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L'ultimo scontro nell'America elettorale

La lotta per la Corte Suprema

Trump vuole nominare il sostituto di Ruth Bader Ginsburg entro la settimana. I liberal frenano. I calcoli elettorali e i nomi che circolano

Luciana Grosso

A chi giova elettoralmente, il grande casus istituzionale di queste ore in America? Le analisi dei repubblicani e dei democratici. Intanto sono due i nomi che circolano di più: Amy Coney Barrett, discepola di Antonin Scalia, e Barbara Lagoa, ispanica

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Tra mille gravi e pesanti riflessioni che la morte di Ruth Bader Ginsburg porta con sé, c’è ne sono anche alcune di mera strategia e calcolo elettorale. Per esempio a chi giova, come e perché, elettoralmente, il grande casus istituzionale di queste ore?  Probabilmente (e paradossalmente) ai repubblicani e a Donald Trump, proprio quelli a cui mai e poi mai la Ginsburg avrebbe voluto fare un favore. 

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Tra mille gravi e pesanti riflessioni che la morte di Ruth Bader Ginsburg porta con sé, c’è ne sono anche alcune di mera strategia e calcolo elettorale. Per esempio a chi giova, come e perché, elettoralmente, il grande casus istituzionale di queste ore?  Probabilmente (e paradossalmente) ai repubblicani e a Donald Trump, proprio quelli a cui mai e poi mai la Ginsburg avrebbe voluto fare un favore. 

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La ragione di un simile paradosso è complessa e pure semplice: adesso i repubblicani (che controllano la Casa Bianca e il Senato: ossia i due organi da cui passa la nomina di un nuovo giudice di Corte Suprema) devono decidere se nominare in tempi strettissimi (mancano circa 40 giorni al voto) un nuovo giudice o se invece sospendere tutto e lasciare il compito al nuovo presidente e nuovo Senato che si insedieranno a gennaio. 

 

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Se dovessero scegliere la prima strada, potrebbero ottenere il formidabile risultato di aver rivoluzionato, in soli quattro anni, l’assetto della Corte Suprema, trasformandola da organismo super partes in organismo schiettamente repubblicano, con rapporti di forza di sei a tre per i conservatori. Non è cosa da poco, perché la Corte è l’organo giudiziario più alto in grado nell’ordinamento statunitense. Chi controlla la Corte controlla buona parte delle leggi e delle riforme che verranno, a prescindere dai presidenti. Potrebbe essere, quest’ultimo, un risultato formidabile per i repubblicani, un’ occasione da non lasciarsi sfuggire. 

 

Eppure altrettanto ghiotto è lo scenario che si aprirebbe se, al contrario, il Senato dovesse decidere  – cosa che al momento sembra difficile: Donald Trump ha detto che farà la nomina alla fine della settimana – di rispettare il galateo istituzionale e congelare la nuova nomina fino a gennaio. In questo caso la nomina del prossimo giudice della Corte Suprema potrebbe essere una carta formidabile per Trump, il grimaldello di cui aveva disperato bisogno per forzare il voto moderato che, al momento, gli manca quasi del tutto. Questo perché, in buona sostanza, l’America è piena di repubblicani che detestano Trump e che pur di toglierselo dai piedi e di vedere restaurata la dignità (o anche solo la presentabilità) del loro partito potrebbero turarsi il naso e votare Biden. Ma una cosa è votare Biden, un’altra votare un candidato democratico che, per prima cosa, nominerebbe un giudice supremo di area liberal. Con questa prospettiva, molti repubblicani moderati, che tollerano Biden anche se temono la quota sandersiana della sua coalizione, potrebbero decidersi a votare comunque Trump, consapevoli del fatto che i presidenti passano mentre i giudici supremi restano.
Così, per paradosso, ai democratici, che pure in queste ore sono sulle barricate e sbraitano “nessuno tocchi il seggio di Baden Ginzburg” potrebbe convenire che il nuovo giudice sia nominato subito e non si trasformi in una importante promessa elettorale. Certo, significherebbe regalare al Gop la Corte Suprema, ma i democratici sanno che con i giudici supremi si può trattare, con Donald Trump no. 

I nomi che circolano in queste (frenetiche) ore sono soprattutto due: entrambi di donne di provata fede conservatrice e religiosa, quello di Amy Coney Barret (discepola del giudice super conservatore Antony Scalia) e quella di Barba Lagoa (ispanica, religiosa e giudice della Florida, swing state che molto impensierisce i repubblicani).

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La questione al momento è più che aperta: la maggioranza al senato è di 53-47 e, in caso di stallo, vota il vicepresidente Mike Pence. Già due senatrici repubblicane (Susan Collins, storica senatrice del Maine in affanno elettorale e alla disperata ricerca di voti centristi, e la senatrice dell’Alaska Lisa Murkowski) hanno detto che non voteranno nessun nuovo nome prima delle elezioni.

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Ma i numeri, anche se risicati, potrebbero esserci comunque. 

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