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L’impeccabile Juan Carlos

Giuliano Ferrara

Un re che fu leale alla democrazia. Pertini e le sinistre antifa stravedevano per lui. Altro che esilio da cancel culture

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Incomprensibile. Amplessi extraconiugali e denari a derrate sono tipici dei re, fanno parte nella storia della loro stessa maestà. Invece di dire all’opinione pubblica iberica, ¿porque no te caillas?, come aveva intimato a un ciarliero Chávez, Juan Carlos di Borbone, un ramo non proprio di primissima scelta ma pur sempre un Borbone, se ne va in esilio, e per di più a quanto pare nella mezza isoletta caraibica di Santo Domingo, non proprio all’apice reputazionale. 

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Incomprensibile. Amplessi extraconiugali e denari a derrate sono tipici dei re, fanno parte nella storia della loro stessa maestà. Invece di dire all’opinione pubblica iberica, ¿porque no te caillas?, come aveva intimato a un ciarliero Chávez, Juan Carlos di Borbone, un ramo non proprio di primissima scelta ma pur sempre un Borbone, se ne va in esilio, e per di più a quanto pare nella mezza isoletta caraibica di Santo Domingo, non proprio all’apice reputazionale. 

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Romano di nascita, svizzero di formazione, spagnolo e castigliano di elezione franchista, e Franco era un dittatore-statista, Juan Carlos aveva accompagnato come nuovo monarca, sposato con la dinastia ellenica e per li rami con la Danimarca e con gli Hannover, il passaggio dall’autocrazia alla democrazia dei partiti in Spagna. Sandro Pertini, il presidente italiano, socialista e il più amato, stravedeva per lui, e le sinistre antifa di tutto il mondo erano piene di venerazione per il lealismo politico verso le istituzioni che ai tempi del tentato golpe del generale Milans del Bosch, cinguettato alle Cortes da un oscuro pistolero di nome Tejero, il colonnello Tejero, seppe mostrare nei conciliaboli di stato e a favore di telecamera. I comunisti, realisti e coraggiosi (il segretario Santiago Carrillo fu l’unico parlamentare che di fronte alla pistola fumante di Tejero restò in piedi senza accucciarsi sotto il banco d’aula), e anche i socialisti che si avviavano a diventare maggioritari, cantarono negli anni Ottanta le lodi di una monarchia che unificava il popolo, anzi i popoli dell’impero castigliano, in un’alta e preziosa funzione simbolica, oltre che con l’uso avveduto dei pochi ma buoni poteri regali di capo dello stato. Nel vasto mondo della hispanidad, che fu un tempo esteso in modo madornale da oriente a occidente, Juan Carlos era stimato, ammirato, universalmente apprezzato. Anche troppo per un ex playboy, trattato con un retrogusto di incenso e mirra che alla fine, a cavallo della responsabile abdicazione in favore del figlio Felipe, un basketball player che di veramente sontuose ha la statura e la splendida moglie, Letizia Ortiz, è diventato banale disgusto moralistico. 

     

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Ora si parla di una commissione araba di cento milioni a favore di una Fondazione che ha impegnato parte di quei soldi alle Bahamas, nella disponibilità di una bella favorita e amante del rey, ma che volete che sia, se il governatore della Lombardia condivideva il privilegio dello scudo fiscale con lui per cinque milioni, roba in fondo più che proporzionata. Eppoi non tutte le intermediazioni per l’Alta velocità, in questo caso con le città del Profeta, sono tangenti, e nel caso dei re la commissione è ben coperta dall’interesse nazionale e della corona, che è più importante di qualsiasi percentuale. 

     

In realtà al re emerito in esilio non si perdonano le amanti, le abbronzature, i bordi eterni su magnifiche barche a vela, le bevute, le abbuffate, gli amplessi adulterini e le stragi degli elefanti (queste ultime sono in effetti le uniche imperdonabili, ve lo dico io). Non gli si perdona di aver regnato, dopo uno sforzo riuscito di pacificazione nazionale, in un paese che ha ripreso a dividersi in modo falsamente liberatorio sull’eredità storica e politica, che era miracolosamente sfuggita alle censure incrociate, nonostante gli orrori della lunga guerra civile, costata un numero di morti immane, e che nel frattempo è stato scaraventato sull’orlo di una secessione pericolosa. Ci si augura che l’esilio sia compreso come il suo ultimo atto di responsabilità e che finiscano i deliri provocatori verso questo re e ex re, certo piuttosto disinvolto nei comportamenti privati, ma impeccabile nella scena pubblica finché ha davvero regnato tra gli applausi degli ex repubblicani e dei progressisti non ancora intimiditi dalla cancel culture. 

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