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Terzo giorno di convention repubblicana

Non importa il risultato elettorale e il caos fuori dalla bolla repubblicana, il trumpismo è qui per rimanere

Luciana Grosso

Donald Trump si contraddice e racconta un mondo che non c'è, ma l'immagine che passa è quella del "miglior presidente che l'America abbia mai avuto". Il problema con le donne e il ruolo di Pence

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Manca un giorno solo alla fine della convention di nomina di Donald Trump e un messaggio appare chiaro: il trumpismo è qui per rimanere. Non importa quale sarà il risultato elettorale. Non importa quali e quanto gravi saranno le crisi che, anche in questi giorni, anche oggi stesso, il trumpismo non sarà in grado di risolvere. La loro vittoria, Donald Trump e i suoi, l'hanno già avuta ed è quella della battaglia per la testa delle persone, faccenda che conta assai più dei loro voti. Se alle elezioni invece che fogli con su un nome si contassero le persone che pensano a Trump, quest’ultimo probabilmente prenderebbe il 100 per cento perché tutti, quando voteranno, penseranno a lui e a cosa farsene della sua presidenza.

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Manca un giorno solo alla fine della convention di nomina di Donald Trump e un messaggio appare chiaro: il trumpismo è qui per rimanere. Non importa quale sarà il risultato elettorale. Non importa quali e quanto gravi saranno le crisi che, anche in questi giorni, anche oggi stesso, il trumpismo non sarà in grado di risolvere. La loro vittoria, Donald Trump e i suoi, l'hanno già avuta ed è quella della battaglia per la testa delle persone, faccenda che conta assai più dei loro voti. Se alle elezioni invece che fogli con su un nome si contassero le persone che pensano a Trump, quest’ultimo probabilmente prenderebbe il 100 per cento perché tutti, quando voteranno, penseranno a lui e a cosa farsene della sua presidenza.

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Da questa terza (noiosa) serata di convention, al solito, porteremo a casa alcune cose che probabilmente rimarranno con noi nei prossimi anni.

     

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Donald, uno nessuno e centomila


Tra le cose che, probabilmente nei prossimi anni saranno studiate con maggiore perizia dell’epoca di Donald Trump, è la assoluta capacità di dire una cosa e il suo esatto opposto nel giro di un batter di ciglia e soprattutto senza nessuna difficoltà, imbarazzo, esitazione. Senza nemmeno chiedere scusa o nascondersi dietro un colpo di tosse.


Così Donald Trump, in questi giorni, è stato descritto come un guerriero e un lavoratore instancabile che combatte per ciò in cui crede, un commander in chief, come "il miglior presidente che l’America abbia mai avuto" (attenzione, "ever": lo hanno ribadito più volte. E gli altri repubblicani? E le icone nazionali tipo Abraham Lincoln o Franklin Delano Roosevelt o Dwight Eisenhower? Si scansassero grazie, il loro tempo è finito). Attenzione però: non c’è niente di male in tutto questo. Siamo in una convention, e per forza e logica di cose, si tratta di una specie di lungo e articolato peana del candidato. E va bene, ci mancherebbe fosse il contrario. L’agiografia, in eventi come questi, è di casa. Quel che sorprende è l’apodissi, la contraddittorietà, e la scarsa adesione alla realtà con cui la Trumpeide viene cantata. Non stiamo dicendo che questo modo dogmatico di presentare il proprio leader non possa funzionare. Anzi: elettoralmente e culturalmente è nei fatti che in parte funziona. Ma piuttosto diciamo che questo modo di fare, del tutto nuovo in una convention, è strano, inedito e potenzialmente "here to stay".

   

Il mondo? Quale mondo?

Anche gli interventi registrati, a quanto pare, erano “there to stay”: sono stati registrati alcune settimane fa, e nessuno ha avuto la minima idea di cancellarli, modificarli, rifarli. Così sono e restano. E se il mondo, nel frattempo, intorno cambia (uragani, rivolte di piazza, diciassettenni che sparano sulla folla, ecc) pazienza, gli interventi restano quelli e che il mondo si adegui.

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La questione, attenzione, è molto più profonda di quel che potrebbe sembrare: non ha a che fare con la pigrizia di non rifare un intervento per adattarlo agli eventi; non ha a che fare con i disguidi legati, per forza di cose, a una convention preregistrata. Il fatto che non si sia voluto adattare e adeguare il programma ha a che fare con il fatto che il GOP (o meglio l’ampia fetta del partito che sostiene Trump) non ha nessun interesse a uscire dalla sua bolla. Non ha nessun interesse a che la quiete del mondo a misura di MAGA (Make America Great Again) sia scalfito dal casino vero che c’è fuori. Così trattano i problemi veri, dal Covid a Kenosha, come si tratta un barboncino petulante che abbaia: lo si ignora e prima o poi si stancherà.

   

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Repetita iuvant

Il terzo giorno di convention, bene dirlo chiaro, è in genere il più noioso. É sempre così ed è un po’ nell’ordine delle cose: il primo giorno è con il botto, il secondo serve a tenere alto il livello, il quarto è quello dell’investitura del candidato. Ci sta che il terzo si tiri il fiato: serve a creare una piccola depressione nell’interesse del pubblico, così poi da prendere la rincorsa per il giorno del presidente, serve a presentare il vice che, insomma, è figura di interesse piuttosto relativo.


Tutto ciò premesso, gli interventi di questa notte sono stati particolarmente fiacchi, persino per essere quelli del terzo giorno, e all’insegna di cose già viste e già dette negli scorsi giorni: Biden è un bolscevico senzaddio, il Covid è alle spalle e il presidente lo ha gestito alla grande, l’America è sotto l’attacco dei gay, degli abortisti e degli ambientalisti, i democratici vogliono regalare le città a ladruncoli e drogati e nessuno di noi sarà mai più al sicuro. Cose che i trumpiani vanno ripetendo da giorni, con buona pace del fatto che sono campate per aria. Ma che diventano vere nel momento stesso in cui vengono dette ad alta voce.

     

Trump ha un problema: le donne

I problemi di Trump con le donne non sono legati solo alle svariate denunce per molestia che sono state presentate a suo carico, o per qualche spacconata alla "Access Hollywood". No. sono dovuti al fatto che buona parte (circa il 60 per cento) delle donne non lo ha votato nel 2016 e non lo vuole votare nel 2020. Per questo, tra i relatori di questi giorni, così tanti sono donne. Perché si vuole far passare il messaggio che Donald è uno che ha a cuore le donne più di ogni cosa e che non si limita a volere che siano madri e mogli serene, ma le porta in palmo di mano sul lavoro. "Trump ci ascolta e ci consulta, rispetta le nostre opinioni e insiste sul fatto che siamo su un piano di parità - ha detto Kellyanne Conway - Il presidente Trump mi ha aiutato a infrangere una barriera nel mondo della politica dandomi potere e fiducia”. Verrebbe da farle presente che non è finita molto bene, ma transeat.

   

Mike Pence

Il vice di Trump è, dal 2016, una delle scelte più azzeccate fatte dal presidente perché riesce a essere completamente invisibile eppure, allo stesso tempo, ad amplificare il messaggio e i temi, poiché più educato e presentabile di Trump stesso, alle cui cause ha tuttavia aderito senza compromessi. Pence è trumpiano in tutto e per tutto. Solo, non ha il vernacolo di Trump, la virulenza verbale e, per dirla tutta, neppure la creatività e la fantasia politica di Trump. Per questo Pence è il vice perfetto. E per questo potrebbe essere un candidato vice molto migliore di quanto potrebbe, un giorno, essere un candidato presidente. Perché c’è sempre, anche se non si vede mai.


È così da quattro anni, ed è stato così anche questa notte: il suo discorso è stato uno dei pochi in diretta e uno dei pochi ad aver fatto riferimento alle violenze di questi giorni e al Covid come a un disastro in corso, e non come a un ennesimo successo della presidenza Trump. Ma è stato anche un lungo ritratto dell’America ‘safe’ di Donald Trump, in cui ogni cosa viene messa al suo posto, al contrario del caos e della violenza che ci sarebbe con Joe Biden. “You won’t be safe in Joe Biden’s America”, ha ripetuto più volte Pence.

Se questo sia vero o no, è tutto da vedere. Ma da quel che si legge in giro, anche Mike Pence è "here to stay" disposto ad andare ovunque lo porterà Trump, 2024 incluso.

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