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un business non a prova di pandemia

La Disney fatica a resistere al Covid. Il problema dei parchi a tema

Eugenio Cau

Il gruppo era pronto ad affrontare praticamente ogni catastrofe possibile tranne una: la pandemia di coronavirus

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Milano. Se avete sentito parlare di Disney di recente quasi sicuramente è successo in relazione a Disney+, il servizio di streaming lanciato in Italia nei mesi del lockdown che ha avuto un successo immediato e planetario. Se potessimo contare soltanto Disney+, parleremmo di un’azienda che ha superato alla grande la crisi da coronavirus, un po’ come Netflix. Ma Disney è un conglomerato enorme, che specie negli Stati Uniti ha così tanti business che dall’Italia è difficile vederli tutti, e che negli ultimi anni ha diversificato in maniera strategica e razionale i suoi interessi. Fino a marzo, Disney era una delle aziende più invidiate di Hollywood, e non solo: assieme ad Apple, era una delle aziende più ammirate del mondo. Lo è ancora, ovviamente, ma il caso ha voluto che Disney fosse pronta ad affrontare praticamente ogni catastrofe possibile tranne il Covid-19. Come ha scritto l’Economist, Disney “ha diversificato precisamente nei business peggiori per sopportare una pandemia”.

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Milano. Se avete sentito parlare di Disney di recente quasi sicuramente è successo in relazione a Disney+, il servizio di streaming lanciato in Italia nei mesi del lockdown che ha avuto un successo immediato e planetario. Se potessimo contare soltanto Disney+, parleremmo di un’azienda che ha superato alla grande la crisi da coronavirus, un po’ come Netflix. Ma Disney è un conglomerato enorme, che specie negli Stati Uniti ha così tanti business che dall’Italia è difficile vederli tutti, e che negli ultimi anni ha diversificato in maniera strategica e razionale i suoi interessi. Fino a marzo, Disney era una delle aziende più invidiate di Hollywood, e non solo: assieme ad Apple, era una delle aziende più ammirate del mondo. Lo è ancora, ovviamente, ma il caso ha voluto che Disney fosse pronta ad affrontare praticamente ogni catastrofe possibile tranne il Covid-19. Come ha scritto l’Economist, Disney “ha diversificato precisamente nei business peggiori per sopportare una pandemia”.

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Settore per settore: il cinema, immaginerete, va male. L’anno scorso, dei dieci film con più incassi al mondo sette erano di Disney. Ma oggi gli studios sono chiusi, le produzioni ferme, e soprattutto le sale non riaprono. Per quest’estate Disney aveva puntato tanto su “Mulan”, un kolossal ispirato al film d’animazione omonimo che avrebbe dovuto conquistare il pubblico in America e in Cina. La data d’uscita negli Stati Uniti era prevista per il 27 marzo, proprio mentre la pandemia faceva chiudere le sale americane, poi è stata riprogrammata per il 24 luglio, questo fine settimana. Ma l’America è nel pieno della seconda ondata, e “Mulan” è stato rimandato ancora, ad agosto, forse.

  

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Poi c’è la tv. Disney possiede corazzate tanto nel mondo dell’informazione quanto in quello del divertimento: ha il network di news Abc, quello di National Geographic e il Disney Channel, che continuano a fare il loro, ma per esempio il canale sportivo Espn, che costituisce una fonte di entrate notevole, langue: cosa trasmette un canale sportivo se non c’è sport dal vivo? Ovviamente ci sono le repliche, i vecchi campionati, e un documentario fantastico su Michael Jordan (“The Last Dance”) che è stato come manna dal cielo, ma dopo quattro mesi i tifosi non ne possono più, e proprio ieri Espn lanciava con un certo risalto un sondaggio autoprodotto secondo il quale “una maggioranza schiacciante di tifosi sportivi sostiene il ritorno dello sport professionistico e dei campionati universitari” (ma dai).

   

Il settore forse meno adatto a sopportare la pandemia è quello dei parchi divertimenti, che fino a pochi mesi fa era in forte crescita e aveva concentrato una parte importante degli investimenti interni. Il settore dei parchi ha generato nel 2019 un terzo dei profitti di Disney, il doppio rispetto a dieci anni fa, ed è così importante che per sostituire lo storico ceo Bob Iger, a settembre, era stato scelto Bob Chapek, il boss dei parchi a tema. Ovviamente, i parchi sono un disastro in un periodo di pandemia altamente contagiosa. Disney World a Orlando, in Florida, ha riaperto l’11 luglio, lo stesso giorno in cui lo stato americano ha fatto registrare un picco record di nuovi contagi. Disney World in California avrebbe dovuto riaprire il 17 luglio, ma vista la situazione sanitaria la data è stata rimandata indefinitamente. Disneyland Parigi ha riaperto il 15 luglio, ma come ha scritto una giornalista del Telegraph che l’ha visitato: non ci sono code, ma ci sono 21 mila litri di igienizzante per le mani. Lo stesso giorno, mentre Parigi riapriva, Disneyland a Hong Kong chiudeva a causa di un nuovo aumento dei casi. Per ora Shanghai e Tokyo resistono, ma i visitatori sono pochi.

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