PUBBLICITÁ

Il sindacato del NYT vuole stabilire in anticipo quali notizie sono offensive

Paola Peduzzi

La gerarchia dei fatti alla prova della "sensibilità comune". E' (ancora) giornalismo? Il comunicato e le nuove regole per la redazione

PUBBLICITÁ

Il sindacato dei giornalisti del New York Times ha pubblicato un thread sul suo account Twitter @NYTimesGuild in cui fa una sintesi delle richieste rivolte al management del quotidiano durante un recente incontro. L’obiettivo è, scrive il sindacato, “una reimpostazione delle priorità per migliorare le condizioni di lavoro dei nostri colleghi di colore”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Il sindacato dei giornalisti del New York Times ha pubblicato un thread sul suo account Twitter @NYTimesGuild in cui fa una sintesi delle richieste rivolte al management del quotidiano durante un recente incontro. L’obiettivo è, scrive il sindacato, “una reimpostazione delle priorità per migliorare le condizioni di lavoro dei nostri colleghi di colore”.

PUBBLICITÁ

 

Secondo il sindacato, “la forza lavoro deve riflettere la nostra casa”, che è la città di New York, con “il 24 per cento di neri e oltre il 50 per cento di persone di colore, entro il 2025”. Questa evoluzione deve essere documentata attraverso la pubblicazione annuale dei dati sulla diversity per quel che riguarda le assunzioni e le promozioni, e in particolare l’attenzione è posta sullo “Standard team” che è il dipartimento che controlla che siano garantite “indipendenza, equità e accuratezza” negli articoli pubblicati dal quotidiano (quando ci fu la rivolta interna per il commento del senatore repubblicano Tom Cotton che chiedeva l’utilizzo dell’esercito per placare le proteste, fu questo dipartimento a stabilire che la pubblicazione era stata “precipitosa”: il direttore delle pagine degli editoriali e dei commenti, James Bennet, si dimise).

 

PUBBLICITÁ

Il sindacato introduce a questo punto l’elemento per lui decisivo: “Bisogna mettere le cose nel modo giusto fin dall’inizio: all’inizio del processo di pubblicazione devono esserci delle ‘sensitivity reads’ e chi le fa deve essere remunerato”. Qualcuno ha sommessamente detto che i direttori delle varie redazioni sono lì per questo, è loro il compito di stabilire che cosa pubblicare e come, e di assumersene la responsabilità.

 

La loro sensibilità, qualsiasi essa sia, è stata già valutata da chi li ha assunti e messi a fare quel lavoro. Ma queste “sensitivity reads” sono il fulcro dell’offensiva del sindacato – che di fatto vuole dare una gerarchia propria alle diverse sensibilità – e la sintesi dello scontro che sta avvenendo dentro al New York Times e in generale nel settore dei media e dell’editoria. Lo standard per la pubblicazione deve rifarsi a una sensibilità comune, o meglio alla sensibilità di chi è scelto come lettore all’inizio del processo – il passo verso la suscettibilità al potere è breve.

 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

O come direbbe Bari Weiss, che si è dimessa poche settimane fa dal New York Times, il passo è già stato fatto: “E’ Twitter che decide l’assegnazione degli articoli”, dice Weiss, cioè la paura di urtare la sensibilità di qualcun altro è diventata la variabile predominante nel processo di selezione di quel che si pubblica. E se sbagli, ha aggiuno la Weiss ospite allo show di Bill Maher venerdì, vieni punito, non soltanto con il linciaggio dei social, ma anche dalla perdita del tuo lavoro – è come “un omicidio” ha detto l’ex giornalista del New York Times.

 

PUBBLICITÁ

Tom Cotton, il senatore che con il suo articolo ha svelato lo scontro dentro al quotidiano , non si è fatto sfuggire l’occasione e citando il sindacato del New York Times ha coniato un nuovo motto, che è diventato virale sui media di destra: a “All the news that’s fit to print”, il motto originale, è stato aggiunto “e commissionate sulla base della sensibilità di censori woke ben remunerati”.

  

Qualcuno ha cercato anche di sottolineare che se si vuole dare voce alla diversity non si deve dar conto soltanto del colore della pelle, ma anche delle differenze di idee, che sono più importanti se si vuole tenere vivo il dibattito (e per restare alla casa newyorchese, il 30-40 per cento della popolazione è conservatore o indipendente). Ma le sfumature non sono concesse neppure qui, come in ogni altro ambito di discussione. Se pensi che la cancel culture esista è perché ti meriti di essere cancellato, se pensi che la suscettibilità al potere sia un problema è perché sei un falso difensore della libertà d’espressione, e via così: come scrive Andrew Sullivan nel suo nuovo Weekly Dish, perché dovresti cercare buoni argomenti se ti basta far valere il gruppo, l’identità di cui fai parte?

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ