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Le dimissioni di Abe, lo stabilizzatore

Redazione

Le grandi riforme economiche, i successi diplomatici e il rimpianto più grande

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Si è dimesso Shinzo Abe, il primo ministro che ha governato più a lungo il Giappone dalla fine della Seconda guerra mondiale. Dopo una serie di governi democratici traballanti, dopo lo tsunami del 2011, Abe è stato in grado di unire tutte le anime del centrodestra giapponese, di rilanciare il conservatorismo e di creare una grande coalizione che è durata per quasi otto anni e che ha garantito la stabilità politica di cui il Giappone aveva bisogno per iniziare la stagione delle riforme. Se dal 2012 stabilità è la parola d’ordine dei mandati di Abe – era diventato primo ministro per la prima volta nel 2006 e si era dimesso un anno dopo sempre per problemi di salute – il campo che il primo ministro ha cercato di stabilizzare di più è stato quello economico. C’era bisogno di far uscire il Giappone dalla depressione economica durata vent’anni e Abe nel 2013 aveva lanciato le tre frecce dell’Abenomics, la sua politica economica che oltre a puntare sull’aumento dell’Iva poggia su tre pilastri: politica monetaria audace (per trasformare la deflazione in inflazione), politica fiscale flessibile e una strategia di crescita interna fatta di investimenti pubblici e privati.

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Si è dimesso Shinzo Abe, il primo ministro che ha governato più a lungo il Giappone dalla fine della Seconda guerra mondiale. Dopo una serie di governi democratici traballanti, dopo lo tsunami del 2011, Abe è stato in grado di unire tutte le anime del centrodestra giapponese, di rilanciare il conservatorismo e di creare una grande coalizione che è durata per quasi otto anni e che ha garantito la stabilità politica di cui il Giappone aveva bisogno per iniziare la stagione delle riforme. Se dal 2012 stabilità è la parola d’ordine dei mandati di Abe – era diventato primo ministro per la prima volta nel 2006 e si era dimesso un anno dopo sempre per problemi di salute – il campo che il primo ministro ha cercato di stabilizzare di più è stato quello economico. C’era bisogno di far uscire il Giappone dalla depressione economica durata vent’anni e Abe nel 2013 aveva lanciato le tre frecce dell’Abenomics, la sua politica economica che oltre a puntare sull’aumento dell’Iva poggia su tre pilastri: politica monetaria audace (per trasformare la deflazione in inflazione), politica fiscale flessibile e una strategia di crescita interna fatta di investimenti pubblici e privati.

 

Shinzo Abe ha ridato anche grande stabilità diplomatica a Tokyo, la diplomazia e l’economia vanno spesso insieme, e lui è riuscito a gestire persino Donald Trump e a mantenersi in equilibrio tra la Cina e gli Stati Uniti. Abe ha ridato al Giappone un progetto chiaro, anche se non è riuscito a portare a termine tutte le sue idee e le sue ambizioni, economiche e diplomatiche. Ha dimenticato lungo la sua strada di indicare un delfino, qualcuno in grado come lui di essere riconoscibile a livello internazionale e uno stabilizzatore a livello interno e adesso, nel Partito liberal democratico, girano tanti nomi e poche certezze. C’è una cosa che soprattutto Abe ha lasciato a metà: il progetto del grande rilancio del Giappone. Avrebbe dovuto realizzarlo con le Olimpiadi del 2020, ma poi è arrivata la pandemia.

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