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Al di là della barriera

Ecco quel che fanno e pensano i “feds” di Trump a Portland

Paola Peduzzi

Ogni notte, da quasi sessanta notti, va in scena uno scontro crudo e violento tra gli agenti federali e i manifestanti. Una domanda politica 

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Milano. Mike Balsamo è un giornalista dell’Associated Press che ha passato lo scorso fine settimana dentro il palazzo di giustizia di Portland, preso d’assalto dai manifestanti più violenti. Proprio per difendere questo tribunale l’Amministrazione Trump ha inviato i suoi agenti federali, i “feds”: ieri ha annunciato che ne manderà ancora, perché quelli presenti non bastano (secondo il Washington Post, a metà luglio c’erano 114 federali, e ne dovrebbero arrivare altri 50). Al di là della barricata, c’era un’altra giornalista dell’Ap, Gillian Flaccus, che ha raccolto le dichiarazioni e le immagini che più conosciamo di Portland: quelle che denunciano la brutalità dei “feds”. Il racconto di Balsamo è quel che da fuori non si vede, o che si perde tra i lacrimogeni: lì, in quelle stanze che di notte restano buie perché così i manifestanti non riescono a individuare gli agenti ci sono le ragioni dell’intervento – ieri il ministro della Giustizia, Bill Barr, le ha spiegate al Congresso.

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Milano. Mike Balsamo è un giornalista dell’Associated Press che ha passato lo scorso fine settimana dentro il palazzo di giustizia di Portland, preso d’assalto dai manifestanti più violenti. Proprio per difendere questo tribunale l’Amministrazione Trump ha inviato i suoi agenti federali, i “feds”: ieri ha annunciato che ne manderà ancora, perché quelli presenti non bastano (secondo il Washington Post, a metà luglio c’erano 114 federali, e ne dovrebbero arrivare altri 50). Al di là della barricata, c’era un’altra giornalista dell’Ap, Gillian Flaccus, che ha raccolto le dichiarazioni e le immagini che più conosciamo di Portland: quelle che denunciano la brutalità dei “feds”. Il racconto di Balsamo è quel che da fuori non si vede, o che si perde tra i lacrimogeni: lì, in quelle stanze che di notte restano buie perché così i manifestanti non riescono a individuare gli agenti ci sono le ragioni dell’intervento – ieri il ministro della Giustizia, Bill Barr, le ha spiegate al Congresso.

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Ogni notte, da quasi sessanta notti, a Portland succede la stessa cosa: i “feds” sentono la folla arrivare, da lontano arrivano i canti e gli slogan: la dimensione della protesta cambia, a volte sembra più piccola a volte pare enorme, nella notte raccontata dall’Ap ci saranno state quattromila persone. Le foto scattate dentro il tribunale federale mostrano quello che viene definito “un conflitto armato crudo, spaventoso e doloroso da entrambe le parti di una staccionata di ferro che separa i manifestanti fuori dagli agenti dentro”. La recinzione è stata tirata su soltanto una settimana fa, “la separazione netta tra due visioni del mondo radicalmente diverse”.

  

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Per i manifestanti gli uomini dentro, i federali, sono “servitori sconsiderati della politica” o “scagnozzi omicidi”; per gli agenti, i manifestanti sono “anarchici violenti, una fiumana di gente infuriata che si unisce per colpire – o addirittura uccidere – i ‘feds’ che stanno facendo il loro lavoro”. Un vicesceriffo dice all’Ap che questo conflitto “fa paura”, il rumore della recinzione che trema è terrificante, “ogni volta che esco dal palazzo, temo di morire”: l’uomo non vuole dire il suo nome, dice che è stato già identificato dai manifestanti che stanno pubblicando online informazioni su di lui – è diventato un target con nome e cognome, là fuori.

   

Attorno a quella staccionata sta andando in scena questo scontro crudo e violento che sembra non quietarsi mai. La recinzione che fa da fronte dell’una e dell’altra parte è fatta per resistere all’arrivo di una macchina a 50 km orari, ma continua a tremare: il rumore degli scossoni è l’anticipazione dei sassi, delle lattine, delle bottigliette, delle patate, delle palline di gomma e dei petardi che i manifestanti lanciano contro i federali. Poi ci sono i laser puntatori verdi: servono alla protesta per vedere che cosa accade di là, nel buio del palazzo di giustizia, per individuare i federali e mirare bene il lancio degli oggetti. Questi laser fanno male agli occhi e rendono distinguibili gli agenti che a volte vengono colpiti e feriti.

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Poi i “feds” reagiscono, sentono il canto della folla “stay together, stay tight, we do this every night” e sparano i gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti – i gas fanno piangere, vomitare, svenire, e le mascherine anticovid a volte diventano pericolosissime, lasciano bruciature sulla faccia. Sotto alla recinzione spesso c’è Travis Rogers, un ex pilota militare che cerca di tirare giù la barriera e continua a rivolgersi agli agenti: fatevi un esame di coscienza, dice. “Cerco di incoraggiarli a pensare che sono dalla parte sbagliata della storia e che non saranno trattati con gentilezza”, ha detto Rogers all’Ap. “Ma le sue parole si perdono in un rumore che sembra un tuono, i fuochi d’artificio di qui e i gas lacrimogeni di là, il caos della notte”.

   

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Quando arriva la luce, gli scontri finiscono, ma solo per ricominciare qualche ora dopo. Perché i “feds” o i manifestanti non dovrebbero prepararsi alla notte successiva di guerriglia, visto che sanno che ci sarà e sarà violenta? Se si cercasse una risposta a questa domanda, se si cercasse una buona ragione per smetterla, probabilmente la tensione si ridurrebbe. Ma per questo non c’è volontà. La saggista Anne Applebaum da giorni mostra i video dei “feds”, ieri ha anche commentato questo articolo dell’Ap, così: “Questa è una descrizione eccellente di come appaiono le cose agli occhi dei ‘feds’ a Portland. Sono proteste violente. Ma perché non vengono fermate con dei negoziati, con politiche per la comunità, con strategie usate anche in altri tempi e in altri luoghi? Perché infiammarle con uomini armati in camouflage?”.

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