisione con il passato è stata tracciata e a giudicare dalle reazioni dei corbyniani è visibile e dolorosa: Starmer abbandona la politica della nostalgia, il radicalismo e “il progetto” dell’ex leadership di riscrivere le regole  del paese. “It’s time to get serious about winning”, ha detto Starmer, non si piange sulle botte prese in passato, si prepara un percorso di vittoria “serio”. Le parole chiave di questo rilancio sono: dignità, equità, opportunità, compassione e sicurezza. Starmer le ha declinate parlando di sé, cosa inusuale per lui, e dei valori con cui è cresciuto, dei suoi sogni anche – cambiare in meglio le vite degli altri, fare la differenza – immergendoli nella quotidianità di ogni cittadino inglese, e in particolare di quelli che abitano nelle Midlands, nel “muro rosso diventato blu”, la terra di conquista. “Voglio che questo sia il paese migliore in cui crescere e in cui invecchiare”, ha detto Starmer, sottolineando prima le sue differenze – di storia, di carattere, di leadership – con Boris Johnson e poi la sua vicinanza agli elettori moderati del paese (una frase che sentiremo spesso ripetere: se ci sarà un altro lockdown, sarà il segnale del fallimento finale della strategia del governo sulla pandemia. Ci sarà battaglia sulle prossime misure di contenimento, perché per Starmer un secondo lockdown non è inevitabile, è il frutto di errori e incompetenza).

 
L’opera di restauro di Starmer non avrà  successo se il Labour non riconquisterà “il muro”. Alcuni sostengono che questo calcolo stia ossessionando Starmer a tal punto che per assecondare questi elettori persi abbia persino tradito la battaglia contro la Brexit. In realtà Starmer ha spiegato perché non parla più di Brexit: perché il governo aveva detto che c’era un accordo e si faceva la Brexit, e ora è suo il compito di farla bene, non di chi ha tentato fino all’ultimo di evitarla. “Il mondo del business ha bisogno di un accordo, i lavoratori hanno bisogno di un accordo, il paese ha bisogno di un accordo”, ha detto Starmer e come per il secondo lockdown, se l’accordo non c’è dopo averlo firmato e magnificato, la responsabilità è del governo. “C’è una grande differenza tra me e il primo ministro – ha detto Starmer – Quando Boris Johnson scriveva articoli irriverenti sulla curvatura delle banane, io difendevo vittime e perseguivo terroristi. Quando lui veniva licenziato da un giornale perché si era inventato delle citazioni, io combattevo per la giustizia e lo stato di diritto. Il modo adulto di gestire la Brexit è negoziare in modo adeguato e avere un accordo”.

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Poi certo, il muro rosso è cruciale. In “Beyond the Red Wall”, Deborah Mattinson, cofondatrice del centro studi BritainThinks, cerca di spiegare “il terremoto” nelle Midlands, nello Yorkshire e nell’Inghilterra del nord, le regioni in cui il Labour a dicembre ha perso due terzi dei 60 seggi che in totale sono stati riconquistati dai Tory. Il racconto di questo scossone è in parte lasciato agli elettori delusi e alle loro motivazioni che spesso sono riassumibili in: ho votato Tory perché volevo qualcuno che mi notasse, che mi ascoltasse, che non mi desse per scontato. Un ex elettore laburista dice: “Puoi tracciare una linea che divide il Regno Unito a metà: in basso ci sono ‘quelli che hanno’, in alto ‘quelli che non hanno’. Il Labour è non so come finito nel lato sbagliato”. La Mattinson, che per molti anni ha dato idee e consigli al Labour, cerca di fornire alcuni spunti: queste regioni devono essere corteggiate di nuovo (come sta facendo il governo Johnson infatti), non in modo opportunistico, ma con un piano di condivisione di valori e di esigenze. “Per decenni negletti – dice l’autrice – questi elettori vogliono credere che questo è il loro momento. La richiesta del muro rosso è chiara: ‘Vogliamo un po’ di speranza anche da queste parti, siate positivi quando parlate di futuro’”.
Dopo aver ascoltato il discorso di Starmer, la Mattinson ieri scherzava: il nuovo leader del Labour avrà letto il mio libro? Probabile, ma la politica di riconquista dell’elettorato storico del Labour è cominciata già da un pochino. Ora si condisce di parole che fan drizzare i capelli in testa a molti – sono di destra! – come patriottismo e sicurezza e “family first”, ma Starmer insiste, si mette in gioco, parla di sé, avvicina quel che sembra lontano o, come dice qualcuno: non avrà una grande retorica, questo leader, non avrà un grande carisma, però come torna dritto al centro lui, oggi pochi. 

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