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Pronti per la seconda ondata

L’Ue cerca coerenza per evitare che vada in quarantena Schengen

David Carretta

L’unilateralismo di Orbán e le iniziative nazionali mettono (ancora) a rischio la circolazione interna. Danni e rimedi

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Bruxelles. La Commissione cerca di correre ai ripari nel momento in cui la libera circolazione nell’Unione europea è nuovamente messa in discussione dall’unilateralismo di Viktor Orbán sulle frontiere e dalla frammentazione delle misure nazionali per contenere una seconda ondata di coronavirus. I commissari agli Affari interni e alla Giustizia, Ylva Johansson e Didier Reynders, ieri hanno scritto una lettera al governo ungherese per ricordare l’importanza dell’integrità dell’area Schengen e contestare l’applicazione discriminatoria delle restrizioni alle frontiere. “Ogni misura che non rispetta questi princìpi fondamentali della legislazione dell’Ue deve essere ritirata immediatamente”, ha detto Johansson. Il 28 agosto, di fronte a un aumento limitato dei contagi, l’Ungheria ha annunciato la chiusura dei confini a partire da ieri per gli stranieri, ma con un un’eccezione per cechi, slovacchi e polacchi. Il messaggio di Orbán è politico: il gruppo di Visegrád vale più dell’Ue. “Non è possibile avere discriminazione sulla base della nazionalità tra cittadini europee”, ha risposto un portavoce della Commissione.

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Bruxelles. La Commissione cerca di correre ai ripari nel momento in cui la libera circolazione nell’Unione europea è nuovamente messa in discussione dall’unilateralismo di Viktor Orbán sulle frontiere e dalla frammentazione delle misure nazionali per contenere una seconda ondata di coronavirus. I commissari agli Affari interni e alla Giustizia, Ylva Johansson e Didier Reynders, ieri hanno scritto una lettera al governo ungherese per ricordare l’importanza dell’integrità dell’area Schengen e contestare l’applicazione discriminatoria delle restrizioni alle frontiere. “Ogni misura che non rispetta questi princìpi fondamentali della legislazione dell’Ue deve essere ritirata immediatamente”, ha detto Johansson. Il 28 agosto, di fronte a un aumento limitato dei contagi, l’Ungheria ha annunciato la chiusura dei confini a partire da ieri per gli stranieri, ma con un un’eccezione per cechi, slovacchi e polacchi. Il messaggio di Orbán è politico: il gruppo di Visegrád vale più dell’Ue. “Non è possibile avere discriminazione sulla base della nazionalità tra cittadini europee”, ha risposto un portavoce della Commissione.

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L’esecutivo europeo ha anche accusato Budapest di aver annunciato la chiusura delle frontiere senza informare Bruxelles e le altre capitali. Secondo la Commissione, “i controlli alle frontiere in quanto tali non sono una misura efficace nel contesto di questa pandemia”. Ma non è solo l’Ungheria a mettere a rischio la libera circolazione nell'Ue: la panoplia di misure sanitarie nazionali crea barriere che stanno compromettendo movimenti di persone e merci ed attività economiche.

 

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Con sei mesi di ritardo la Commissione e la presidenza tedesca dell’Ue vogliono tentare di porre rimedio al patchwork delle misure sanitarie. Oggi Parigi è zona rossa per il Belgio, ma non per Italia e Germania. L’Italia obbliga a quarantena e test chi rientra da Malta, Grecia, Spagna e Croazia, mentre la Francia non prevede niente per nessuno. Nei Paesi Bassi e in Austria la quarantena dura dieci giorni contro i 14 di altri paesi. Per chi torna da una zona a rischio, in Irlanda e Belgio l’obbligo di autoisolamento vale anche dopo un test negativo, mentre altrove basta un certificato di avvenuto tampone per muoversi liberamente. Questo approccio frammentato ha un impatto sul turismo e l’economia (le regole valgono per turisti, uomini d’affari, autisti di camion, studenti). Un commissario europeo, l’irlandese Phil Hogan, si è dovuto dimettere perché (tra le altre cose) aveva erroneamente pensato di essere libero di uscire dall’autoisolamento dopo un test negativo per un ricovero in ospedale.

 

L’elenco dei problemi legati a 27 approcci nazionali è contenuto in un “non paper” che la presidenza tedesca dell’Ue ha messo all’ordine del giorno della riunione di oggi degli ambasciatori degli stati membri. Ogni paese fornisce e usa i dati epidemiologici in modi diversi (alcuni a livello nazionale, altri a livello regionale). Per i criteri del rischio epidemiologico ciascuno stato membro usa suoi indicatori che portano a valutazioni divergenti delle aree a rischio. Alcuni governi hanno due categorie di paesi o regioni a rischio (verde e rossa), altri tre (verde, arancione e rossa), altri quattro (verde, gialla, rossa e arancione), altri nessuna. Nei paesi in cui ci sono restrizioni per chi rientra, la quarantena obbligatoria varia da dieci a 14 giorni, mentre le prove di test negativo possono essere richieste tra 48 e 72 ore, prima o dopo il viaggio. “Una risposta coerente è fondamentale per evitare un approccio frammentato come quello che abbiamo visto all’inizio dell’anno, così come per preservare l’integrità dell’area Schengen”, si legge nel “non paper” della presidenza tedesca. A marzo, senza armonizzazione sanitaria a livello europeo, ciascun governo aveva reagito per conto suo, fino al ritorno delle frontiere e i camion bloccati ai confini. Ora la Commissione spera di evitare una ripetizione della quarantena di Schengen. Sulla base della discussione tra gli ambasciatori, nei prossimi giorni intende proporre una raccomandazione agli stati membri per fissare criteri comuni per determinare i rischi epidemiologici, colori comuni per le zone a rischio e misure comuni per chi torna dalle zone rosse.

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