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“La mia gente”

L’elettore-tipo di Trump assomiglia a Trump?

Paola Peduzzi

Il presidente americano forse non sa che cosa vuole il suo popolo, certo sa che cosa odia. Cosa succede a seguire il manuale populista fissando lo specchio

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Milano. Il presidente “si è annoiato”, ha detto uno dei consulenti del governatore texano Greg Abbott, raccontando ai media di aver cominciato a chiedere direzioni e linee guida sulla pandemia all’ufficio del vicepresidente Mike Pence: Donald Trump non voleva più sentir parlare di coronavirus. Il presidente si annoiava e allora i governatori – anche quelli che per molte settimane hanno assecondato la fretta di Trump nel tornare alla normalità, ritrovandosi poi a dover fare marcia indietro senza potersela nemmeno prendere con il presidente frettoloso – si sono organizzati tra di loro: lunghe telefonate per confrontare dati, picchi, misure di contenimento, intanto si comincia con le mascherine, che male certo non faranno. Le cronache americane raccontano nei dettagli questa resipiscenza, che va di pari passo con la perdita di consensi del presidente, e le elezioni si avvicinano (mancano quindici settimane). I finanziatori dei repubblicani si stanno occupando più delle corse al Congresso che di quella della Casa Bianca, i governatori cercano di recuperare autonomia e tempo perduto, mentre il presidente non ammette alcun errore, ripete che i sondaggi attuali (per lui deprimenti) sono tutti falsi, dice che gli avevano detto che con il caldo il virus sarebbe scomparso e invece si sbagliavano, cerca argomenti alternativi, annoiato e infastidito dalle polemiche sulla gestione della pandemia. Trump continua a fare riferimento a “my people”, la sua gente, il suo elettorato, quel pezzo d’America che pochi comprendono e che anzi molti disprezzano. “My people” è l’unico pubblico cui Trump si rivolge, l’unico che non lo annoia e non lo innervosisce, il tesoretto su cui punta tutto per ribaltare aspettative e stomaci democratici a novembre.

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Milano. Il presidente “si è annoiato”, ha detto uno dei consulenti del governatore texano Greg Abbott, raccontando ai media di aver cominciato a chiedere direzioni e linee guida sulla pandemia all’ufficio del vicepresidente Mike Pence: Donald Trump non voleva più sentir parlare di coronavirus. Il presidente si annoiava e allora i governatori – anche quelli che per molte settimane hanno assecondato la fretta di Trump nel tornare alla normalità, ritrovandosi poi a dover fare marcia indietro senza potersela nemmeno prendere con il presidente frettoloso – si sono organizzati tra di loro: lunghe telefonate per confrontare dati, picchi, misure di contenimento, intanto si comincia con le mascherine, che male certo non faranno. Le cronache americane raccontano nei dettagli questa resipiscenza, che va di pari passo con la perdita di consensi del presidente, e le elezioni si avvicinano (mancano quindici settimane). I finanziatori dei repubblicani si stanno occupando più delle corse al Congresso che di quella della Casa Bianca, i governatori cercano di recuperare autonomia e tempo perduto, mentre il presidente non ammette alcun errore, ripete che i sondaggi attuali (per lui deprimenti) sono tutti falsi, dice che gli avevano detto che con il caldo il virus sarebbe scomparso e invece si sbagliavano, cerca argomenti alternativi, annoiato e infastidito dalle polemiche sulla gestione della pandemia. Trump continua a fare riferimento a “my people”, la sua gente, il suo elettorato, quel pezzo d’America che pochi comprendono e che anzi molti disprezzano. “My people” è l’unico pubblico cui Trump si rivolge, l’unico che non lo annoia e non lo innervosisce, il tesoretto su cui punta tutto per ribaltare aspettative e stomaci democratici a novembre.

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Farebbe di tutto per la sua gente. Uno degli episodi più citati è quello della visita di Trump alla chiesa di St. John, vicino alla Casa Bianca, qualche giorno dopo l’inizio delle proteste contro il razzismo. L’idea della visita era della figlia Ivanka, l’idea di arrivare alla chiesa con la Bibbia in mano era di Hope Hicks, consigliera ritrovata (aveva lasciato la Casa Bianca, è tornata per la rielezione), l’idea di portare una “Bibbia graziosa” è stata di alcuni altri consulenti, Trump doveva leggerne una parte, quella che aveva definito come la sua “preferita”. Come si sa non ha letto nulla, si è fatto fare delle foto e per molti si è trattato soltanto di un corteggiamento goffo all’elettorato evangelico.

   

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Quanto si sente rappresentato, questo “my people”? Da anni si studia l’elettore trumpiano, con grande affanno perché nel 2016 si era capito invero pochino di quest’America rabbiosa e desiderosa di “un guerriero” come Trump disposto ad andare contro ogni conformismo moderno in nome di una Restaurazione americana. E’ lo stesso Trump a darne via via una definizione – e come spesso accade con i leader populisti, il popolo, il loro popolo, non ne esce poi così bene.

   

Maggie Haberman del New York Times ha pubblicato un articolo in cui mette in fila tutto quel che Trump fa in nome del “suo popolo”, per assecondarlo e per dimostrargli la sua lealtà. E’ di fatto l’interpretazione trumpiana dell’elettore trumpiano. La premessa è facile: Trump ha saputo intercettare sentimenti e frustrazioni che agli altri erano e forse sono invisibili, soprattutto ha fatto suo il negativo della fotografia, dell’identikit elettorale. Trump forse non sa che cosa vuole il suo popolo, certo sa che cosa odia. Whit Ayres, sondaggista repubblicano, dice che Trump “è davvero molto bravo a identificare i ‘cattivi’, quelli che i repubblicani detestano”. Il più delle volte, Trump va sul sicuro: se la prende con i democratici. Da ultimo gli attacchi allo sfidante, l’ex vicepresidente Joe Biden, si sono intensificati e sono diventati più brutali – tutto secondo copione. Ci sono altri fronti su cui Trump si muove nel suo solito modo diretto ma in cui la sua visione della sua gente potrebbe non coincidere con la sua stessa gente. Ci sono moltissimi consiglieri repubblicani che sottolineano proprio questo: l’elettorato conservatore sta cambiando, la pandemia e le proteste hanno dato un’ulteriore accelerazione, e il rischio è di rimanere incastrati nella formula del 2016 invece che adattarla al 2020. La scommessa di Trump è che la sua gente sia annoiata come lui dalla pandemia, abbia qualcuno con cui prendersela, e che quel qualcuno non può essere il presidente.

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