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Passi storici

Trump porta allo scoperto l’alleanza di fatto tra Israele ed Emirati Arabi

Daniele Ranieri

Il presidente Usa annuncia la normalizzazione dei rapporti fra i due stati. Israele sospende l'annessione annunciata dei territori palestinesi. Test per accordo di pace con sauditi?

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Ieri il presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di una svolta storica, perché anche gli Emirati come la quasi totalità dei paesi arabi non hanno mai riconosciuto lo stato di Israele.

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Ieri il presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di una svolta storica, perché anche gli Emirati come la quasi totalità dei paesi arabi non hanno mai riconosciuto lo stato di Israele.

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Soltanto l’Egitto e la Giordania hanno già fatto questo passo nel 1979 e nel 1994, ma entrambi sono paesi che hanno un confine – e interessi pratici – in comune con gli israeliani. Gli Emirati invece fanno parte di un diverso settore del mondo arabo, sono un paese del Golfo Persico e questa svolta lascia intravedere una possibile sequenza di altre normalizzazioni a catena con altri paesi arabi, a cominciare dall’Arabia Saudita.

 

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E’ possibile che l’accordo dei piccoli Emirati sia un test in vista di un accordo di Israele anche con i sauditi – considerato che i due paesi si muovono spesso come una coppia di potenze regionali e nella stessa direzione – che sarebbe una svolta ancora più decisiva.

 

L’accordo annunciato ieri prevede la normalizzazione dei rapporti, quindi l’apertura reciproca di ambasciate e la possibilità di voli aerei fra i due paesi, e la cooperazione in molti settori: investimenti, sicurezza, turismo e telecomunicazioni. In cambio Israele sospende l’annessione di alcuni territori palestinesi che era prevista nel – molto criticato – piano “Vision for Peace”. E’ come se di colpo molti dossier andassero a posto da soli. 

 

Molti paesi arabi, inclusi gli Emirati, che pure non avevano reagito allo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme (fu il riconoscimento concreto da parte degli Stati Uniti che la capitale di Israele è Gerusalemme), avevano annunciato che avrebbero reagito con durezza all’annessione. Ora il problema non c’è più. A fine giugno era stata anche annunciata una collaborazione tra i due paesi nella ricerca medica contro il Covid-19, ma era stata descritta come una semplice relazione “tra aziende private”.

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“Si respirava amore” durante il negoziato molto riservato tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’emiro Mohammed Bin Zayed (detto anche: MBZ) ha detto ieri Trump, che per l’occasione ha convocato alcuni giornalisti dentro allo Studio Ovale. Netanyahu ha ritwittato il tweet di Trump che annunciava l’accordo e ha aggiunto: una svolta storica.

 

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L’annuncio formalizza un’intesa tra Emirati Arabi Uniti e Israele che va avanti da tempo, anche se con molta discrezione. C’è già cooperazione nel settore della tecnologia bellica e nell’intelligence e i contatti si stavano facendo sempre più scoperti. Nell’ottobre 2018 l’allora ministro dello Sport, Miri Regev, era stata invitata ad Abu Dhabi per un torneo di judo al quale partecipavano anche atleti israeliani e aveva cantato l’inno nazionale quando uno di loro aveva vinto l’oro – mentre l’allora ministro israeliano per le Comunicazioni, Ayoob Kara, teneva un discorso a una più riservata conferenza sulla sicurezza a Dubai.

 

A luglio 2019 l’ex ministro israeliano degli Esteri e dell’intelligence, Ysrael Katz, aveva visitato anche lui Abu Dhabi e a gennaio sarebbe dovuto volare a Dubai – ma il viaggio era stato annullato per colpa della tensione con l’Iran. A ottobre Israele aprirà un padiglione all’Expò di Dubai. Tutte cose che fino a qualche anno fa avrebbero scatenato un’ondata di scandalo e recriminazioni nel mondo arabo e che invece adesso non fanno più notizia.

 

E questo senza menzionare gli incontri non pubblici, che sono stati senz’altro interessanti. I due paesi hanno stretto un’alleanza per fronteggiare l’Iran, che è un nemico comune e che a partire dalla guerra americana in Iraq nel 2003 si è molto allargato nella regione, dal Libano alla Siria, dall’Iraq allo Yemen. Hanno anche stretto un’intesa più recente per contenere la Turchia, che si espande nel Mediterraneo orientale (e la cosa preoccupa Israele) e in Libia (e la cosa preoccupa gli Emirati), tanto che si parlava di aiuti israeliani per il generale libico Haftar nel corso della guerra civile contro Tripoli – ma non ci sono prove ed è complicato stabilire quanto queste voci siano solide e quanto siano un modo per insultare Haftar (“Usa le armi dei sionisti!”).

 

Nel Golfo c’è movimento, come testimoniano gli avvistamenti questa settimana di aerei israeliani che facevano la spola con il Qatar, un altro regno sunnita – ma non alleato degli Emirati.

 

Non che questo annuncio non scatenerà la rabbia di un settore arabo (“Si respirava amore”) ma gli Emirati si sentono abbastanza forti da affrontare le ricadute. E per quanto riguarda i gruppi estremisti, quelli vorrebbero eliminare i potenti come l’emiro MBZ anche se non facesse accordi con Israele, per loro sono tutti corrotti che non rispettano la legge di Dio. Quindi non cambia molto. Tra Israele e gli Emirati sono questi ultimi ad avere fatto il percorso più lungo.

 

Da petromonarchia senza alcuna visione del mondo hanno voluto trasformarsi in una “piccola Sparta”, come dice una definizione che è molto girata, armata fino ai denti con tecnologia sofisticata e decisa a diventare influente nella regione prima che il greggio perda il suo valore nei prossimi anni. Trump ha portato allo scoperto un’alleanza di fatto che da anni è conveniente per entrambe le parti.

 

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