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Cosa vuole l'Italia dal paese africano

"Dobbiamo essere realisti in Libia e fare i conti con la presenza della Turchia", dice Di Maio

Daniele Ranieri

Il ministro degli Esteri è convinto che con un minimo di stabilità politica e la ripresa della produzione petrolifera Tripoli e Bengasi possano davvero diventare un'occasione per le aziende italiane. Ma deve vedersela con la Turchia da una parte e gli Emirati dall'altra e una situazione ancora molto pericolosa

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Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, risponde ad alcune domande specifiche del Foglio che riguardano la Libia – tutte tranne una – perché pensiamo che quel paese a meno di un’ora di volo dalla costa dell'Italia sia un dossier fondamentale. Sicurezza, energia, immigrazione, tutti i temi che ci toccano da vicino passano per la Libia. Il problema è che stiamo perdendo molto rapidamente la nostra capacità di tenere sotto controllo quello che succede dall’altra parte del mare. Per un anno abbiamo tentato una faticosissima mediazione per far cessare la guerra civile, che però è finita non grazie alla diplomazia ma grazie alle armi (l'intervento della Turchia ha costretto le forze del generale Haftar a battere in ritirata).

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Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, risponde ad alcune domande specifiche del Foglio che riguardano la Libia – tutte tranne una – perché pensiamo che quel paese a meno di un’ora di volo dalla costa dell'Italia sia un dossier fondamentale. Sicurezza, energia, immigrazione, tutti i temi che ci toccano da vicino passano per la Libia. Il problema è che stiamo perdendo molto rapidamente la nostra capacità di tenere sotto controllo quello che succede dall’altra parte del mare. Per un anno abbiamo tentato una faticosissima mediazione per far cessare la guerra civile, che però è finita non grazie alla diplomazia ma grazie alle armi (l'intervento della Turchia ha costretto le forze del generale Haftar a battere in ritirata).

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Una settimana fa Di Maio è andato per la quarta volta in dieci mesi a Tripoli e questo prova ancora una volta che il ruolo di ministro degli Esteri in Italia è anche quello di “ministro per la Libia”. Per spiegare meglio il senso della sua missione, ci ha anche risposto con un video che trovate in questa pagina. Come se già le cose non fossero abbastanza complicate laggiù, adesso alcuni nostri connazionali sono trattenuti dalle forze del generale Haftar a Bengasi, perché pescavano a decine di chilometri dalla costa libica. La Farnesina è al lavoro per risolvere l’impasse che va avanti ormai da una settimana, ma c’è da chiedersi che tipo di relazione abbiamo con i libici se dopo così tante mediazioni con Haftar è così complicato farsi restituire i pescatori catturati.  

La Turchia è diventata un alleato molto influente a Tripoli ma si comporta in modo aggressivo con noi, vedi per esempio la questione della nave SAIPEM nel Mediterraneo orientale – dove ENI fu costretta a capitolare – oppure le pressioni per far sloggiare il nostro contingente medico-militare dall’aeroporto di Misurata. I turchi sono una presenza ingombrante in Libia, noi come pensiamo di regolarci con questa presenza?

Su questo aspetto dobbiamo fare un esercizio di realismo. La presenza turca è il prodotto del robusto sostegno militare che Ankara ha voluto garantire al GNA e che si è rivelato determinante per respingere l’offensiva verso Tripoli. L’Italia, in coerenza con la propria Costituzione e con i propri valori, non ha voluto prendere la strada di un coinvolgimento militare in Libia. Si è trattato della scelta giusta - direi inevitabile - ma è chiaro che ora e verosimilmente per un certo tempo a venire dovremo fare i conti con l’accresciuta presenza turca nel Paese. Non credo affatto che questo ridimensioni il nostro ruolo e il nostro futuro in Libia - nel Paese c’è ancora moltissima voglia di Italia - ma ci impone di mantenere un dialogo chiaro ed esigente con Ankara, a difesa dei nostri interessi nazionali.

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L’Italia partecipa alla missione Irini nel Mediterraneo per far rispettare l’embargo contro la Libia, e la missione farà rapporto all’Unione Europea e alle Nazioni Unite. C’è da considerare che un embargo senza misure che lo facciano rispettare non ha un grande valore pratico. Di conseguenza: se ci sono violazioni, che misure si adotteranno?

L’Operazione Irini è per l’Unione Europea un’opportunità importante per avere in Libia e nel Mediterraneo Centrale un ruolo di primo piano, a favore della pace, della stabilità e a tutela del diritto e della legalità internazionale. La missione è spesso oggetto di critiche eccessive e strumentali. L’Operazione ha infatti condotto finora un numero rilevante di ispezioni. I rapporti inviati al “panel of experts” delle Nazioni Unite, incaricato di vigilare sulle violazioni dell’embargo, ci dimostrano inoltre che la missione è ad oggi “equilibrata” verso tutte le parti in causa. Quanto alle sanzioni vere e proprie, mi limito a ricordare che in queste settimane è in corso a Bruxelles, a livello comunitario, un esercizio di revisione strategica sull’impiego delle sanzioni verso la Libia, che riguarderà anche chi viola l’embargo militare.

E’ sempre più evidente che gli Emirati Arabi Uniti sono incredibilmente influenti in Libia dalla parte della Cirenaica, che tipo di lavoro stiamo svolgendo con loro? C’è qualche canale aperto, c’è un’iniziativa per trattare direttamente con loro – e c’era nei mesi della guerra civile, se ci può dire qualcosa di più del poco che si sa?

Gli Emirati hanno un grande peso nelle dinamiche libiche. Anche per questo Abu Dhabi è per l’Italia un interlocutore di primo piano. Ciò è confermato da una costante e intensa interazione, tanto in via bilaterale che in ambito multilaterali, a cominciare dall’“International Follow-up Committee” sulla Libia, che è uno dei principali lasciti della conferenza di Berlino di inizio anno. A livello politico, mi sento regolarmente sul dossier libico con il collega emiratino Al Nahyan.

Dobbiamo lavorare - anche insieme ad Abu Dhabi - affinché si possa favorire il dialogo intra-libico, a cominciare dalle questioni più pressanti, ovvero il raggiungimento di un formale cessate-il-fuoco tra le parti e, soprattutto, la ripresa della produzione petrolifera in Libia.

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Guardando a casa nostra: sarebbe contento se la maggioranza coinvolgesse anche l'opposizione nei piani del recovery? E se altri paesi chiedessero il MES, che a suo tempo il movimento Cinque Stelle ha trasformato in una battaglia di civiltà, a quel punto per Italia avrebbe senso ragionarci?

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Il Governo ha intrapreso il lavoro di definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza con ampio anticipo rispetto alle scadenze europee proprio in considerazione della necessità di disporre del margine temporale richiesto per un esercizio il più ampio e inclusivo possibile, con una partecipazione trasversale sia dentro che fuori le Istituzioni.

Il Parlamento, con le sue prerogative, rientra a pieno titolo in questa ampia riflessione.  A breve il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (che si riunisce il 9 settembre) concorderà “linee guida” per la definizione del PNRR, che, subito dopo, saranno condivise con il Parlamento. Non mi sembra infine corretto commentare l’eventuale scelta di altri Stati membri di ricorrere all’uno o all’altro dei meccanismi di sostegno finanziario europeo. Si tratta di decisioni di altri Governi, prese in base a valutazioni nazionali e che in tale cornice devono essere inquadrate.

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In questo momento le forze del generale Haftar trattengono alcune persone, in maggioranza di nazionalità italiana, catturate a bordo di pescherecci italiani il giorno dopo la sua visita in Libia. Capiamo la necessità di una mediazione morbida, ma sono già passati cinque giorni, a che punto è la trattativa per la loro restituzione? Si è capito il motivo di questo gesto così duro? Si tratta di un segnale di irritazione di Haftar dopo gli incontri con Serraj a Tripoli e con Aguileh Saleh a Tobruk? Oppure, come è stato scritto, è per la questione non ancora risolta dell’accordo per finanziare con soldi italiani la Military Authority di Haftar? 

I nostri pescatori sono stati fermati mentre si trovavano in acque che le controparti libiche - tanto all’Est che all’Ovest - rivendicano come “zona di protezione della pesca”. Non è purtroppo la prima volta che in quell’area assistiamo al sequestro dei pescherecci e al fermo del personale a bordo. Stiamo lavorando, con i tutti i competenti organi dello Stato, nel riserbo che sempre occorre mantenere in questi casi, perché i nostri connazionali vengano rilasciati al più presto.

Ci presentiamo in Libia come generosi partner di pace, la missione della settimana scorsa ruotava attorno a investimenti commerciali importanti come l’Autostrada della Pace e la ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli, che cosa pensa di questo genere di “segnali” e di coincidenze minacciose da parte dei libici? Il fatto che i pescatori siano stati trattenuti a Bengasi che messaggio manda alle imprese italiane che volessero, grazie alla sua iniziativa, investire in Libia?

Apprezzo e faccio mia l’espressione “partner di pace”, perché questo è il modo in cui vediamo il nostro ruolo in Libia. Non soltanto siamo protagonisti del lungo e difficile percorso diplomatico per riportare pace e sicurezza nel Paese, ma pensiamo anche a sostenerne la crescita, attraverso il rilancio della cooperazione economica. La mia visita a Tripoli del 1° settembre è stata in larga parte incentrata proprio su questa dimensione. Sono molti i settori dell’economia libica nei quali l’Italia può garantire un contributo responsabile e di qualità, e di questo i nostri interlocutori sono ben consapevoli.

È chiaro che i rapporti economici bilaterali potranno raggiungere il loro pieno potenziale solo nel momento in cui la Libia avrà riconquistato la necessaria stabilità politica e avrà riavviato i settori principali della propria economia a partire dalla produzione petrolifera, tema sul quale l’Italia sta investendo molto. Per questo motivo ho proposto alle autorità libiche di riunire a breve una Commissione economica bilaterale, che avrà il compito di affrontare e risolvere alcune pendenze - come la questione dei crediti vantati da molte aziende italiane verso la Libia - e avviare una ricognizione dei settori di collaborazione a più ampio potenziale.  

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