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La Merkel non è più riluttante in politica estera e la Bielorussia è il primo test

Micol Flammini

La Germania ha condannato subito dopo il voto quello che stava succedendo a Minsk ed è stata tra i primi a non riconoscere il risultato delle elezioni

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Roma. Sono tante le cose che stanno cambiando nella politica di Angela Merkel e sono mesi che, complice la crisi sanitaria, la cancelliera tedesca non fa che stupire, addirittura osare. Lo ha fatto con il Recovery fund e a ben guardare, osservando con attenzione le sue ultime mosse, lo sta facendo anche in politica estera. Di essere una leader lo sapeva già, adesso ha capito che è arrivato il momento di assumere, oltre alla leadership tedesca, anche quella europea. Questo vuol dire anche risvegliare la voglia di politica estera, che nei suoi anni di carriera la cancelliera ha sempre considerato un affare di certo importante, ma da trattare anche con moltissima prudenza. Tra lei ed Emmanuel Macron era lui – un po’ per carattere un po’ perché la Francia ha sempre avuto una dimensione più internazionale rispetto agli altri paesi europei – quello alla ricerca di una politica estera forte che fosse francese, ma anche europea. I due si incontreranno domani al Forte di Brégançon e parleranno soprattutto di questioni internazionali. La Germania dal primo luglio ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, in tempo per gestire delle situazioni importantissime: emergenza sanitaria, crisi economica e un mondo esterno in continuo cambiamento con un’America meno attenta alle sue responsabilità internazionali e propensa a rimettere in discussione le alleanze di sempre, e con una Cina sempre più forte e sempre meno affidabile. Questi ultimi mesi per Angela Merkel sono stati i mesi del risveglio e quando sembrava essere pronta a lasciar scivolare la sua eredità politica, ha deciso di fare il salto: va bene essere la leader delle Germania, ma adesso è il momento dell’Ue. Questo nuovo atteggiamento di Angela Merkel si vede in tutto, anche in politica estera. Qualche retroscena suggerisce che il presidente francese inizi a dimostrare segni di fastidio: la Merkel è la leader dell’Ue, ma è lui che l’ha scossa – anche quando lei gli diceva: smettila di rompere i cocci che poi tocca a me rimettere tutto a posto – e questo a Macron viene riconosciuto poco.

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Roma. Sono tante le cose che stanno cambiando nella politica di Angela Merkel e sono mesi che, complice la crisi sanitaria, la cancelliera tedesca non fa che stupire, addirittura osare. Lo ha fatto con il Recovery fund e a ben guardare, osservando con attenzione le sue ultime mosse, lo sta facendo anche in politica estera. Di essere una leader lo sapeva già, adesso ha capito che è arrivato il momento di assumere, oltre alla leadership tedesca, anche quella europea. Questo vuol dire anche risvegliare la voglia di politica estera, che nei suoi anni di carriera la cancelliera ha sempre considerato un affare di certo importante, ma da trattare anche con moltissima prudenza. Tra lei ed Emmanuel Macron era lui – un po’ per carattere un po’ perché la Francia ha sempre avuto una dimensione più internazionale rispetto agli altri paesi europei – quello alla ricerca di una politica estera forte che fosse francese, ma anche europea. I due si incontreranno domani al Forte di Brégançon e parleranno soprattutto di questioni internazionali. La Germania dal primo luglio ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, in tempo per gestire delle situazioni importantissime: emergenza sanitaria, crisi economica e un mondo esterno in continuo cambiamento con un’America meno attenta alle sue responsabilità internazionali e propensa a rimettere in discussione le alleanze di sempre, e con una Cina sempre più forte e sempre meno affidabile. Questi ultimi mesi per Angela Merkel sono stati i mesi del risveglio e quando sembrava essere pronta a lasciar scivolare la sua eredità politica, ha deciso di fare il salto: va bene essere la leader delle Germania, ma adesso è il momento dell’Ue. Questo nuovo atteggiamento di Angela Merkel si vede in tutto, anche in politica estera. Qualche retroscena suggerisce che il presidente francese inizi a dimostrare segni di fastidio: la Merkel è la leader dell’Ue, ma è lui che l’ha scossa – anche quando lei gli diceva: smettila di rompere i cocci che poi tocca a me rimettere tutto a posto – e questo a Macron viene riconosciuto poco.

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Nel 2013 il settimanale britannico Economist era uscito con una copertina con il titolo “The Reluctant Hegemon”, la potenza egemone riluttante era la Germania di Angela Merkel. La cancelliera si era tenuta a distanza dagli affari internazionali, ma sono cambiate tante cose e anche se con il suo solito approccio prudente, la Merkel ora è pronta a parlare per tutti, anche per l’Ue. Non ci fosse stato Donald Trump, il disimpegno americano, i suoi attacchi alla Nato, non ci fosse stata la Cina, non ci fosse stato il ritorno della Russia su tutti gli scenari internazionali, la Merkel avrebbe continuato con la sua riluttanza.

 

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La cancelliera ieri è stata la prima leader internazionale a chiamare Vladimir Putin. Dopo di lei Emmanuel Macron – che per Mosca ha anche progetti importanti che in pochi approvano dentro all’Ue – e poi il presidente del consiglio europeo Charles Michel. Tra la cancelliera e il presidente russo c’è un rapporto che va avanti da quindici anni. Lei parla russo e lui parla tedesco, si conoscono ormai bene. Il parlamentare e portavoce della politica estera della Cdu/Csu, Jürgen Hardt, ha detto al Financial Times che il contenuto della telefonata non è noto, ma probabilmente la cancelliera ha detto a Putin che è importante mantenere la pace in Bielorussia ed evitare interventi armati. Per risolvere la situazione a Minsk, dove la protesta è tutta una questione interna priva di vessilli pro occidente o anti Russia – che riempivano invece le manifestazioni di Kiev del 2014 – non si può non coinvolgere Vladimir Putin. I rapporti tra la Russia e la Bielorussia sono strettissimi e il capo del Cremlino non ha nessuna predilezione per Lukashenka. Bisogna trattare, e per farlo bisogna coinvolgere Putin. La Germania ha condannato subito dopo il voto quello che stava succedendo a Minsk, è stata tra i primi a non riconoscere il risultato delle elezioni e sotto la sua regia sono stati fatti i primi passi per le sanzioni contro i funzionari bielorussi. La potenza egemone riluttante non è più così riluttante: il test più imminente di questo mutamento è la crisi in Bielorussia.

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