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Chi sarà il nuovo segretario del wto?

Chiamate l’arbitro

Paola Peduzzi e Micol Flammini

L’Organizzazione mondiale per il commercio cambia leader e mai come ora la scelta è cruciale. Per lo scontro tra Cina e America, ma anche per chi tiene alla globalizzazione

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Il prossimo direttore generale della Organizzazione mondiale per il commercio, la World Trade Organization (Wto) “è di fronte a una battaglia tutta in salita”, scrive il Financial Times, perché l’impulso verso la liberalizzazione degli scambi “sta scemando in buona parte del mondo”. La globalizzazione è in crisi, ma soprattutto si è introdotto un nuovo elemento nei rapporti commerciali globali. Basti pensare alla Cina e agli Stati Uniti, ma anche all’Unione europea e alla Cina, o alla Brexit. Ci vuole un arbitro per gestire le dispute, e questo arbitro è la Wto. Ma deve essere messa nelle condizioni di agire come protezione alla sfiducia collettiva, e per questo ha bisogno di una leadership forte e riconosciuta.

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Il prossimo direttore generale della Organizzazione mondiale per il commercio, la World Trade Organization (Wto) “è di fronte a una battaglia tutta in salita”, scrive il Financial Times, perché l’impulso verso la liberalizzazione degli scambi “sta scemando in buona parte del mondo”. La globalizzazione è in crisi, ma soprattutto si è introdotto un nuovo elemento nei rapporti commerciali globali. Basti pensare alla Cina e agli Stati Uniti, ma anche all’Unione europea e alla Cina, o alla Brexit. Ci vuole un arbitro per gestire le dispute, e questo arbitro è la Wto. Ma deve essere messa nelle condizioni di agire come protezione alla sfiducia collettiva, e per questo ha bisogno di una leadership forte e riconosciuta.

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Roberto Azevêdo, brasiliano, attuale segretario della Wto, ha annunciato a maggio che lascerà l’incarico entro agosto, in anticipo di un anno rispetto alla scadenza del suo secondo mandato. Le sue ragioni sono personali, ma è preoccupato per il futuro dell’Organizzazione: “La Wto non è certo perfetta – ha detto – ma è comunque indispensabile. Ci protegge da un mondo in cui prevale la legge della giungla, almeno per quel che riguarda i commerci”. L’Organizzazione, nata 25 anni fa, ha come scopo la negoziazione di accordi multilaterali, il controllo del libero scambio e la risoluzione delle dispute commerciali tra i vari paesi. Questo club, che comprende 164 paesi, però non sigla accordi rilevanti almeno dal 2015 e con l’arrivo di Donald Trump ha dovuto seguire la guerra dei dazi tra l’America e la Cina, senza grandi risultati. Per di più l’Amministrazione Trump, che persegue una battaglia contro le istituzioni internazionali (vedi l’Organizzazione mondiale per la Salute, come ultimo esempio) ha sospeso la nomina dei membri del comitato della Wto che risolve le dispute commerciali tra i vari paesi, togliendogli così di fatto la possibilità di essere operativo – e di decidere. Josh Hawley, senatore repubblicano del Missouri, aveva esplicitato in primavera la ragione del boicottaggio americano: la Wto sta dalla parte della Cina e impedisce all’America di combattere “l’imperialismo” cinese. Quando Azevêdo aveva annunciato le dimissioni, Hawley aveva twittato: “Spegni tutte le luci quando te ne vai”.

 

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La luce invece è bene tenerla accesa. Chi lo farà? Ecco i candidati alla successione di Azevêdo.

 

“Se non ci fosse la Wto, bisognerebbe inventarla”. Ngozi Okonjo-Iweala, ex ministro delle Finanze della Nigeria ed ex numero due della Banca mondiale, è la candidata più chiacchierata e tifata per la guida della Wto. Da quando la Nigeria è uscita dalla dittatura, nel 1999, la Okonjo-Iweala ha messo a frutto la sua esperienza nello sviluppo internazionale – dopo studi nelle università più prestigiose d’America, frequentate poi anche dai suoi quattro figli – per il suo paese ed è diventata una delle figure di riferimento per le riforme neoliberali della Nigeria. Nel 2018, ha pubblicato “Fighting Corruption Is Dangerous: The Story Behind the Headlines”, un libro molto bello sulla lotta alla corruzione – con molte istruzioni pratiche – che parla anche del rapimento di sua madre, avvenuto nel 2012 quando la Okonjo-Iweala aveva messo mano al settore del petrolio. Questo episodio, e il modo con cui lei lo racconta, rivela un tratto importante della Okonjo-Iweala: “It’s personal”, come dicono gli inglesi. Lei si mette in gioco in modo sfacciato e in modo altrettanto sfacciato risponde ai suoi detrattori. A metà luglio ha spiegato perché si sente la migliore candidata alla guida della Wto: “Contatti internazionali ne ho. Capacità manageriali anche, mi vengono da molti anni in un’organizzazione multilaterale come la Banca mondiale. La capacità di creare consenso, di negoziare, di riformare. Ho la fama di essere una riformatrice dura nella Bm e nel mio paese”. La Okonjo-Iweala è convinta poi che la Wto sia oggi indispensabile per custodire gli equilibri mondiali anche in una fase in cui l’America è meno America del solito. Il tono è conciliante: la Okonjo-Iweala ha detto che le argomentazioni americane sul comitato di controllo non sono sbagliate, il comitato “potrebbe aver agito oltre” i propri poteri. Un altro elemento importante della candidatura dell’economista nigeriana è che vuole creare un dipartimento della Wto che si occupi della catena di approvvigionamento del settore sanitario in modo che non ci siano disequilibri eccessivi in futuro. In particolare sul vaccino, su cui la Okonjo-Iweala ha esperienza: è presidente di Gavi, un’alleanza internazionale per sviluppare e distribuire (sappiamo che è la distribuzione il punto cruciale) i vaccini.


La Wto non sigla accordi dal 2015 e ha un problema con il comitato che risolve le dispute tra stati


 

La candidata “plug and play”. Le controversie riguardo Okonjo-Iweala non potrebbero essere spiegate meglio dal fatto che la contendente più competitiva è un’altra economista africana, la kenyota Amina Mohamed. Fino a ora, la Wto, che segue regole di rotazione continentali come le altre istituzioni sovranazionali, non ha mai avuto un direttore generale africano (né una donna). Quest’anno ci sono tre candidature: non si è trovato un accordo su un unico nome. La Mohamed è da sempre nel mondo delle istituzioni internazionali, non ha la sfacciataggine della nigeriana né una connotazione ideologica così forte. La dipingono tutti come una grande negoziatrice, attenta e carezzevole, ma già nel 2013 queste sue capacità erano note, eppure al suo posto fu scelto il brasiliano Azevêdo. Il secondo tentativo da un lato è più semplice, dall’altro si porta addosso il sapore di una sconfitta del passato. Oggi la Mohamed punta sul fatto che l’Africa vuole rimanere neutrale nel conflitto tra America e Cina (anche se sappiamo che di fatto molti paesi non lo sono) e come la Okonjo-Iweala ha detto che le posizioni americane, disprezzo a parte, non sono del tutto sbagliate. Quando parla della propria candidatura, la Mohamed dice di essere “aria fresca”, pronta a correre subito, e velocemente, “per la prima volta c’è qualcuno che ha già camminato molte volte nei corridoi della Wto, che conosce come funziona il sistema, che porta arguzia politica e che ha già negoziato molti accordi”. Se cinesi e americani non si esprimono sulle loro preferenze (si sono boicottati i candidati a vicenda), si dice che la Mohamed piaccia molto all’Europa.

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A proposito di Europa. L’Unione europea non ha espresso un suo candidato, non si è trovato un accordo. Il candidato più europeo che c’è è Liam Fox, che è britannico ed è a favore della Brexit – avrete già capito qual è il problema. Proprio in questi giorni, mentre le possibilità di un accordo sul divorzio dall’Ue entro l’anno sembrano basse, è successo un altro scandalo che coinvolge Fox, la Brexit e la Russia: la tempesta perfetta. Secondo uno scoop della Reuters, un account privato di Fox, che è l’ex ministro del Commercio, è stato hackerato dai russi che hanno preso dei documenti sul negoziato commerciale tra Regno Unito e Stati Uniti, una delle materie più sensibili che c’è. Queste 450 pagine sono finite poi l’anno scorso nelle mani dell’allora leader del Labour, Jeremy Corbyn (non si sa come, ma si sa da chi: i russi), che aveva utilizzato soltanto la parte che gli interessava, quella relativa al sistema sanitario nazionale. Il problema, oltre che nel merito, è formale: che cosa ci facevano documenti classificati nella posta privata di Fox? La non risposta ha creato un’ombra ulteriore su questa candidatura, che già nasce viziata dal conflitto di interesse sulla Brexit. Per qualche tempo, mezza Inghilterra ha cullato la speranza che alla Wto potesse andare un altro britannico, anti Brexit: Peter Mandelson.


L’Europa non è riuscita a mettersi d’accordo, così c’è un brexiteer e c’è un moldavo. Ma il tifo va, pare, alla kenyota


 

L’ingegnere che vorresti vicino. “Se la tua macchina si rompe, come adesso è rotta la Wto, chi vorresti avere con te? Sicuramente l’ingegnere che ha progettato il veicolo”. E così Abdel Hamid Mamdouh si presenta a tutti come “l’ingegnere”, la persona giusta per rimettere in funzione l’Organizzazione mondiale per il commercio. Di esperienza in effetti ne ha tantissima e forse, tra tutti i candidati, è quello che ha passato più tempo tra i corridoi di Ginevra. Lui ne conta venticinque: da quando ha fatto parte del gruppo responsabile della stesura del General Agreement on Trade in Services, il trattato istitutivo della Wto. Abdel Hamid Mamdouh è egiziano, è un avvocato, non un economista, ed è sicuro di poter unire due mondi: quello africano – di cui è il terzo candidato e lui dice anche il più forte – e quello arabo. Per Abdel Hamid Mamdouh, la Wto è diventata un meccanismo lento che ha bisogno di essere riformato in fretta, altrimenti, se già può poco, riuscirà sempre meno a svolgere la sua funzione di mediatore. La sua priorità, ha spiegato lanciando la candidatura, sarebbe quella di ricostruire il ruolo di negoziatore dell’organizzazione, “dobbiamo lavorare insieme, con meno politicizzazione, in modo meno emotivo e con più fiducia”. L’avvocato egiziano è sicuro che il suo passato nell’organizzazione sarà la sua arma vincente, e sente questa possibile investitura come il coronamento di tanti anni passati al suo interno: è tra quei corridoi che si è formato, è quello il suo mondo, ormai malandato che deve essere rimesso in piedi: l’importante è riscoprire il valore del compromesso. Dovrà vedersela soprattutto con le altre due candidate africane, ma lui punta sull’esperienza e sugli anni di servizio. “Il direttore generale – ha spiegato – non è un posto esecutivo tradizionale, il suo ruolo principale è quello di mediatore, costruttore di ponti e per questo deve avere una profonda conoscenza della Wto ed esperienza su come funziona il sistema del commercio internazionale”.

 

Ricostruire la fiducia. Yoo Myung-hee, ministra delle Finanze della Corea del sud, è la terza candidata alla guida della Wto. Dice che la sua forza è quella di creare fiducia laddove non ce n’è più, e vuole rendere il multilateralismo “rilevante, resiliente, efficiente”. Sostiene anche che la pandemia ha messo sotto ulteriore stress il commercio internazionale e rivendica la buona gestione del virus da parte della Corea del sud. Il suo problema è che nella disputa tra Cina e America, che è il grande elefante nella stanza di questa successione, non è esattamente neutrale.


Amina Mohamed e Abdel Hamid Mamdouh sono gli altri due candidati africani. Puntano molto sull’esperienza


 

Il consigliere della corte saudita. Mohammad al Tuwaijri è un uomo di corte, è lui che dà consigli ai reali sauditi in materia di economia, locale e internazionale. E’ un economista che si è sempre mosso nel mondo degli istituti bancari internazionali e per questo, secondo alcuni, potrebbe essere il vero candidato di rottura: una persona che ha esperienza nell’amministrazione di un paese ma anche nel settore privato. Al Tuwaijri è stato ministro dell’Economia e della Pianificazione dal 2016 fino a marzo di quest’anno, poi è stato chiamato a corte. Ha anche partecipato al progetto Saudi Vision 2030, la strategia per diversificare l’economia saudita e ridurne la dipendenza dal petrolio. Fa parte del progetto anche l’idea di promuovere un’immagine del paese più moderna e secolarizzata. Ex pilota dell’aeronautica militare, prima di arrivare al governo saudita ha lavorato come vice presidente e ceo per il gruppo bancario Hsbc in medio oriente, Nord Africa e Turchia. Come tutti, è un grande sostenitore della necessità di riformare l’organizzazione, di rinnovarla, è convinto che il problema dell’organizzazione sia la mancanza di fiducia, ma per adesso non è tra i favoriti. Anzi, molti paesi arabi potrebbero preferirgli Abdel Hamid Mamdouh.

 

Un occhiolino alla Cina. Jesús Seade è l’altra vecchia recluta della Wto, assieme ad Abdel Hamid Mamdouh. Si occupa di commercio e negoziati da sempre, e ha una grande esperienza dentro alle organizzazioni internazionali, è il candidato del Messico, nonostante la sua doppia cittadinanza: è per metà libanese. Seade ha una posizione molto dura con gli Stati Uniti, in modo particolare con l’America di Trump, sarà difficile quindi che otterrà l’appoggio di Washington. E’ molto blando invece nei confronti della Cina, è convinto che Pechino tenga moltissimo all’Organizzazione mondiale per il commercio e farà di tutto per diminuire le tensioni. Il problema, secondo Seade – che in Cina ha vissuto a lungo – è che finora la Wto non ha avuto una leadership sufficientemente forte da costringere americani, europei e cinesi a sedersi tutti attorno a un tavolo e a fare l’unica cosa da fare: trovare un compromesso.


La candidata nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala è liberale, controversa e sfacciata, una delle favoritissime 


 

Le tre D del più giovane. Tudor Ulianovschi è il più giovane tra i candidati, ha trentasette anni è moldavo, è stato prima ambasciatore in Liechtenstein e Svizzera e poi ministro degli Esteri. La sua candidatura si perde un po’ tra quelle dei suoi sfidanti, ma a Ginevra ha sintetizzato la sua missione come capo futuro capo dell’Organizzazione mondiale per il commercio in modo interessante, in tre D: Direct Access, Dialogue, Driving the work of the Wto. Accesso diretto, dialogo, guida. Dopo Fox è lui il candidato più europeo, ma gli europei guardano tutti altrove.

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