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Macron vuole scalare il medio oriente

Arianna Poletti

L’area è in crisi, la Francia si inserisce facile (anche in chiave anti Turchia)

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Roma. Da Beirut a Baghdad, senza passare per Parigi. Questa negli ultimi due giorni è stata la tournée di Emmanuel Macron in medio oriente nel tentativo di guadagnare influenza. Il 31 agosto il presidente francese aveva annunciato su Twitter il ritorno a Beirut: “Libanesi, siete nostri fratelli. Ve l’avevo promesso: torno per fare il punto sullo stato di emergenza e vedere assieme a voi le condizioni per la ricostruzione e la stabilità del paese”. Alla sera, in un aeroporto con le vetrate rotte e quasi deserto, è atterrato con il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, e il ministro degli Affari sociali e della Salute Olivier Véran. Poche ore prima il diplomatico Mustapha Adib, ex ambasciatore in Germania senza alcun esperienza in politica, era stato nominato nuovo primo ministro del Libano.

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Roma. Da Beirut a Baghdad, senza passare per Parigi. Questa negli ultimi due giorni è stata la tournée di Emmanuel Macron in medio oriente nel tentativo di guadagnare influenza. Il 31 agosto il presidente francese aveva annunciato su Twitter il ritorno a Beirut: “Libanesi, siete nostri fratelli. Ve l’avevo promesso: torno per fare il punto sullo stato di emergenza e vedere assieme a voi le condizioni per la ricostruzione e la stabilità del paese”. Alla sera, in un aeroporto con le vetrate rotte e quasi deserto, è atterrato con il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, e il ministro degli Affari sociali e della Salute Olivier Véran. Poche ore prima il diplomatico Mustapha Adib, ex ambasciatore in Germania senza alcun esperienza in politica, era stato nominato nuovo primo ministro del Libano.

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Non è una coincidenza, secondo il politologo libanese e professore presso l’Università americana di Parigi Ziad Majed: “Sotto la pressione dei manifestanti, la classe politica libanese manda un messaggio alla comunità internazionale, e in particolare alla Francia: stiamo facendo gli sforzi che ci sono stati richiesti”. E’ un messaggio che l’Eliseo ha colto. Appena arrivato a Beirut, Macron ha fatto sapere che non spetta a lui “approvare o contestare la scelta di questo primo ministro”. Su una cosa, però, non ha dubbi: sarà formato un nuovo governo di missione con l’obiettivo di mettere in atto riforme necessarie e urgenti per il Libano. Ma questa nomina di un capo del governo “figlio del sistema” – “sconosciuto alla maggioranza dei libanesi, come agli stessi deputati che lo hanno eletto”, sostiene Majed – rischia di ritorcersi contro chi oggi la sostiene. Per primo, Emmanuel Macron.

 

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Quella parte della società civile che è scesa in piazza contro un sistema inamovibile e corrotto “può interpretare l’ingerenza francese e quel senso di realpolitik macronienne come il tentativo di preservare l’attuale classe politica”, ricorda Ziad Majed. Anche per questo, fin dalla prima visita simbolica quarantotto ore dopo l’esplosione, il presidente francese nei suoi discorsi è attento a rivolgersi innanzitutto alla popolazione – ai “fratelli libanesi” – e ha incontrato alcuni rappresentanti del mondo universitario, della stampa e delle associazioni locali. Le immagini che lo hanno mostrato abbracciare i superstiti facendosi largo fra telecamere e macerie ricordano quelle del 1983, quando François Mitterrand atterrava nella capitale del Libano in piena guerra civile, poche ore dopo l’attentato di Drakkar. O ancora quelle del 2005, quando Jacques Chirac accompagnava al cimitero la moglie di Rafiq Hariri, da buon “migliore amico”, come lo chiamava l’ex premier morto in quell’attentato rimasto nella storia del medio oriente.

 

Tre settimane dopo, Macron ritorna in Libano con un’agenda precisa. Include l’organizzazione a ottobre di una conferenza a sostegno del Libano a Parigi, e una terza visita nella capitale libanese verso la fine dell’anno, fa sapere Ziad Majed. “Il ritorno di Macron a Beirut oltrepassa il simbolismo, mette in chiaro le ambizioni francesi e supera le frontiere libanesi. Per ragioni storiche ed economiche, l’Eliseo intende non solo preservare le proprie relazioni bilaterali favorite, ma svilupparle intervenendo nella ricostruzione del paese, fisica e finanziaria”, spiega il politologo. Per Ziad Majed, questo è il ritorno della diplomazia francese in medio oriente. Parigi interviene nel gioco delle influenze: da una parte in chiave anti turca, dall’altra nel tentativo di promuovere una mediazione tra Washington e Teheran.

 

Anche per questo ieri Macron si è fermato a Baghdad prima di tornare in Francia. Non è stata una visita qualsiasi, ma la prima del presidente francese in Iraq, proprio con l’intenzione di “aiutare il paese ad affermare la propria sovranità”, che vuol dire affrancarsi dalle ingerenze straniere, di Stati Uniti e Iran. Emmanuel Macron è il primo leader europeo di peso a incontrare il premier iracheno Moustafa al Kadhimi, nominato a maggio. La visita di Emmanuel Macron fa eco a quella del capo della diplomazia di Parigi: a Baghdad, a luglio, Jean-Yves Le Drian aveva annunciato di volersi “dissociare dalle tensioni del vicinato”. “Dopo il ritiro degli Stati Uniti, mentre Trump è impegnato sul fronte della politica interna in piena campagna elettorale, la Francia tenta di fare da mediatrice tra Washington e Teheran. Senza dimenticare che l’Iraq ha un enorme potenziale economico, e che da Baghdad dipende la sorte dei foreign fighter francesi trasferiti dal Kurdistan siriano all’Iraq”, conclude Ziad Majed.

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