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Tre mesi al voto (forse)

Una settimana da Trump. E si capisce perché pure i conservatori lo mollano

Daniele Ranieri

In cinque giorni il presidente ha messo in dubbio le elezioni, ha danneggiato la Nato e ha flirtato con il nonsense demoniaco

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Roma. Ieri un fondatore della Federalist Society, Steven Calabresi, si è aggiunto alla lista dei conservatori americani che vogliono togliere di mezzo Donald Trump. La Federalist Society è un’organizzazione marcatamente conservatrice che raccoglie sessantamila tra avvocati e studiosi di legge e funziona da nastro trasportatore verso la Corte Suprema. Ne faceva parte anche Brett Kavanaugh, il giudice nominato da Trump alla Corte fra mille polemiche. E infatti Calabresi è un fedele elettore repubblicano da quarant’anni, ha votato Trump nel 2016 ed è stato un fervente oppositore dell’impeachment contro il presidente. Dopo il tweet di Trump sulla possibilità di rimandare le elezioni però ha scritto per il New York Times un op-ed nel quale definisce “fascistoide” la dichiarazione di Trump e ne chiede l’impeachment immediato (è il tipo di op-ed che di sicuro non causa nessun problema dentro alla redazione del Nyt, come invece è successo in altri casi di recente). La spaccatura tra l’ala trumpiana del mondo conservatore americano e l’ala di quelli che non si riconoscono in lui diventa sempre più ampia ed è sempre più un fronte di combattimento. Un po’ si spiega con l’avvicinarsi delle elezioni, che sono anche una resa dei conti dentro ai conservatori. Un po’ si spiega con quello che fa Trump. Puoi essere uno strenuo difensore del presidente, come sono i membri della Federalist Society, ma c’è un punto di rottura per tutti. Prendiamo come campione gli ultimi cinque giorni. Lunedì Trump ha rilanciato su Twitter un video grossolano di propaganda nel quale una dottoressa del Camerun che ha preso la laurea in Nigeria si è presentata in camice bianco sugli scalini della Corte Suprema a Washington per dire che “la mascherina non serve”. 

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Roma. Ieri un fondatore della Federalist Society, Steven Calabresi, si è aggiunto alla lista dei conservatori americani che vogliono togliere di mezzo Donald Trump. La Federalist Society è un’organizzazione marcatamente conservatrice che raccoglie sessantamila tra avvocati e studiosi di legge e funziona da nastro trasportatore verso la Corte Suprema. Ne faceva parte anche Brett Kavanaugh, il giudice nominato da Trump alla Corte fra mille polemiche. E infatti Calabresi è un fedele elettore repubblicano da quarant’anni, ha votato Trump nel 2016 ed è stato un fervente oppositore dell’impeachment contro il presidente. Dopo il tweet di Trump sulla possibilità di rimandare le elezioni però ha scritto per il New York Times un op-ed nel quale definisce “fascistoide” la dichiarazione di Trump e ne chiede l’impeachment immediato (è il tipo di op-ed che di sicuro non causa nessun problema dentro alla redazione del Nyt, come invece è successo in altri casi di recente). La spaccatura tra l’ala trumpiana del mondo conservatore americano e l’ala di quelli che non si riconoscono in lui diventa sempre più ampia ed è sempre più un fronte di combattimento. Un po’ si spiega con l’avvicinarsi delle elezioni, che sono anche una resa dei conti dentro ai conservatori. Un po’ si spiega con quello che fa Trump. Puoi essere uno strenuo difensore del presidente, come sono i membri della Federalist Society, ma c’è un punto di rottura per tutti. Prendiamo come campione gli ultimi cinque giorni. Lunedì Trump ha rilanciato su Twitter un video grossolano di propaganda nel quale una dottoressa del Camerun che ha preso la laurea in Nigeria si è presentata in camice bianco sugli scalini della Corte Suprema a Washington per dire che “la mascherina non serve”. 

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La dottoressa, Stella Immanuel, parlava a nome di un gruppo che si fa chiamare “America Frontline Doctors”, i medici americani in prima linea. La Immanuel è subito diventata una celebrità e non le conveniva, perché si è scoperto che è convinta che molti problemi medici siano dovuti a incontri sessuali con demoni che avvengono nei sogni, che crede nei rettiliani e che cita con nonchalance l’uso da parte della comunità medica di “dna alieno”. Il suo video è stato visto da milioni di persone prima che fosse eliminato dai grandi social media. Nell’incontro con la stampa del pomeriggio alla Casa Bianca ci sono state domande inevitabili sul “dna alieno”. A tre mesi dalle elezioni e nel mezzo di una pandemia che ha avuto conseguenze enormi negli Stati Uniti.

 

Mercoledì Trump ha annunciato la sua vendetta personale contro la Germania di Angela Merkel, con il ritiro di dodicimila soldati americani – metà dei quali saranno spostati in altri paesi europei. Anche i due grandi comandi militari, in pratica due filiali del Pentagono dedicate all’Europa e all’Africa, che oggi sono in Germania saranno chiusi e riapriranno altrove. Il motivo ufficiale è che la Germania non spende abbastanza per il budget della Difesa, come sarebbe tenuta a fare. Il motivo di Trump è la rivalità personale con la Merkel, che da anni si è presa l’incarico di antagonista stabilizzatrice contro la strategia del caos del presidente americano. Prova ne è il fatto che i soldati americani andranno in paesi europei che spendono ancora meno ma non hanno lo stesso peso simbolico. 

 

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Giovedì il presidente americano ha coperto la notizia dell’andamento disastroso dell’economia con quel tweet in cui parlava di rimandare le elezioni. In teoria la catastrofe dell’economia americana è simile a quella di tanti altri paesi, ma è stato lo stesso Trump in questi mesi a minimizzare il problema, a politicizzare la pandemia, a negare che fosse una minaccia e a trasformare l’uso della mascherina in una lotta ideologica. Se non se ne fosse uscito con dichiarazioni come “i malati oggi sono quindici, nei prossimi giorni scenderanno a zero” e se non avesse lanciato su Twitter messaggi come “Liberate Minnesota!” (sottinteso: dalle mascherine e dalle regole) oggi sarebbe più difficile imputargli i dati. E invece sono così brutti che è costretto a un diversivo ancora più fragoroso. Lo stesso giorno la sua campagna elettorale si è fermata per un momento di riflessione. Volevano capire che direzione prendere e come spendere i soldi. Ieri si è capito, secondo il sito Politico: la sparata sulle elezioni inaffidabili e sui brogli non era una boutade improvvisata, è il tema della prossima fase della campagna americana. Il presidente indietro nei sondaggi ha deciso di demolire la credibilità del voto del 3 novembre, che in teoria è l’istituzione più sacra della democrazia americana. Ogni quattro anni, succeda quel che succeda, il paese vota e sceglie il proprio leader.

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