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Cosa c'entrano la politica libica e la visita di Di Maio con i pescatori italiani sequestrati

Daniele Ranieri

Una prova di forza contro l'Italia dopo essere stato snobbato, Haftar è sempre più nervoso e non vuole mettersi da parte come Serraj. L'Italia paga il prezzo dei negoziati in corso per formare un nuovo Consiglio presidenziale che (forse un giorno) riunificherà la Libia

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Roma. C’è un trucco nella fine politica di Fayez al Serraj, il premier di Tripoli che due giorni fa ha annunciato le dimissioni. Serraj ha detto che se ne andrà entro la fine di ottobre oppure quando il nuovo Consiglio presidenziale sarà pronto. Ma il nuovo Consiglio presidenziale che dovrebbe rimpiazzare quello che al momento ha sede a Tripoli è un’invenzione ibrida che per ora esiste soltanto nei lunghi round di trattative fra i libici e fra i loro sponsor internazionali – che come sappiamo includono la Turchia, l’Egitto, la Russia e altri ancora. In teoria sarà formato da tre persone in rappresentanza delle tre regioni libiche, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, e poi ci sarà un premier libico staccato da questo consiglio che diventerà la figura più riconoscibile del paese. I negoziati per formare il Consiglio sono cominciati dieci giorni fa in Marocco ma sono subito falliti e ora ci si aspetta che riprendano a Ginevra in Svizzera a ottobre. Ma sappiamo che in Libia le cose si trascinano a lungo, quindi se Serraj si dimetterà “quando sarà formato il nuovo consiglio presidenziale” allora potrebbe restare in carica ancora a lungo. Intanto, ha un po’ diminuito la pressione da parte di chi a casa sua, dentro Tripoli, vorrebbe rimpiazzarlo. La vittoria nella guerra civile contro il generale Haftar ha reso Serraj ancora più debole, sembra strano detta così ma il suo debito verso le milizie e le varie fazioni armate non è mai stato così evidente, come pure è evidente il fatto che il suo è un ruolo rappresentativo per rassicurare il mondo con il suo volto da nonno gentile. Serraj iniziò la sua leadership quattro anni fa come creatura della diplomazia italiana, adesso è un uomo della Turchia.

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Roma. C’è un trucco nella fine politica di Fayez al Serraj, il premier di Tripoli che due giorni fa ha annunciato le dimissioni. Serraj ha detto che se ne andrà entro la fine di ottobre oppure quando il nuovo Consiglio presidenziale sarà pronto. Ma il nuovo Consiglio presidenziale che dovrebbe rimpiazzare quello che al momento ha sede a Tripoli è un’invenzione ibrida che per ora esiste soltanto nei lunghi round di trattative fra i libici e fra i loro sponsor internazionali – che come sappiamo includono la Turchia, l’Egitto, la Russia e altri ancora. In teoria sarà formato da tre persone in rappresentanza delle tre regioni libiche, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, e poi ci sarà un premier libico staccato da questo consiglio che diventerà la figura più riconoscibile del paese. I negoziati per formare il Consiglio sono cominciati dieci giorni fa in Marocco ma sono subito falliti e ora ci si aspetta che riprendano a Ginevra in Svizzera a ottobre. Ma sappiamo che in Libia le cose si trascinano a lungo, quindi se Serraj si dimetterà “quando sarà formato il nuovo consiglio presidenziale” allora potrebbe restare in carica ancora a lungo. Intanto, ha un po’ diminuito la pressione da parte di chi a casa sua, dentro Tripoli, vorrebbe rimpiazzarlo. La vittoria nella guerra civile contro il generale Haftar ha reso Serraj ancora più debole, sembra strano detta così ma il suo debito verso le milizie e le varie fazioni armate non è mai stato così evidente, come pure è evidente il fatto che il suo è un ruolo rappresentativo per rassicurare il mondo con il suo volto da nonno gentile. Serraj iniziò la sua leadership quattro anni fa come creatura della diplomazia italiana, adesso è un uomo della Turchia.

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A questo tentativo di formare un nuovo Consiglio presidenziale è legata la vicenda dei pescatori italiani sequestrati il 2 settembre – dove sequestrati è il verbo giusto, perché non c’è alcuna ragione di tenere a Bengasi dei cittadini stranieri contro il loro volere per una questione pretestuosa di pesca. Il nuovo Consiglio come abbiamo visto dovrebbe includere un rappresentante della Cirenaica, che è la regione di Bengasi e quindi del generale Haftar. Se questo progetto politico riesce, Haftar potrebbe sentirsi messo da parte. Il generale a Bengasi è potentissimo, ma gestisce la sua metà del paese in coabitazione con un’Assemblea di politici che fino a oggi non ha contato nulla ma che di colpo potrebbe riprendere vita e decidere di appoggiare i negoziati per formare il già citato nuovo Consiglio presidenziale che (forse) riunificherà la Libia. Haftar guarda con orrore a questa evoluzione degli eventi, perché lui aveva un piano molto più spiccio: conquistare Tripoli e diventare il nuovo dittatore della Libia – e però ha fallito. Già l’Unione europea parla di togliere le sanzioni a Aguila Saleh, capo dell’Assemblea, in modo che partecipi più da protagonista a questi negoziati. Saleh era sotto sanzioni dal 2016, adesso potrebbe ritrovare una nuova purezza internazionale. Roba che non sfugge a Haftar, che infatti si rode e teme che nel frattempo i grandi sponsor come la Russia e l’Egitto gli tolgano l’appoggio. E infatti ad aprile il generale ha annunciato che il mandato popolare gli conferisce il potere di governare in Cirenaica, come a dire: “Qui comando io e non Saleh e gli altri”.

 

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In tutto questo s’inserisce il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, e che fa? Il primo giorno di settembre va a parlare prima con Serraj a Tripoli nella metà ovest del paese e poi vola a Tobruk, nella metà est, a parlare con Saleh. Come se Haftar, che prima della disfatta l’Italia trattava con ogni riguardo, non avesse più la stessa importanza di prima. I pescatori italiani sono i più vulnerabili in questo contesto e il giorno dopo le forze navali del generale sono andate dritte da loro, hanno fermato quattro pescherecci, ne hanno obbligati due a seguirli fino a Bengasi e da allora tengono prigionieri gli equipaggi. Claudia Gazzini, una specialista di Libia per l’International Crisis Group che lavora sul campo, ha detto all'agenzia AdnKronos che il sequestro dei pescatori italiani è una prova di forza contro Di Maio. In questa situazione poi si sono inserite le famiglie di quattro libici detenuti in Italia, per chiedere uno scambio di prigionieri. In questi anni l’Italia ha trattato Haftar con tutti gli onori, se si vanno a vedere le immagini delle sue visite a Roma si possono vedere i tappeti rossi e gli ufficiali italiani accennare anche a un inchino. Questo riguardo per il generale libico non ci ha ripagato.

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