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Il biografo di John Lewis ci racconta la potenza (eterna) del “good trouble”

Simona Siri

Le chiacchiere e le idee dell’“erede di dottor king”

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New York. Diciotto mesi di lavoro già portati a termine. Un altro anno abbondante ancora davanti tra ricerca e scrittura, da oggi con la consapevolezza che John Lewis non potrà leggere il libro sulla sua vita. “Da quando, a fine del 2019, ha annunciato di avere il cancro al pancreas ho capito che non ce l’avrebbe fatta a vederlo finito. In questi mesi ho cercato di stravolgere lo schema di lavoro che mi ero prefissato e di fare meno ricerca di archivio e di parlare con lui il più possibile”. David Greenberg, storico e professore di giornalismo e media alla Rutgers University, è l’autore di quella che, incredibile a dirsi, sarà la prima biografia ufficiale del deputato della Georgia, morto il 18 luglio a 80 anni. Una figura gigantesca, Lewis, e di cui si sa già tanto. Nato a Troy, in Alabama, affascinato da Martin Luther King a diciannove anni si unisce al movimento diventando uno dei primi “freedom riders”, gli attivisti che per contestare la segregazione viaggiavano sugli autobus insieme ai bianchi. Nel 1965 è in prima fila durante la marcia di Selma, picchiato a sangue insieme agli altri manifestanti sul ponte Edmund Pettus. Due anni prima, nel 1963, era stato il più giovane a parlare alla marcia su Washington, quella conclusasi con il famoso discorso di MLK “I have a dream”. Una vita raccontata già in tante interviste, in un documentario intitolato “Good Trouble” – ovvero il casino provocato a fin di bene, il motto della sua vita – e negli incontri che faceva con i giovani (era famoso per andare al ComiCon, la mega fiera del fumetto, vestito come se stesso da giovane in quel giorno a Selma, e marciare con i ragazzini), ma di cui Greenberg sta cercando di analizzare gli angoli meno illuminati. Come il rapporto con lo Student Nonviolent Coordinating Committee (Sncc), una delle più importanti organizzazioni legate al movimento per i diritti civili, di cui fu presidente, e i suoi rapporti con Martin Luther King. “Per le persone che studiano la storia dei diritti civili sono dettagli interessanti – dice al Foglio Greenberg – perché spesso le diverse anime del movimento sono raccontate come in conflitto. Lewis è stata una figura ponte e il vero erede designato di Dr King. Non è mai venuto meno alla sua visione basata sulla nonviolenza e sulla democrazia interrazziale, anche quando molti negli anni Sessanta si muovevano verso il Black Power e il separatismo”. 

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New York. Diciotto mesi di lavoro già portati a termine. Un altro anno abbondante ancora davanti tra ricerca e scrittura, da oggi con la consapevolezza che John Lewis non potrà leggere il libro sulla sua vita. “Da quando, a fine del 2019, ha annunciato di avere il cancro al pancreas ho capito che non ce l’avrebbe fatta a vederlo finito. In questi mesi ho cercato di stravolgere lo schema di lavoro che mi ero prefissato e di fare meno ricerca di archivio e di parlare con lui il più possibile”. David Greenberg, storico e professore di giornalismo e media alla Rutgers University, è l’autore di quella che, incredibile a dirsi, sarà la prima biografia ufficiale del deputato della Georgia, morto il 18 luglio a 80 anni. Una figura gigantesca, Lewis, e di cui si sa già tanto. Nato a Troy, in Alabama, affascinato da Martin Luther King a diciannove anni si unisce al movimento diventando uno dei primi “freedom riders”, gli attivisti che per contestare la segregazione viaggiavano sugli autobus insieme ai bianchi. Nel 1965 è in prima fila durante la marcia di Selma, picchiato a sangue insieme agli altri manifestanti sul ponte Edmund Pettus. Due anni prima, nel 1963, era stato il più giovane a parlare alla marcia su Washington, quella conclusasi con il famoso discorso di MLK “I have a dream”. Una vita raccontata già in tante interviste, in un documentario intitolato “Good Trouble” – ovvero il casino provocato a fin di bene, il motto della sua vita – e negli incontri che faceva con i giovani (era famoso per andare al ComiCon, la mega fiera del fumetto, vestito come se stesso da giovane in quel giorno a Selma, e marciare con i ragazzini), ma di cui Greenberg sta cercando di analizzare gli angoli meno illuminati. Come il rapporto con lo Student Nonviolent Coordinating Committee (Sncc), una delle più importanti organizzazioni legate al movimento per i diritti civili, di cui fu presidente, e i suoi rapporti con Martin Luther King. “Per le persone che studiano la storia dei diritti civili sono dettagli interessanti – dice al Foglio Greenberg – perché spesso le diverse anime del movimento sono raccontate come in conflitto. Lewis è stata una figura ponte e il vero erede designato di Dr King. Non è mai venuto meno alla sua visione basata sulla nonviolenza e sulla democrazia interrazziale, anche quando molti negli anni Sessanta si muovevano verso il Black Power e il separatismo”. 

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L’altro aspetto che Greenberg sta analizzando è il rapporto tra l’uomo e il mito, e quanto Lewis stesso fosse consapevole e abbia contribuito alla costruzione della sua immagine eroica. “Era un uomo estremamente generoso e umile. Ci sono centinaia di storie a confermarlo, trovava sempre tempo per parlare con i cittadini, anche solo per fare le foto, sentire le loro richieste. Al tempo stesso era profondamente consapevole di che effetto facesse un discorso di John Lewis al Congresso, del peso che le sue parole avrebbero avuto. Usava deliberatamente e strategicamente la sua posizione morale per portare avanti le sue idee e quelle del Partito democratico”. Forse è anche per questo che per 33 anni si è “accontentato” del ruolo di deputato, senza ambizioni particolari per diventare senatore. C’è stato un momento in cui avrebbe potuto correre come speaker della Camera, ma poi sul suo nome non ci fu accordo e fu eletta Nancy Pelosi. Siccome non era un ingenuo, a quel punto ha abbracciato completamente il ruolo di “coscienza del Congresso”. “I miei primi due libri, uno su Nixon e il secondo sulla macchina dello spin alla Casa Bianca, erano proprio sulla costruzione dell’immagine e del messaggio in politica – dice Greenberg – Quando ho iniziato questa biografia ho pensato che finalmente avrei scritto qualcosa di completamente diverso. Dopo sei mesi di lavoro mi sono ricreduto: John Lewis non era un uomo di grande artificio, ma allo stesso tempo è stato uno dei più abili a usare la propria immagine per portare avanti determinati obiettivi politici. L’idea che abbiamo sull’immagine e sull’inganno in politica è un po’ fuori moda. Ovviamente i politici possono essere ingannevoli, ma la politica simbolica, la politica dell’immagine è anche qualcosa di molto reale. Si tratta di attingere a certe risonanze emotive che hai con il tuo pubblico, con i tuoi elettori e poi tradurle in obiettivi politici. Il fatto che qualcuno metta molto nei suoi discorsi e nel suo apparire non significa che ci sia qualcosa di sinistro o manipolatorio. E’ vero per molti altri politici e lo è anche per John Lewis”.

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