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Molti arresti, dissidenza silenziata. Ecco i primi 15 giorni del Putin eterno

Micol Flammini

Nessuno credeva veramente che la nuova Russia, quella del post coronavirus e della nuova Costituzione, avrebbe scelto di diventare più democratica. Ma in pochi pensavano che questa accelerazione sarebbe stata così brusca

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Roma. Secondo il giornalista russo Ilya Klishin, c’è sempre stata una certa facilità in Russia a urlare: “E’ un nuovo Trentasette!”, con eccessivo spirito tragico e poco rispetto per la storia. Tutte le volte in cui i russi hanno detto che stava arrivando un nuovo Trentasette, si è trattato di un’esagerazione, per fortuna il Trentasette in Russia, l’anno più feroce delle grandi purghe staliniane, non si è più ripetuto.

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Roma. Secondo il giornalista russo Ilya Klishin, c’è sempre stata una certa facilità in Russia a urlare: “E’ un nuovo Trentasette!”, con eccessivo spirito tragico e poco rispetto per la storia. Tutte le volte in cui i russi hanno detto che stava arrivando un nuovo Trentasette, si è trattato di un’esagerazione, per fortuna il Trentasette in Russia, l’anno più feroce delle grandi purghe staliniane, non si è più ripetuto.

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“E’ un nuovo Trentasette!” è l’esclamazione che è tornata sulla bocca di molti dal primo luglio in poi e per Klishin quello che sta avvenendo in Russia in queste ultime settimane non sarà come ai tempi del dittatore Stalin ma “è molto disturbante”, scrive sul Moscow Times. Dal primo luglio, quando con una votazione popolare la maggior parte dei russi si è espressa a favore dei nuovi emendamenti alla Costituzione, il più famoso è quello che riguarda l’azzeramento dei mandati presidenziali di Vladimir Putin e gli permette di ricandidarsi ancora nel 2024, c’è stata un’accelerazione del numero di arresti e processi contro giornalisti, oppositori e dissidenti. Nessuno credeva veramente che la nuova Russia, quella del post coronavirus e della nuova Costituzione, avrebbe scelto di diventare più democratica. Ma in pochi pensavano che questa accelerazione sarebbe stata così brusca.

 

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Negli ultimi quindici giorni le autorità hanno arrestato il giornalista Ivan Safronov, ex corrispondente del quotidiano economico Kommersant che da qualche mese lavorava con l’agenzia spaziale Roscosmos, con l’accusa di trasmettere informazioni segrete alla Repubblica ceca. E’ toccato di nuovo anche a Piotr Verzilov, editore del sito Mediazona che si occupa di inchieste sul sistema giudiziario russo, poi alla giornalista Svetlana Prokopieva accusata di terrorismo. Nella zona di Khabarovsk, nell’estremo oriente, il governatore Sergei Furgal è stato arrestato con l’accusa di aver ucciso molti uomini di affari. E’ stato portato via dalla polizia mentre era nella sua macchina e arrestato per la strada.

 

Questi sono soltanto alcuni esempi di quello che è accaduto negli ultimi quindici giorni e soprattutto l’arresto del giornalista Safronov e di Furgal hanno poi portato a una serie di dimostrazioni di forza da parte delle autorità. Per Sofronov sono scesi in piazza tanti altri giornalisti e molti sono stati arrestati. Per Furgal hanno manifestato i cittadini e presto la protesta è diventata una manifestazione contro il Cremlino, contro le autorità russe, contro i nuovi arresti. Il governatore non era infatti un uomo di Russia Unita, aveva vinto le elezioni nel 2018 ed è stato tra gli amministratori che più hanno subito la pressione della pandemia. Non era un grande e fervente oppositore, si è ritrovato a capo di una regione quasi per caso e con altrettanta casualità si è ritrovato a essere inserito nella lista dei dissidenti. Le autorità non si aspettavano tante proteste in difesa del governatore, in piazza a gridare slogan contro il presidente Putin sono scese circa trentamila persone e nonostante l’evento non fosse autorizzato, la polizia ha deciso di non intervenire. Certo la forza delle proteste di Khabarovsk non sarà in grado di arrivare a tutta alla Russia, ma nell’estremo oriente hanno sperimentato da subito quanto sia duro avere a che fare con questo nuovo potere.

 

Anche le accuse contro Sofronov sono molto gravi, è accusato di tradimento e il processo avverrà a porte chiuse. Secondo l’Fsb sarebbe stato reclutato dai servizi di sicurezza cechi nel 2012 e nel 2017 avrebbe trasmesso informazioni riservate sulla cooperazione della Russia con i paesi del medio oriente. Il problema, scrive il giornalista Andrei Soldatov, è il ritorno della “definizione paranoica di spionaggio” che questa volta prende di mira soprattutto i giornalisti. La paura del nemico, dello straniero, il dubbio costante sono secondo diversi osservatori elementi che stanno tornando nella società russa. Gli arresti di questi giorni – i primi quindici giorni della nuova Russia – ne sarebbero un segnale.

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