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Il Regno Unito alle prese con il ritorno dell'indipendentismo scozzese

Gregorio Sorgi

Boris Johnson va in vacanza con un tormento: fermare le exit degli altri, soprattutto di Glasgow

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Londra. Dopo avere archiviato la Brexit, e gestito con molto affanno l’emergenza sanitaria, il premier britannico Boris Johnson si trova di fronte a una nuova insidia: il ritorno dell’indipendentismo scozzese. La crisi del coronavirus ha inaspettatamente rafforzato il fronte autonomista tanto che i sondaggi stimano che la maggioranza degli elettori sia a favore del divorzio. Oltre l’ottanta per cento degli scozzesi ritiene che il governo di Edimburgo abbia gestito la crisi sanitaria meglio rispetto agli inglesi. La Scozia ha imposto un lockdown più lungo rispetto al resto della Gran Bretagna, e ha introdotto l’obbligo della mascherina con alcune settimane di anticipo. Il numero dei decessi è in linea con la media europea, ma la premier Nicola Sturgeon rivendica lo stesso di avere ottenuto un successo.

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Londra. Dopo avere archiviato la Brexit, e gestito con molto affanno l’emergenza sanitaria, il premier britannico Boris Johnson si trova di fronte a una nuova insidia: il ritorno dell’indipendentismo scozzese. La crisi del coronavirus ha inaspettatamente rafforzato il fronte autonomista tanto che i sondaggi stimano che la maggioranza degli elettori sia a favore del divorzio. Oltre l’ottanta per cento degli scozzesi ritiene che il governo di Edimburgo abbia gestito la crisi sanitaria meglio rispetto agli inglesi. La Scozia ha imposto un lockdown più lungo rispetto al resto della Gran Bretagna, e ha introdotto l’obbligo della mascherina con alcune settimane di anticipo. Il numero dei decessi è in linea con la media europea, ma la premier Nicola Sturgeon rivendica lo stesso di avere ottenuto un successo.

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Di fronte al rischio di un nuovo exploit indipendentista, lo stato maggiore del governo inglese si è recato in Scozia per conquistare la fiducia degli elettori in vista delle elezioni regionali del prossimo maggio. Venerdì scorso il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, il ministro più popolare del momento, è andato in visita a Glasgow per illustrare il massiccio programma di aiuti a sostegno di lavoratori e imprese. “Gli ultimi mesi sono un buon esempio di come l’Unione funziona davvero bene”, ha detto Sunak prima di evadere le domande dei giornalisti su un possibile referendum. Johnson, che in Scozia è molto meno amato del suo giovane ministro, si era recato nelle isole di Orkney il 23 luglio in occasione dell’anniversario del primo anno di governo, e tra pochi giorni tornerà oltre confine per trascorrere le vacanze estive. Durante la pausa il premier resterà lontano dalla politica: trascorrerà del tempo con il figlio Wilfred e si dedicherà ai suoi hobby, tra i quali la rilettura delle opere del poeta romano Lucrezio. Ma il rischio di un nuovo referendum scozzese resterà una spina nel fianco per il governo almeno per i prossimi nove mesi.

 

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La Sturgeon intende riaffermarsi nelle elezioni di maggio con il suo Scottish nationalist party (Snp) per poi chiedere a gran voce un nuovo referendum sull’indipendenza. La sua speranza è che, di fronte a un’altra vittoria alle urne, il governo di Londra si rassegni a concedere un nuovo voto. All’epoca del primo referendum del 2014 gli stessi dirigenti dell’Snp sostenevano che, in caso di sconfitta, non ci sarebbe stata alcuna seconda possibilità. Tuttavia, Sturgeon sostiene che la Brexit abbia cambiato le carte in tavola: gli scozzesi sono usciti dall’Ue contro la propria volontà e dal 31 gennaio dovranno obbedire alle regole e i vincoli imposti dal governo di Londra e non più dalle istituzioni europee. Il problema è che per convocare un referendum è necessario il via libera di Downing Street, che però intende opporsi a ogni costo. Mesi fa in un incontro con la stampa estera la Sturgeon non aveva escluso di andare avanti con il voto nonostante il rifiuto di Londra, dando vita a una crisi costituzionale in cui il governo britannico sarebbe dalla parte della ragione. La strategia elaborata da Johnson e dal ministro plenipotenziario Michael Gove, di origine scozzese, è molto semplice: rifiutare a oltranza le richieste della Sturgeon e fare sentire la Scozia come una parte integrante del Regno Unito. Le iniziative delle scorse settimane hanno questo scopo: mostrare agli scozzesi che conviene continuare a fare parte dell’Unione e neutralizzare così la minaccia autonomista. Gran parte del gruppo parlamentare dei Tory crede fermamente nell’unione della Gran Bretagna e vede la prospettiva dell’indipendenza scozzese come una minaccia esistenziale da scongiurare a ogni costo.

 

I conservatori si sono affidati a una nuova leadership in Scozia per unire il fronte unionista nelle elezioni di maggio. La scorsa settimana è stato eletto Douglas Ross, parlamentare a Westminster e astro nascente, che verrà affiancato per i prossimi nove mesi da Ruth Davidson, l’ex leader carismatica dei Tory scozzesi che si era ritirata dalla politica un anno fa per dedicarsi alla maternità. Molti esponenti conservatori descrivono Ross come un politico di razza in grado di fare rinascere i Tory in una regione in cui hanno sempre sofferto. La strategia del partito è di evitare il più possibile il tema dell’indipendenza e concentrarsi invece sui problemi comuni dei cittadini. “Dobbiamo mettere alle spalle un decennio di divisione (...) non si deve ritornare alla politica del ‘noi contro loro’”, hanno scritto i due leader in un editoriale sull’edizione scozzese del Daily Mail. Il nome della Davidson evoca bei ricordi per i conservatori: era stata l’artefice della rinascita dei Tory in Scozia nelle elezioni del 2017, e all’epoca si era addirittura parlato di lei come una possibile erede di Theresa May alla guida del partito. Il governo di Londra spera che il suo carisma possa neutralizzare sul nascere una questione potenzialmente letale. Johnson non intende passare alla storia come l’ultimo primo ministro del Regno Unito.

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