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Tutto quel che abbiamo capito della nuova Europa in novanta ore di vertice

David Carretta

La classifica dei vincitori e quella dei vinti, i tempi della solidarietà e le proposte di utilizzo dei fondi. L'euforia europeista

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L’accordo è arrivato alle cinque e trenta del mattino, al quinto giorno di negoziati lunghi ed estenuanti, dopo più di 90 ore di maratona, ad appena 35 minuti dal record stabilito al vertice di Nizza del dicembre del 2000. L’intesa sul Recovery fund, che deve tirare fuori l’Europa dalle conseguenze economiche del Covid-19, ha un vincitore e uno sconfitto.

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L’accordo è arrivato alle cinque e trenta del mattino, al quinto giorno di negoziati lunghi ed estenuanti, dopo più di 90 ore di maratona, ad appena 35 minuti dal record stabilito al vertice di Nizza del dicembre del 2000. L’intesa sul Recovery fund, che deve tirare fuori l’Europa dalle conseguenze economiche del Covid-19, ha un vincitore e uno sconfitto.

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Il vincitore è l’Unione europea che ha preso la decisione storica di emettere 750 miliardi di debito comune per finanziare 390 miliardi di sussidi a fondo perduto e 360 miliardi di prestiti verso i paesi più in difficoltà, riuscendo a superare divergenze politiche e culturali profonde tra leader e paesi. Lo sconfitto è l’internazionale sovranista che sperava di festeggiare la disfatta dell’Ue e ora è costretta a rivelare tutte le sue contraddizioni in uno scambio di insulti pubblico protagonisti Matteo Salvini, leader della Lega, e l’olandese Geert Wilders, suo alleato in Europa – e che a confronto il braccio di ferro tra Giuseppe Conte e Mark Rutte è una rimpatriata tra vecchi amici.

 

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Per Wilders è ovvio che Conte sia “molto soddisfatto. Ottiene 82 miliardi di regali con i nostri soldi, mentre gli italiani sono tre volte più ricchi degli olandesi perché lì non pagano le tasse”. Come è ovvio anche per la terza moschettiera sovranista, Marine Le Pen, secondo la quale Emmanuel Macron ha “firmato il peggior accordo per la Francia di tutta la storia dell’Ue. Per proteggere il suo ego, sacrifica il nostro avvenire e la nostra indipendenza”. Le Pen è contro “il principio della mutualizzazione dei debiti” che “apre la via a un’imposta europea per rimborsare il debito comune”.

A sentire i sovranisti quello di ieri all’alba è stato davvero il “momento Hamilton” dell’Europa. Ma è così? “E’ un accordo senza precedenti per gli standard europei”, conferma al Foglio l’economista Maria Demertzis, vicedirettrice del think tank Bruegel. Vero: nella gara tra potenza di fuoco del Recovery fund e sussidi a fondo perduto ha “vinto” la potenza di fuoco. E “non si sarebbe dovuto fare un compromesso sullo stato di diritto”, sacrificato sull’altare dell’accordo. Ma “è l’inizio dell’emissione del debito comune”, conferma Demertzis.

 

Cioè di quel momento hamiltoniano che fino a quattro mesi fa la Germania rifiutava e appena una settimana fa i “frugal four” avevano totalmente escluso. Gli Eurobond, il Tesoro europeo e la mutualizzazione del debito hanno improvvisamente preso consistenza, aprendo nuove prospettive impensabili appena quattro mesi fa. “Questo accordo sarà visto come un momento cardine nella storia dell’Europa”, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: “Questa decisione trasformerà il volto del progetto europeo in modo durevole”. Secondo Emmanuel Macron, che ha convertito Angela Merkel ai sussidi a fondo perduto, “è un cambiamento storico della nostra Europa e della nostra zona euro”. Merkel, che ha lavorato incessantemente al fianco di Macron e Michel per costruire ponti tra le diverse fazioni, come sempre si vuole più modesta. “L’Europa ha dimostrato di essere in grado di aprire nuove strade in situazioni molto speciali”, ha spiegato la cancelliera tedesca.

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Con la benedizione di Merkel e Macron, Michel ha fatto ricorso a una serie di trucchi e grand bargain discutibili per arrivare a un’intesa. Il presidente del Consiglio europeo ha condotto i negoziati con il metodo appreso quando era primo ministro del Belgio: trattative infinite logoranti, durante le quali a ciascuno viene concesso un po’ di quello che chiede, fino a quando non sono tutti d’accordo.

 

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Anche il piccolo e ricco Lussemburgo ha ottenuto una mancia da 100 milioni, mentre a Malta sono stati concessi 50 milioni ad hoc. Le trattative sul bilancio Ue sono sempre andate così. In passato si tagliava su ricerca, Erasmus e garanzia giovani per preservare la politica di coesione e l’agricoltura. Negli ultimi cinque giorni e notti si è tagliato su sanità, Green deal, ricerca e investimenti a livello Ue per fare in modo che gli stati membri abbiano più risorse possibili da gestire direttamente nelle capitali. Così, alla fine, stanziamenti a fondo perduto e prestiti che gestiranno direttamente gli stati membri sono aumentati, mentre l’ammontare complessivo dei sussidi del Recovery fund è sceso da 500 a 390 miliardi.

 

Le risorse per i programmi Ue sono state falcidiate, in particolare per investimenti, ricerca e fondo di transizione del Green deal. Alcuni strumenti – come quelli per fronteggiare le crisi sanitarie transfrontaliere e per la ricapitalizzazione delle imprese – non riceveranno un solo euro dal Recovery fund.

 

 

L’intesa “riduce la parte innovativa del bilancio”, ha spiegato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “E’ increscioso”. En passant, sull’altare del compromesso è stata sacrificata la condizionalità sullo stato di diritto, perché altrimenti l’ungherese Viktor Orbán avrebbe potuto mettere un veto, e quella sul clima, perché la Polonia avrebbe potuto mettersi di traverso. Il testo finale fa appena menzione dell’importanza dello stato di diritto, ma nell’ambito della protezione degli interessi finanziari dell’Ue, e non in casi di rischi gravi o avverati di violazione. La Commissione è stata invitata a presentare un meccanismo che preveda il voto a maggioranza, ma di fatto si troverà senza denti per mordere l’Ungheria o la Polonia.

Leggendo male il testo dell’accordo, Salvini ieri ha definito quella sullo stato di diritto come una “clausola” anti Lega, perché quando lui “torna al governo e chiude i porti, uno alza il ditino e dice ‘non rispettano i diritti, non gli diamo neanche una lira’”. Il leader della Lega non ha capito che la “fregatura” per i populisti di ogni colore sta altrove, e in particolare nel rafforzamento della condizionalità sulle riforme e della governance del Recovery fund.

 

Oggetto del contendere tra Conte e Rutte durante tutto il vertice, il compromesso pende a favore del primo ministro olandese che ha ottenuto un “super freno di emergenza” per gli stati membri che non fanno le riforme. I paesi beneficiari delle risorse Ue dovranno rispettare le raccomandazioni specifiche per paese della Commissione (comprese quelle del 2019 su riforma del fisco, delle pensioni e del lavoro), oltre agli obiettivi del Green deal e della digitalizzazione. Il testo finale prevede “milestones” e “targets”, che ricordano i salvataggi della Grecia e altri paesi ai tempi della Troika.

 

Sarà la stessa Commissione a valutare i piani nazionali di riforma, che però dovranno essere approvati dall’Ecofin a maggioranza qualificata. In caso di dubbi sul rispetto degli impegni di riforma di un paese, uno stato membro potrà bloccare la decisione di sborsare i fondi del Recovery fund deferendo la questione al Consiglio europeo, dove i capi di stato e di governo decidono per consenso. Le parole veto e unanimità non compaiono. Ma nella sostanza è così, anche se la storia insegna che raramente questi meccanismi vengono utilizzati.

 

Rutte è uno dei grandi vincitori del vertice. Il premier olandese è riuscito a far indietreggiare l’asse Merkel-Macron sui 500 miliardi di sussidi, imponendosi come capofila dei frugali. Torna all’Aia con un “rebate” sostanzialmente più alto che in passato, un fondo speciale per gli effetti secondari della Brexit da 5 miliardi e il freno d’emergenza sugli esborsi del Recovery fund a Italia e Spagna. Tra i vincitori c’è Merkel, che ha fatto quanto promesso: costruito ponti per arrivare a una svolta, anche a costo di caricare sulle spalle della Germania gran parte del costo della solidarietà e di abbandonare alcune linee rosse. Macron, pur dando l’impressione di essere a ruota della cancelliera senza mai incidere davvero sulle sue priorità dichiarate, può rivendicare un trionfo: l’Europa immaginata nel discorso alla Sorbona del settembre del 2017 inizia a essere costruita.

Anche Conte può rivendicare una grande vittoria. Al netto della narrazione sullo scontro con Rutte, il presidente del Consiglio ha negoziato bene. Prima del vertice, aveva saputo sfruttare l’empatia creata dalla catastrofe Covid-19 in Italia e conquistarsi la fiducia di alcuni leader chiave come Merkel. Nelle trattative notturne si è battuto, ma ha anche saputo fare marcia indietro quando annusava il rischio di rottura, come sul “freno di emergenza”.

 

Secondo i calcoli di Palazzo Chigi, l’Italia dovrebbe ottenere 208,8 miliardi dal Recovery fund, molti più dei 172,8 della proposta della Commissione. Sui sussidi c’è un leggero calo (da 81,8 a 81,4 miliardi), ma l’Italia potrà beneficiare di una quota di prestiti decisamente più alta (da 90,9 a 127,4 miliardi). Conte ha ottenuto anche una soluzione “ponte” efficace per avere soldi già quest’anno, in attesa che il Recovery fund entri in funzione nel 2021: date le circostanze eccezionali, saranno eleggibili gli investimenti per la ripresa effettuati a partire dal 1° febbraio 2020. Malgrado la Brexit, l’Italia è l’unico paese che trae beneficio dal bilancio 2021-27, ma più per demeriti del paese (la caduta del pil) che per meriti di Conte.

Contrariamente all’Europa dei sovranisti, l’Ue degli europeisti non è un gioco a somma zero. Da un negoziato come quello sul Recovery fund possono uscire tutti vincitori. La Germania e i frugali hanno infranto il tabù del debito comune per fare un investimento massiccio nel mercato interno: saranno loro a pagare gran parte del debito del Recovery fund. Per l’Italia, invece, inizia la parte più difficile. Il governo Conte ora deve preparare un piano di riforme serio e metterlo in pratica rapidamente per ottenere gli aiuti del Recovery fund, senza correre il rischio che qualcuno faccia scattare il “freno di emergenza”. Le condizionalità andranno rispettate subito. I prestiti andranno rimborsati. Dopo l’ora della solidarietà Ue, per Conte scatta la sfida della responsabilità.

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