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Una star al centro

Stefano Pistolini

La mossa Kamala è giusta e ora l’attenzione si concentrerà su di lei e non sull’attendista Biden

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Roma. Anche se nel produrre la sua scelta non ha sorpreso nessuno, Joe Biden selezionando Kamala Harris come candidata alla vicepresidenza nel ticket elettorale per il voto del 3 novembre ha fatto la mossa giusta. A occhio nudo si percepisce come l’offerta progressista si sia rafforzata con la discesa in campo della 55enne senatrice della California e si può scommettere che d’ora in poi l’attrazione del rush per la Casa Bianca sarà lei, peraltro sufficientemente attrezzata per non cadere nei trabocchetti disseminati sul suo cammino. Biden insomma ha fatto un altro passo verso la vittoria, perché aver annesso al ticket una come la Harris significa tante cose nello stesso tempo, a cominciare dal segnale di sensibilità verso l’elettorato nero e le minoranze razziali, in questo momento in prima linea nella sofferenza sociale americana. Gli uomini e soprattutto le donne afroamericane avranno un’ottima ragione per andare a votare democratico, nella consapevolezza della rappresentatività incarnata dalla futura vicepresidente. E la stella di Kamala comincerà subito a brillare ben più di quanto abbia fatto quella baluginante del veterano Biden. 

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Roma. Anche se nel produrre la sua scelta non ha sorpreso nessuno, Joe Biden selezionando Kamala Harris come candidata alla vicepresidenza nel ticket elettorale per il voto del 3 novembre ha fatto la mossa giusta. A occhio nudo si percepisce come l’offerta progressista si sia rafforzata con la discesa in campo della 55enne senatrice della California e si può scommettere che d’ora in poi l’attrazione del rush per la Casa Bianca sarà lei, peraltro sufficientemente attrezzata per non cadere nei trabocchetti disseminati sul suo cammino. Biden insomma ha fatto un altro passo verso la vittoria, perché aver annesso al ticket una come la Harris significa tante cose nello stesso tempo, a cominciare dal segnale di sensibilità verso l’elettorato nero e le minoranze razziali, in questo momento in prima linea nella sofferenza sociale americana. Gli uomini e soprattutto le donne afroamericane avranno un’ottima ragione per andare a votare democratico, nella consapevolezza della rappresentatività incarnata dalla futura vicepresidente. E la stella di Kamala comincerà subito a brillare ben più di quanto abbia fatto quella baluginante del veterano Biden. 

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Lui, del resto, ha capito presto che proprio nel “non fare” risiedeva il segreto per fregare la Casa Bianca a Trump e alla sua insipienza. Diverso il discorso per la Harris, che sale alla ribalta con una prospettiva di medio termine elettrizzante: Biden ha già reso noto che la sua sarà una scommessa secca. Se vincerà, tra quattro anni, a 81 primavere suonate, non si ripresenterà. Dunque l’abbrivio verso la seconda poltrona d’America rappresenta per Kamala anche il trampolino di lancio verso la possibile prima presidenza di una donna nella storia della nazione. Motivi di straordinaria attrazione mediatica, che fanno di lei, da subito, la protagonista dello scontro finale. Del resto, nel faccia a faccia col pari grado Mike Pence, quando arriverà il momento dei dibattiti tv, la Harris dispone di tutto l’arsenale politico, il vigore e della presenza necessaria per aggiudicarsi la posta. Gli americani hanno già imparato a conoscerla nelle commissioni che hanno messo sulla graticola il procuratore generale William Barr e il futuro giudice della Corte suprema Brett Kavanaugh, e si sono fatti un’idea del personaggio. A completare il quadro di garanzie, il suo background nel complicato scenario californiano, prima donna nera eletta procuratore distrettuale a San Francisco e procuratore generale della California. Anche le sue credenziali formative sono pura contemporaneità liberal: padre immigrato dalla Giamaica, madre immigrata dall’India, lei laureata alla Howard University, il tempio della migliore black culture. Non a caso Barack Obama si è affrettato a benedirla: “E’ preparata”, ha detto, “ha trascorso la carriera difendendo la Costituzione e battendosi per i deboli. Questa è una buona giornata per il paese”. Al Senato la Harris ha sostenuto un progetto di legge per rendere il linciaggio un crimine federale, ha lavorato per porre fine alle disparità razziali nel rispondere al COVID-19, ha fatto pressioni per il rilascio dei bambini migranti durante la pandemia. Come procuratore generale, Harris ha citato in giudizio società come Chevron e Bp per danni all’ambiente e ha imposto agli agenti di Polizia l’utilizzo delle body-cam. Nel 2019 ha annunciato la candidatura per le primarie dem, è partita bene, ha messo in luce telegenia e carisma, ma ha lasciato la corsa prima delle consultazioni. Motivazione: pochi soldi. Ma si può anche pensare a una strategia più raffinata: un grande spot e poi porsi in posizione d’attesa, dal momento che la sua figura era troppo potente per passare inosservata a chiunque cercasse accesso verso l’insondabile elettorato multirazziale. Le mobilitazioni post George Floyd, il malessere provocato dal Covid, la devastante gestione da parte dell’Amministrazione trumpiana hanno fatto il resto. Se la tiepida affluenza alle urne degli elettori neri nel 2016 contribuì a condannare Hillary contro Trump, con Kamala le cose dovrebbero andare nella direzione opposta.

 

Anche se ci sono dei “se”. Perché questo è vero oggi. Ma mancano dieci settimane alle urne e il campo repubblicano deve giocarsi tutto per non fare i conti con una disfatta. E la parola-chiave per il ticket Biden-Harris a questo punto dev’essere “equilibrio”. Rassicurare e non eccitare l’elettorato innervosito dalla defaillance di Trump, ma infastidito da questo sodalizio tra il vecchio che avanza e la modernità che preme. Perché, inutile negarlo, c’è una grande America che guarda con fastidio a un personaggio come Kamala, ai suoi argomenti, alla sua lingua veloce e sferzante. Kamala, nuova sensazione della politica Usa, dovrà cercare d’essere “eccitante”, come già la definisce l’ala progressista della nazione, ma “non troppo eccitante”, provocando un effetto boomerang in chi non crede all’America come al paese del cambiamento. Dice Leah Daughtry, veterana democratica: “Con tutte le questioni relative al razzismo sistemico, è importante avere una donna nera nel ticket, perché si tratta di capire il momento in cui ci troviamo”. Infatti: ma questo è il momento di vincere, non di fare rivoluzioni. Ma Kamala, tipa lungimirante (“Non voglio ristrutturare la società”, ha detto al NY Times. “Cerco di occuparmi dei problemi che di notte tengono sveglie le persone”) questo di sicuro lo sa.

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