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Il duello elettorale

Al dibattito con Trump

In America si apre la stagione degli scontri diretti in tv. E' la resa dei conti su un tema che ci riguarda: Trump lo batti facendo il trumpiano o il suo contrario?

Paola Peduzzi

La discussione “chi ha vinto il dibattito?” si è già consumata in modo deprimente in passato, soprattutto nel 2016, quando tutti i dibattiti li ha vinti Hillary Clinton e poi ha perso le elezioni. Su quel palco però forse potremo capire se la rissa ha senso e fino a che punto, se bisogna sporcarsi le mani e menare quando serve, e se poi la sosteniamo, la vista del sangue, oppure no

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S’apre la fase dei dibattiti nella campagna elettorale americana e i reporter sono a caccia di dettagli sui metodi di preparazione dei duellanti, Donald Trump, il presidente, e Joe Biden, lo sfidante democratico, per il primo incontro del 29 settembre.  Non è una ricerca particolarmente soddisfacente, perché Trump ha detto che non si prepara, improvvisare sempre, improvvisare tutto, mentre Biden non ha scelto, come accade di solito, un suo consigliere che si metta nei panni (letteralmente: è una recita in costume) di Trump, preferisce molte domande da persone diverse, per poter così prevenire più colpi inattesi. La sorpresa insomma, se ci dovesse essere, sarà in diretta tv, ma gli americani sono generalmente indifferenti a questi dibattiti, quasi la metà di loro dice di aver già scelto per chi votare (non sarebbe un voto così polarizzato, altrimenti), e  la discussione “chi ha vinto il dibattito?” si è già consumata in modo deprimente in passato, soprattutto nel 2016, l’anno in cui tutti i dibattiti li ha vinti Hillary Clinton e poi ha perso le elezioni. Trump che è uomo di spettacolo invece è sensibile agli applausi e infatti ha smesso di dire che Biden è vecchio e rimbambito e ha cominciato a ripetere che Biden è un grande oratore ed esperto nei dibattiti, così da abbassare le aspettative. Il candidato democratico ha il problema opposto: è difficile interloquire con uno che non finisce le frasi, cambia discorso, non risponde alle domande e ripete degli slogan.

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S’apre la fase dei dibattiti nella campagna elettorale americana e i reporter sono a caccia di dettagli sui metodi di preparazione dei duellanti, Donald Trump, il presidente, e Joe Biden, lo sfidante democratico, per il primo incontro del 29 settembre.  Non è una ricerca particolarmente soddisfacente, perché Trump ha detto che non si prepara, improvvisare sempre, improvvisare tutto, mentre Biden non ha scelto, come accade di solito, un suo consigliere che si metta nei panni (letteralmente: è una recita in costume) di Trump, preferisce molte domande da persone diverse, per poter così prevenire più colpi inattesi. La sorpresa insomma, se ci dovesse essere, sarà in diretta tv, ma gli americani sono generalmente indifferenti a questi dibattiti, quasi la metà di loro dice di aver già scelto per chi votare (non sarebbe un voto così polarizzato, altrimenti), e  la discussione “chi ha vinto il dibattito?” si è già consumata in modo deprimente in passato, soprattutto nel 2016, l’anno in cui tutti i dibattiti li ha vinti Hillary Clinton e poi ha perso le elezioni. Trump che è uomo di spettacolo invece è sensibile agli applausi e infatti ha smesso di dire che Biden è vecchio e rimbambito e ha cominciato a ripetere che Biden è un grande oratore ed esperto nei dibattiti, così da abbassare le aspettative. Il candidato democratico ha il problema opposto: è difficile interloquire con uno che non finisce le frasi, cambia discorso, non risponde alle domande e ripete degli slogan.

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Ma  la resa dei conti che ci sarà su quel palco è un’altra. Da  tempo ci poniamo una questione, non soltanto quando parliamo di America: un leader come Trump, uno che ha intercettato sentimenti e aspettative che parevano non maggioritari, uno che ha saputo maneggiare rabbia e paura nei confronti dell’establishment – un leader così lo batti rincorrendolo sul suo terreno o al contrario facendo tutto quel che lui non è, quindi il moderato? La risposta automatica è: Trump lo batti mettendolo di fronte al suo operato, facendo la conta dei morti di Covid per dire, ed entrando nel merito di quanto la sua presidenza abbia deformato l’America e i suoi rapporti con gli alleati storici. Quando Biden dice che vuole prepararsi al dibattito mettendo i suoi consiglieri a fargli tante domande, di fatto dà questa risposta automatica: Trump lo batti con i fatti. L’esperienza ci insegna che non è così, che tutti i progetti di fact-checking che sono nati in questi anni o le paginate fitte fitte con l’elenco delle  bugie e manipolazioni della realtà operate da Trump non hanno avuto l’effetto sperato. C’è stato un impeachment, per dire, ma il risultato oggi è che i collaboratori di Biden sono preoccupati delle allusioni che potrà fare Trump su Hunter, il figlio del candidato democratico coinvolto nel caso che ha portato il presidente a processo. Anzi, proprio quell’impeachment che ormai non viene nemmeno più citato tra le cose più importanti accadute in questo mandato, è oggi considerato come un errore da non ripetere: non si fa i duri con Trump sapendo di perdere.

 

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A giudicare dalla campagna elettorale, Biden ha scelto la strada dell’alternativa a Trump: toni bassi e precisi, alle follie del presidente si risponde insistendo con il buon senso – sono tutto quel che il presidente non è.  Molti non sono d’accordo: il sito Politico ha raccontato che la base del partito, quella che si occupa di mobilitazione, e che quindi  chiede alle persone di andare a votare e di votare per Biden, non è affatto contenta di questa scelta strategica, “vorrebbe il sangue” nel confronto con Trump, i denti, le unghie, il cuore, non questa calma educata che finisce per assomigliare al silenzio. Ecco, sul palco del dibattito forse questo potremo capire: se la rissa ha senso e fino a che punto, se bisogna sporcarsi le mani e menare quando serve, e se poi la sosteniamo, la vista del sangue, oppure no.

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