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L'intervista

Grandi interferenze

Trump, Fox News e i troll, cosa distorce la politica degli Stati Uniti

Micol Flammini

Russi e cinesi tentano di manipolare le elezioni, ma perché gli americani sono così vulnerabili? Intervista a Joshua Yaffa

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Roma. Nelle ultime settimane Microsoft ha rilevato diversi tentativi di interferenze  da parte sia di hacker russi sia di cinesi intenti a colpire politici o organizzazioni (almeno duecento) legati alla campagna elettorale americana. I russi, ha detto Microsoft giovedì, avevano come obiettivo sia i democratici sia i repubblicani; i cinesi, invece, sarebbero concentrati su Joe Biden. Le rivelazioni di Microsoft arrivano proprio dopo le accuse di Brian Murphy, ex dirigente della Sicurezza nazionale, che ha raccontato come l’Amministrazione Trump abbia soppresso la squadra  dell’intelligence che si occupava di indagare sulle interferenze russe. Dopo queste notizie e con l’avvicinarsi delle elezioni del 3 novembre, viene da domandarsi: cosa abbiamo imparato dalla lezione del 2016? Secondo Joshua Yaffa, giornalista del New Yorker – corrispondente da Mosca e autore di uno dei libri da leggere se si vuole comprendere come funziona il putinismo, “Between Two Fires: Truth, Ambition, and Compromise in Putin’s Russia” – in questi quattro anni ne abbiamo imparate molte di cose,  gli elettori sanno che le notizie possono essere manipolate e che potenze straniere cercano di interferire negli affari interni dell’America, quindi hanno sviluppato uno scetticismo e un livello di attenzione molto più alti. “Credo che le nostre difese collettive stiano migliorando – dice al Foglio – ma credo anche che si potrebbe fare ancora di più, analizzare meglio quali siano le questioni  sistemiche che consentono alla manipolazione di entrare nella conversazione politica e di fare danni”. Questa settimana Yaffa ha pubblicato un lungo articolo sul New Yorker dal titolo: “L’ingerenza russa è così pericolosa come pensiamo?”. Nel pezzo Yaffa racconta come, focalizzandoci sulle tattiche degli aggressori, abbiamo perso di vista le nostre debolezze e questo ha reso tutti più vulnerabili. 

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Roma. Nelle ultime settimane Microsoft ha rilevato diversi tentativi di interferenze  da parte sia di hacker russi sia di cinesi intenti a colpire politici o organizzazioni (almeno duecento) legati alla campagna elettorale americana. I russi, ha detto Microsoft giovedì, avevano come obiettivo sia i democratici sia i repubblicani; i cinesi, invece, sarebbero concentrati su Joe Biden. Le rivelazioni di Microsoft arrivano proprio dopo le accuse di Brian Murphy, ex dirigente della Sicurezza nazionale, che ha raccontato come l’Amministrazione Trump abbia soppresso la squadra  dell’intelligence che si occupava di indagare sulle interferenze russe. Dopo queste notizie e con l’avvicinarsi delle elezioni del 3 novembre, viene da domandarsi: cosa abbiamo imparato dalla lezione del 2016? Secondo Joshua Yaffa, giornalista del New Yorker – corrispondente da Mosca e autore di uno dei libri da leggere se si vuole comprendere come funziona il putinismo, “Between Two Fires: Truth, Ambition, and Compromise in Putin’s Russia” – in questi quattro anni ne abbiamo imparate molte di cose,  gli elettori sanno che le notizie possono essere manipolate e che potenze straniere cercano di interferire negli affari interni dell’America, quindi hanno sviluppato uno scetticismo e un livello di attenzione molto più alti. “Credo che le nostre difese collettive stiano migliorando – dice al Foglio – ma credo anche che si potrebbe fare ancora di più, analizzare meglio quali siano le questioni  sistemiche che consentono alla manipolazione di entrare nella conversazione politica e di fare danni”. Questa settimana Yaffa ha pubblicato un lungo articolo sul New Yorker dal titolo: “L’ingerenza russa è così pericolosa come pensiamo?”. Nel pezzo Yaffa racconta come, focalizzandoci sulle tattiche degli aggressori, abbiamo perso di vista le nostre debolezze e questo ha reso tutti più vulnerabili. 

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 “E’ importante sottolineare come l’ingerenza straniera esista  e continui a essere una minaccia. Una potenza straniera ha usato dei sotterfugi per manipolare il sistema politico degli Stati Uniti, ma ritengo che, se vogliamo eliminare la minaccia, dobbiamo innanzitutto capirla  fino in fondo, collocarla in scala e in proporzione con quello che sta avvenendo nelle nostre società. La disinformazione russa può funzionare solo se noi  siamo vulnerabili”, bisogna, prima di tutto, fortificarsi. Le debolezze di una nazione come l’America sono date dalle sue ineguaglianze, dice Yaffa, dalla poca fiducia nei confronti delle istituzioni e della politica e, se le debolezze permangono, è più facile attaccarle. Bisogna difendersi e “la prima tecnica di difesa deve essere costituita da una sobria e realistica valutazione della minaccia. Se una società è forte, ci sono meno possibilità di  distorcere il suo sistema politico”. Le interferenze hanno successo se una società è debole, ma anche se si decide di raccontare e di combattere il “meddling” nel modo sbagliato.     


Sul sito di inchiesta Bellingcat, uno dei più importanti per quanto riguarda le inchieste sulla Russia, tempo fa è apparso un articolo dal titolo “Come non raccontare la disinformazione russa” e nel pezzo, citato anche da Yaffa, appaiono riferimenti a siti di propaganda russa con pochissimo seguito, spesso portati a esempio dai commentatori per spiegare come lavora la disinformazione, con il risultato di amplificare la portata di organi di informazione poco rilevanti e generare panico. La minaccia esiste ma in questi anni, almeno negli Stati Uniti, il senso del pericolo degli americani è stato mal indirizzato, ha riferito uno specialista di Bellingcat a Yaffa, contribuendo a fare il gioco della propaganda russa che è arrivata a fondersi con gli sforzi della propaganda interna. La disinformazione straniera  esiste e non ci si può distrarre, sottolinea il giornalista del New Yorker, ma non bisogna distogliere lo sguardo neppure da un  motore di disinformazione tutto interno all’America e alla grande risonanza che  può avere. “Non si tratta di distinguere i danni della disinformazione esterna da quelli prodotti dalla disinformazione interna, le due cose vanno sommate, ma bisogna anche considerare l’impatto che un ospite in prima serata su Fox News o le parole che escono dalla bocca di Trump possono produrre”. La gravità è la stessa, cambia  l’impatto.

 

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“Le notizie false che provengono da fonti interne discutibili entrano nei discorsi degli americani con più rapidità e hanno una risonanza maggiore rispetto ai troll russi: gli americani tendono comunque di più a fidarsi di quello che dicono il presidente o un’emittente americana rispetto a quello che leggono su Facebook”. Con l’avvicinarsi del 3 novembre non bisogna perdere di vista né la manipolazione straniera, né quella domestica: “Credo che negli ultimi tempi stiamo assistendo a un cambiamento per quanto riguarda lo studio della minaccia,  è un po’ come è avvenuto in passato  con il terrorismo, quando aumentò la consapevolezza che  il terrorismo domestico costituiva per la società un pericolo tanto quanto quello esterno”. La disinformazione russa alle porte di una nuova elezione conta ancora, ma una nazione va curata: bisogna osservare le tattiche,  certo, dice Yaffa, ma essere anche consapevoli delle proprie debolezze interne.

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