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Le proteste di Minsk hanno il loro inno, la canzone di tutti i cambiamenti dell'est

Micol Flammini

Viktor Tsoi e la storia di un equivoco nato durante la perestrojka

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In tutti questi anni la Bielorussia è rimasta a guardare, la storia sembrava appartenere agli altri, con le loro rivoluzioni, i loro cambi di regime, i loro golpe. Quando l’Unione sovietica veniva giù, e ogni stato aveva i suoi cortei e le sue forme di protesta, anche allora, la Bielorussia rimaneva a guardare. Diversa ed estranea da quel momento storico, si è ritrovata indipendente quasi per caso. Questi trent’anni sono trascorsi in una bolla, ma anche Minsk si è svegliata, anche Minsk adesso ha desideri diversi, elettori diversi, e soprattutto la tentazione della democrazia, e così è scesa in piazza, sciopera, e dice al dittatore di andarsene. Per organizzare la loro protesta i bielorussi hanno recuperato anche qualche simbolo del passato e nelle manifestazioni, che in questi giorni sembrano sempre più delle feste – le bandiere, i palloncini, le ragazze vestite di bianco – hanno anche recuperato una canzone proibita. L’inno di tutti i cambiamenti desiderati e poi conquistati dalle nazioni ex sovietiche.

  

Questa in realtà è la storia di un equivoco, come spiega Lev Gankine del sito di notizie russe Meduza, ma anche Minsk in questi giorni ha cantato a ripetizione la canzone “Peremen”, “Cambiamento” di Viktor Tsoi. Dice Gankine che Tsoi, cantante del gruppo rock Kino, non aveva intenzione che le sue parole diventassero l’inno di tutti i cambiamenti e di tutte le rivoluzioni. E anzi, la cosa lo infastidiva. Tsoi oggi avrebbe avuto cinquantacinque anni e chissà se vedere i bielorussi che fanno della sua canzone un atto di ribellione gli avrebbe dato ancora fastidio. A volte non si può far nulla, una canzone scappa da chi l’ha composta, si allontana, e quei versi che Tsoi aveva scritto senza pensare alla Russia stanca della fine dell’Unione sovietica, diventarono i versi della perestrojka.

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“Peremen” è una delle canzoni più bistrattate delle storia dell’est, le piazze di varia forma e vario genere ne hanno fatto la propria colonna sonora e siccome la storia rimane un affare irrisolto nella parte orientale del continente europeo, i versi di Tsoi sono stati ripresi più e più volte da più e più piazze. Racconta il giornalista di Meduza che c’è chi sostiene che nel 1991, l’agosto del tentativo di colpo di stato a Mosca contro Gorbaciov, la intonasse la gente ammassata attorno al palazzo del Parlamento russo. La Bielorussia che non sta più a guardare, e che con la storia ha più di un conto in sospeso, ha ripreso l’inno della perestrojka e ne ha fatto la colonna sonora delle sue attese: i ragazzi in piazza aspettano la libertà e il futuro. Durante uno dei comizi di Svjatlana Tikhanovskaja, due dj sono stati arrestati perché avevano suonato a Minsk la canzone di Tsoi e se già i manifestanti la canticchiavano, ognuno per sé, ripetendo la parola “cambiamento” (peremen) come un mantra, dopo l’arresto è diventata il manifesto potente dell’opposizione. Viktor Tsoi aveva in mente tutt’altro, assicura Lev Gankine. Ma all’epoca, cambiamento voleva dire una cosa sola. Quella cosa è rimasta addosso alle note, ai versi, a lui. La Bielorussia, che ha atteso la sua storia per trent’anni, adesso ha una voglia pazza di cambiamento e a est il cambiamento suona così: “I nostri cuori invocano un cambiamento, i nostri occhi invocano un cambiamento, Nelle nostre risate e nelle nostre lacrime e nella pulsazione delle vene: ‘Cambiamento! Stiamo aspettando il cambiamento!’”.

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