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Non c’è più la sharia in Sudan

Redazione

La transizione è delicata, ma che bello sentire il governo che parla di diritti umani

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La sharia è stata abolita nel Sudan che l’anno scorso ha cacciato Omar al Bashir, ha rivisto l’orrore della repressione ma non si è fermato, ha voluto portare la sua primavera fino alla promessa di una transizione vera oltre la dittatura. La ricostruzione è difficile, anzi è fragile come tutto quello che deve rinascere dopo trent’anni di un regime che ha tolto senza dare, libertà, diritti, prosperità e futuro. Per questo anche la notizia dell’abolizione di molte parti della legge islamica che è in vigore in Sudan dal 1983 (anche se il Codice penale in vigore è stato introdotto nel 1991), e che ha portato anche alla indipendenza del Sudan del sud cristiano e animista, è stata accolta con sollievo ma anche molta preoccupazione: sarà rispettato questo cambiamento? Il miscuglio tra generali ancora al potere e società civile che inizia ad avere una voce, l’oppressione brutale delle forze paramilitari che da sempre stabiliscono le sorti dei cittadini del Sudan, le pressioni dei paesi intorno, ognuno con il proprio interesse da difendere, mentre altrove regna la distrazione fanno pensare che la fragilità del Sudan sia talmente grande da non poter nemmeno concedersi il lusso di applaudire a questa inattesa primavera di libertà. Ma un po’ di fiducia occorre averla, nelle persone e anche nel cambiamento: la sharia non c’è più in Sudan, ed è una notizia clamorosa. 

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La sharia è stata abolita nel Sudan che l’anno scorso ha cacciato Omar al Bashir, ha rivisto l’orrore della repressione ma non si è fermato, ha voluto portare la sua primavera fino alla promessa di una transizione vera oltre la dittatura. La ricostruzione è difficile, anzi è fragile come tutto quello che deve rinascere dopo trent’anni di un regime che ha tolto senza dare, libertà, diritti, prosperità e futuro. Per questo anche la notizia dell’abolizione di molte parti della legge islamica che è in vigore in Sudan dal 1983 (anche se il Codice penale in vigore è stato introdotto nel 1991), e che ha portato anche alla indipendenza del Sudan del sud cristiano e animista, è stata accolta con sollievo ma anche molta preoccupazione: sarà rispettato questo cambiamento? Il miscuglio tra generali ancora al potere e società civile che inizia ad avere una voce, l’oppressione brutale delle forze paramilitari che da sempre stabiliscono le sorti dei cittadini del Sudan, le pressioni dei paesi intorno, ognuno con il proprio interesse da difendere, mentre altrove regna la distrazione fanno pensare che la fragilità del Sudan sia talmente grande da non poter nemmeno concedersi il lusso di applaudire a questa inattesa primavera di libertà. Ma un po’ di fiducia occorre averla, nelle persone e anche nel cambiamento: la sharia non c’è più in Sudan, ed è una notizia clamorosa. 

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Le ragazze non dovranno più subire per legge l’infibulazione genitale, l’apostasia non sarà più condannata con la morte (ricorderete Meriam Yehya Ibrahim Ishag, condannata all’impiccagione per aver sposato un cristiano, nel 2014: al tempo della condanna era incinta, ed era riuscita a scappare via), le esecuzioni pubbliche saranno abolite e i non musulmani potranno bere alcol. “Aboliremo tutte le leggi che violano i diritti umani in Sudan”, ha detto il ministro della Giustizia Nasredeen Abdulbari, uno dei volti del cambiamento del Sudan: era un attivista per i diritti umani. E ci sarà da badare a questa transizione, e da non esultare prematuramente, ma che il governo del Sudan parli di diritti è molto più di una primavera.

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