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non proprio una coincidenza

L'azione da bullo di Haftar all'indomani della visita di Di Maio

Valerio Valentini

Il sequestro dei due pescherecci italiani dimostra il nervosismo del generale, che pretende i 10 mila euro al mese che la Federpesca dovrebbe versare nelle casse delle sue milizie. I dubbi sulla visita del ministro degli Esteri a Tripoli 

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I più critici la vedono come una specie di ritorsione. Alla Farnesina provano a ridimensionare l'allarmismo, parlando di "una coincidenza", ché del resto di fatti simili ne sono accaduti anche in passato. La verità sta forse nel mezzo. Ma di certo, il sequestro di due pescherecci di Mazara del Vallo da parte della Guardia costiera libica, all'indomani della visita di Luigi Di Maio a Tripoli e Tobruk, non è del tutto casuale. E non solo per le tempistiche.

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I più critici la vedono come una specie di ritorsione. Alla Farnesina provano a ridimensionare l'allarmismo, parlando di "una coincidenza", ché del resto di fatti simili ne sono accaduti anche in passato. La verità sta forse nel mezzo. Ma di certo, il sequestro di due pescherecci di Mazara del Vallo da parte della Guardia costiera libica, all'indomani della visita di Luigi Di Maio a Tripoli e Tobruk, non è del tutto casuale. E non solo per le tempistiche.

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Le barche coinvolte nell'operazione militare disposta dalle milizie libiche di Khalifa Haftar, in verità, sono state quattro. I due pescherecci di Mazara, l'Antartide e il Medinea, sono stati sequestrati. Altri due, l'Anna Madre di Trapani e il Natalino di Pozzallo, sono invece riusciti a fuggire, ma i loro comandanti sono stati costretti a trasbordare sulle motovedette libiche, che li hanno condotti poi nel porto di Bengasi. Dove, in totale, sarebbero diciotto i marinai (alcuni italiani, altri tunisini, insonesiani e senegalesi) trattenuti dai militari libici

 

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L'azione – condotta dalle motovedette di quel generale Haftar che da anni combatte contro il legittimo governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj – è scattata nel pomeriggio di martedì. Quando, cioè, la capitaneria di porto di Palermo viene informata che i pescherecci Natalino e Medinea sono stati intercettati "da una o più motovedette libiche", a circa 40 miglia a nord-ovest di Bengasi. Operazione avvenuta non senza momenti di tensione, se è vero che, a quanto riferito dalla Guardia costiera al ministero egli Esteri, sarebbero stati esplosi anche dei colpi d'arma da fuoco: raffiche di avvertimento, sparate in aria o nell'acqua, per intimare all'equipaggio delle due barche siciliane di fermarsi. In quel momento, sul Natalino ci sono sette marinai: tre italiani e quattro tunisini. Stessi numeri, e stessa composizione, anche sul Medinea. Alla fine, però, i due pescherecci sono riusciti a sfuggire, procedendo verso nord-ovest. Anche se i due comandanti, stando a notizie non ufficiali, sarebbero stati comunque catturati (l'ipotesi è che si siano sacrificati consentendo però alle loro imbarcazioni di far rotta verso la Sicilia: ma al momento è solo un'ipotesi).

  

Meno fortunati, invece, sono stati altri due pescherecci. L'Anna Madre (con a bordo sei marinai italiani e un tunisino) e l'Antartide (con quattro italiani, due tunisini, due indonesiani e due senegalesi). Anche in questo caso, i due comandanti sono stati obbligati a salire sulla motovedetta libica che li aveva raggiunti, e a quel punto è stato intimato ai due pescherecci di dirigersi verso le coste libiche, fino a entrare nel porto di Bengasi

 

Dalle prime ricostruzioni, parrebbe che i pescherecci sarebbero stati intercettati all'interno della cosiddetta Zona di protezione della pesca (Zpp) libica, un'area che si estende fino a 62 miglia dalle coste e che sin dal 2005 Tripoli ha dichiarato autonomamente come di sua competenza, in conflitto più o meno esplicito con le autorità europee, che non ne riconoscono la legittimità. L'Italia, in questa diatriba, gioca un ruolo ambiguo (come spesso succede, al nostro paese, quando c'è di mezzo la Libia). Se, formalmente, Roma si associa alle proteste di Bruxelles, nei fatti il ministero competente (quello delle Politiche agricole) da anni raccomanda alle associazioni dei pescatori di rispettare la legislazione libica, facendo in modo che tutti i marinai italiani si tengano al di fuori di questa Zpp. Della serie: nel dubbio, meglio evitare rogne. 

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Non basta. Perché, da almeno due anni, c'è un nuovo attore in questa diatriba. Ed è la Military investment authority, una specie di fondo con cui il generale Khalifa Haftar finanzia le sue milizie, e la sua sconclusionata guerra permanente contro il governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj, quello riconosciuto a livello internazionale e sostenuto dalla diplomazia italiana. Ebbene, nell'estate del 2019, a cavallo tra il governo gialloverde e quello giallorosso, è stato siglato un accordo tra la Federazione italiana della pesca e questa Military investment authority: prevede, in sostanza, un diritto di transito e di pesca da parte dei nostri pescherecci in cambio di un pagamento di 10 mila euro al mese per cinque anni. Un lasciapassare, insomma. Si tratta di accordo siglato a inizio settembre (con Di Maio ministro degli Esteri) e definito "privato", così da escludere formalmente qualsiasi legame tra il nostro governo e le milizie di Haftar: sarebbe sconveniente, d'altronde, ufficializzare una nostra forma di finanziamento al generale che con quei soldi conduce azioni militari da noi condannate. "Ma noi non abbiamo mai pagato quella cifra", ci spiega Luigi Giannini, presidente di Federpesca. "Quello fu un accordo che non ebbe mai seguito, perché il pagamento di quei 10 mila euro avrebbe avuto anche implicazioni anche diplomatiche". Insomma, si firmò l'intesa "ma noi non abbiamo mai dato un centesimo di euro a nessuno, tantomeno alle milizie di Haftar". Pertanto, prosegue Giannini, "permane questa sorta di ambiguità: il nostro governo non riconosce la Zpp libica, ma noi siamo costretti a dire ai nostri pescatori di non entrare in quell'area".

 

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E qui veniamo alla visita di Di Maio. Già ieri erano trapelate, da fonti militari italiane, voci di perplessità rispetto al mancato incontro tra il nostro ministro degli Esteri e il generale Haftar. Di Maio ha infatti incontrato il premier al-Sarraj e il presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh. (D'altronde, gli incontri ravvicinati con Haftar e al-Sarraj sono sempre complicati: quando, a gennaio scorso, Conte incontrò il generale a palazzo Chigi, il premier libico decise di annullare all'ultimo minuto la sua visita col presidente del Consiglio, prevista subito dopo). C'è di più, però. C'è, infatti, che nel giugno scorso il governo di al-Serraj ha resi pubblici dei documenti che attestano le azioni illegali condotte dalla Military investment authority, e in quest'opera di disclosure è stato segnalato il finanziamento mensile che la nostra Federpesca versa nelle casse delle milizie del generale. 

 

L'azione di forza fatta dalle motovedette di Haftar, il sequestro dei nostri pescherecci, potrebbe insomma avere questo intento: un atto con cui il generale ha inteso ribadire al nostro governo la necessità di non interrompere i finanziamenti alla sua milizia – o, stando alle dichiarazioni che ci rilascia il presidente di Federpesca, di provvedere a erogarli, quei finanziamenti. Che questo sia avvenuto a poche ore dalla visita di Di Maio a Tripoli, conferisce maggiore credito a questa ipotesi. 

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