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Lukashenka gira per Minsk con il kalashnikov in mano perché vede nemici ovunque

Micol Flammini

Neppure per il Cremlino i manifestanti bielorussi sono violenti, ma il dittatore veste in uniforme anche il figlio Kolya

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Roma. Le ha provate tutte Aljaksandr Lukashenka per rimanere al potere. La violenza delle forze speciali contro i manifestanti. Poi gli appelli accorati agli operai: state attenti, fidatevi di me. Ha chiesto aiuto alla Russia, ha cercato qualche rassicurazione dal presidente Vladimir Putin. Ma era troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Lukashenka ha giocato – male – ogni carta a sua disposizione e lo scorso fine settimana, mentre in piazza c’era una protesta enorme, non ha trovato nulla di più rassicurante da fare che mostrarsi davanti alle telecamere con il kalashnikov in mano. 

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Roma. Le ha provate tutte Aljaksandr Lukashenka per rimanere al potere. La violenza delle forze speciali contro i manifestanti. Poi gli appelli accorati agli operai: state attenti, fidatevi di me. Ha chiesto aiuto alla Russia, ha cercato qualche rassicurazione dal presidente Vladimir Putin. Ma era troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Lukashenka ha giocato – male – ogni carta a sua disposizione e lo scorso fine settimana, mentre in piazza c’era una protesta enorme, non ha trovato nulla di più rassicurante da fare che mostrarsi davanti alle telecamere con il kalashnikov in mano. 

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Il dittatore è ormai prigioniero della sua capitale dove da inizio agosto vanno avanti le manifestazioni. Adesso si muove soltanto in elicottero, ha fatto blindare le strade e oltre a impugnare il fucile indossa il giubbotto antiproiettile. La giornata di domenica, con i manifestanti nelle strade della capitale a chiedere pacificamente nuove elezioni, è iniziata per Lukashenka nella sua war room, la stanza della guerra. Mentre le telecamere lo riprendevano con il kalashnikov appoggiato sul tavolo a fare telefonate e a informarsi riguardo all’andamento della protesta in stanza con lui c’era Kolya, suo figlio, anche lui in uniforme e giubbotto antiproiettile. Poi i due hanno preso un elicottero e il presidente guardava fuori dal finestrino. Guardava quella che è stata la sua Minsk, i manifestanti – nell’audio del video trasmesso dalla televisione pubblica chiamava le persone in piazza “ratti” – e diceva a Kolya di mettere bene l’uniforme. Il tragitto che un tempo avrebbe fatto in macchina lo ha fatto armato e in elicottero ed è atterrato nel suo palazzo, dove ad attenderlo c’erano gli uomini delle forze speciali.

 

Ha insistito per farsi riprendere mentre li ringraziava. “Ragazzi, vi ringrazio. Siete una leggenda”. “Resteremo con te fino alla fine”, gli rispondevano loro. Minsk non è più sua, la capitale ha ormai un altro spirito, una nuova vitalità, immagina un nuovo futuro. La speranza dei cortei bielorussi è ormai talmente forte ed entusiasta che il dittatore è a corto di piani. Al suo fianco sono rimaste le forze dell’ordine, neppure tutte, e i servizi segreti che hanno deciso di stare dalla parte del dittatore in modo incondizionato, non perché credano in lui, ma perché l’arrivo di un nuovo leader politico potrebbe compromettere la loro posizione. Soprattutto dopo aver picchiato la gente in piazza e dopo aver costretto a sette ore di interrogatorio Svjatlana Tikhanovskaya. Il dittatore armato voleva dare segnali di forza, invece appare come un non-leader, costretto a guardare la sua capitale dal finestrino di un elicottero, ossessionato dalla volontà di mostrare che è lui a rischiare la vita e non i manifestanti. Ha fatto vedere suo figlio Kolya in uniforme per aumentare l’idea di pericolo, anche lui deve imparare a proteggersi, ma anche per dare l’idea di una possibile successione, come se i bielorussi potessero stare più tranquilli all’idea di essere governati da un altro Lukashenka.

 

Il dittatore ha fatto molte scelte sbagliate. Per rimanere al potere aveva due opzioni: fare concessioni democratiche o la repressione. Alla democrazia ha preferito la repressione, portando dalla parte della piazza anche chi aveva deciso di disinteressarsi a queste elezioni. Sperava che fosse Mosca a risolvere la situazione, il presidente russo Putin per ora osserva, si tiene lontano, ha mandato qualche consigliere e un aereo dei servizi, ma ieri il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha rilasciato all’agenzia Tass una dichiarazione che dovrebbe far riflettere molto Lukashenka: “Finora abbiamo notato che non è avvenuta nessuna provocazione da parte dei manifestanti. Non c’è bisogno di misure dure”. Anche Mosca è sempre più lontana. I bielorussi non sanno più se temere Lukashenka o se riderne, domenica, dopo lo spettacolo del presidente armato, il ministero della Difesa ha rilasciato un comunicato per denunciare le numerose minacce straniere contro lo stato bielorusso. Ha parlato di palloncini bianchi e rossi lanciati dalla Lituania: “Contenevano messaggi antistatali”. Il ministro, in accordo con il presidente, ha mandato degli elicotteri militari, Mi-24, per fermare i palloncini.

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