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Disastro Libano

Daniele Ranieri

Da quando i libanesi sono scesi in piazza, la situazione di tutta l’area ha fatto un salto incredibile verso il peggio

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Se i libanesi non fossero impegnati in una prova di solidarietà nazionale ammirevole dopo il disastro di martedì, ci sarebbe da pensare che stanno per scendere di nuovo nelle strade per rivoltarsi contro il loro governo.

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Se i libanesi non fossero impegnati in una prova di solidarietà nazionale ammirevole dopo il disastro di martedì, ci sarebbe da pensare che stanno per scendere di nuovo nelle strade per rivoltarsi contro il loro governo.

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A ottobre un’ondata di proteste senza precedenti – che prendevano di mira persino il gruppo armato Hezbollah – riuscì a imporre l’arrivo di un nuovo governo, incaricato di superare la decadenza della politica libanese. Il paese non voleva collassare senza prima avere provato a scrollarsi di dosso un sistema politico dominato da partiti violenti e da affaristi. Ma il nuovo governo si era rivelato quasi subito l’ennesima copia di quelli precedenti.

 

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Nel migliore dei casi, incapace di raggiungere risultati. Adesso siamo di nuovo a un punto di crisi, che magari non sarà immediata perché c’è altro a cui pensare, ci sono i feriti negli ospedali e i morti da trovare, ma c’è. Il Libano in questo momento è un ibrido bizzarro, in alcune sue parti è come l’Etiopia degli anni Ottanta a rischio carestia ma nel centro della capitale ha ancora le boutique di moda francese, resto di un passato fastoso che risale a non più di otto mesi fa (e ora con molte vetrine rotte).

 

Se i libanesi erano scontenti in massa a ottobre, ora dovrebbero essere arrivati oltre ogni limite di sopportazione. Questi mesi prima del disastro sono stati terribili, in pratica un altro disastro ma senza l’attenzione dei media. La moneta libanese ha perso l’ottanta per cento del suo valore perché il grande trucco sul quale si reggeva l’economia del paese, il cambio fisso tra lira e dollaro che permetteva ai libanesi di acquistare all’estero beni che altrimenti non avrebbero potuto permettersi, ha smesso di funzionare.

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Il cambio fisso che resisteva da ventidue anni è saltato, il trucco è stato smascherato, la gente ha perso nel giro di pochi mesi quasi tutto il suo potere d’acquisto. “Prendi il tuo stipendio e dividilo per nove, capirai cosa ci è successo”, spiegava un libanese al New York Times in un articolo uscito di recente.

 

Poi è arrivata l’esplosione. Attraverso il porto di Beirut passava il sessanta per cento delle importazioni di un paese che non produce quasi nulla e importa quasi tutto. Il novanta per cento del grano consumato dai libanesi arriva da fuori e transita per quei grossi silos da 120 mila tonnellate di capienza che torreggiano sul porto e si vedono in quasi tutti i filmati dell’esplosione che ha devastato la capitale – e nelle foto dall’alto si vede il frumento sparso tutto attorno dall’onda d’urto: non è più commestibile.

 

Per fortuna, spiega l’associazione degli importatori di grano, in quel momento i silos erano quasi vuoti, quattro grandi navi con 28 mila tonnellate di grano a bordo non erano ancora riuscite a portare a terra il loro carico e aspettavano al largo. Le riserve di farina dovrebbero bastare per un mese e mezzo, scrive Bloomberg News, e non c’è il rischio di una carestia immediata. Resta quello di una carestia a medio termine: due milioni di libanesi, in un paese da cinque milioni di persone, rischiano la fame.

 

Il governo prova ad adattarsi alla situazione, le navi in arrivo saranno dirette verso il porto di Tripoli, più a nord, che non sta funzionando a pieno regime e quindi può tollerare un aumento del volume. Ma lo spostamento vuol dire più strada, più costi e più difficoltà nel momento più sbagliato. Una petroliera sta per arrivare sulla costa con un carico di carburante che dovrebbe far funzionare per un altro po’ le centrali elettriche.

 

Ma la prosperità che copriva i problemi e un po’ faceva da collante non c’è più, c’è una crisi che parte dal Libano, attraversa la vicina Siria squassata dalla guerra civile (così povera che i libanesi lucrano vendendo là il carburante che scarseggia pure da loro) e arriva in Iraq e in Iran, alle prese pure loro con lo spappolamento delle loro economia. L’esplosione ha attirato di colpo l’attenzione internazionale in direzione del Libano e quello che si vede è un intero settore del medio oriente che sta affondando. 

 

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