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Forever Angela

Paola Peduzzi

Quando pensavi di sapere tutto della Merkel ecco che lei cambia lo sguardo, cambia il ritmo e ti mette davanti un nuovo sogno europeo. E a chi dice che tanto lei è al tramonto: siamo fatti per la luce

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Due donne tedesche al potere rende le cose più semplici?, ha chiesto un giornalista ad Angela Merkel in videoconferenza con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “In Germania non c’è mai stata una donna cancelliere prima di me. In Europa non c’è mai stata una donna presidente di Commissione prima. Siamo piuttosto fiduciose del fatto che possiamo farcela, vero Ursula?”.

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Due donne tedesche al potere rende le cose più semplici?, ha chiesto un giornalista ad Angela Merkel in videoconferenza con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “In Germania non c’è mai stata una donna cancelliere prima di me. In Europa non c’è mai stata una donna presidente di Commissione prima. Siamo piuttosto fiduciose del fatto che possiamo farcela, vero Ursula?”.

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Si fa presto a dire cambiamento, ad affidarsi alla fantasia prospettando un futuro rosa mentre si buttano giù certezze e sistemi senza pensare troppo a come rimpiazzarli. Si fa presto a innamorarsi del cambiamento: chi ambisce a stare arroccato sullo status quo, sempre a difendersi, sempre all’erta, sempre a tormentarsi di sospetti? E se poi il cambiamento non si realizza, se le spallate non buttano giù nulla e rovinano soltanto la porta, c’è pronta la giustificazione: ci ho provato, non ce l’ho fatta. 

 

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Ci siamo nutriti negli ultimi dieci anni e più di questi cambiamenti interrotti, mentre il “change” ci si stropicciava nelle mani e diventava una palla di carta da gettare in faccia a chiunque, in qualsiasi occasione, da qualsiasi partito. Tu di’ cambiamento, vedrai che funziona. Ecco, in queste ultime settimane abbiamo visto che cosa vuol dire davvero un cambiamento, cosa succede quando il cambiamento non è soltanto una parola scritta su un cartellone, e soprattutto abbiamo pensato per la prima volta forse da sempre che non è vero che le persone non cambiano. Si cambia, cambiamo. A insegnarci tutto, ancora una volta, è stata Angela Merkel, la cancelliera tedesca che riesce a rivoluzionare ogni cosa restando al centro dell’universo (occidentale). Lei sa maneggiare il cambiamento a partire da se stessa, e la svolta decisiva nella storia merkeliana – paradigma di leadership – sta proprio nell’abilità di modificare prima di tutto se stessi.


Il cambiamento non è soltanto una parola buona per i cartelloni, e non è vero che le persone non cambiano. Si cambia, cambiamo


 

“In una crisi come questa – ha detto qualche giorno fa la Merkel – uno deve fare quel che è necessario. E in questo caso quel che è necessario è qualcosa di straordinario”. La necessità – l’urgenza, la disperazione anche – che diventa straordinaria. Ci voleva la più metodica e prudente e cauta e calcolatrice dei leader d’occidente per riuscire nell’operazione di trasformare l’affanno dei ritardi e dell’impreparazione (perché è così che siamo da mesi: in affanno, corriamo dietro a un virus, corriamo dietro alle statue abbattute, corriamo dietro alle proteste, a ferite antiche che si saldano con quelle moderne, e sembra tutto improvviso, inatteso) in una nuova occasione: per lei, per la Germania, per l’Europa, per noi. Se serve correre, corriamo, ha detto la Merkel, ma pensiamo a dove vogliamo arrivare: la reattività non è per forza improvvisazione, si può andare veloci e composti, con un obiettivo. Il suo, la Merkel lo sta dicendo con estrema semplicità dal 18 maggio – c’è una data d’inizio di questa rivoluzione – ed è: se non ci salviamo tutti, non si salva nessuno. Una carezza contro i pugni sbattuti sui tavoli di chi dice: nessuno fa mai abbastanza per noi. La necessità che diventa straordinaria, e per una volta si concretizza nell’interesse europeo, quella formula magica che cerchiamo da anni senza trovarla per davvero – un altro cambiamento interrotto. Per arrivare a questa trasformazione, la Merkel ha prima di tutto dovuto cambiare se stessa – una donna di potere, quasi sessantaseienne, a fine carriera. Non era affatto scontato, anzi: non se l’aspettava nessuno.

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La Merkel è entrata in questo 2020 infelice con un esecutivo da difendere dagli anti grancoalizionisti che si trovano a sinistra (l’Spd), in casa (la Csu bavarese) e all’estrema destra (l’AfD). Merkel era in una fase difficile: insuccessi per il suo partito, successione da governare (la delfina era Annegret Kramp-Karrenabuer), transizione lunga senza troppi appuntamenti elettorali ma con moltissime faide in corso. Per di più erano almeno due anni che i giornali tedeschi e internazionali parlavano, con sfumature più o meno colorite, del crepuscolo merkeliano, che si sommava a un atavico, profondissimo tic antitedesco molto presente in Europa. La Merkel a testa in giù, la Merkel al tramonto, la Merkel finita: c’è chi guardava il declino con gli occhi arrossati, chi urlava di piacere, ma tutti ci stavamo adattando a un mondo post Merkel. E un pochino lo stava facendo anche la cancelliera: aveva scelto chi sarebbe venuto dopo di lei mettendo a tacere i più rancorosi; aveva mandato la sua ministra Ursula von der Leyen a Bruxelles; aveva domato la rivolta contro di lei dei nuovi leader dell’Spd; aveva progetti per il semestre europeo per consolidare la sua eredità in una dimensione tedesca ed europea. In tutti i retroscena c’era però un tema ricorrente: la stanchezza. Forse erano più stanchi i commentatori di lei – lei non sembra mai stanca, nemmeno nelle nottate bruxellesi in cui gli uomini arrotolano maniche, levano cravatte, si siedono stravaccati – ma il messaggio crepuscolare era ben confezionato.


Ci si salva tutti insieme o non si salva nessuno, quel che sembrava impossibile è accaduto: è uno dei pochi “new normal” promettenti


 

Poi il 2020 ha iniziato a turbarsi molto. In Turingia c’è stato l’accordo sciagurato tra il suo partito e l’AfD che ha portato a uno sconvolgimento della successione: la Kramp-Karrenbauer si è ritirata, oggi ci sono quattro uomini aspiranti al trono. Poi è arrivato il coronavirus e all’inizio l’istinto della Merkel è stato nazionalista: l’efficienza tedesca salverà i tedeschi, e ognuno pensi a se stesso. E’ durato poco, ma è stato un poco doloroso visto dall’Italia travolta dal virus e visto con occhi europeisti e di fiducia nei confronti della Merkel. La cancelliera poi ha fatto il passo decisivo: ha cambiato il suo sguardo. Invece che usare categorie consolidate, invece che utilizzare l’approccio novecentesco – perché lei quando parla dei suoi occhi è sempre per dire: ho fissato un muro per buona parte della mia vita, e sono certa che l’unica cosa che non voglio mai più è che i giovani crescano guardando un muro – ha capito che l’attimo per evitare la trasformazione della necessità in disperazione era quello, e ci voleva qualcosa di straordinario.

 

Non è che la Merkel non abbia mai cambiato idea, anzi. Ma il ruolo della Germania in Europa è sempre stato definito, fin dai primi passi del progetto comunitario. La cancelliera ha interpretato a suo modo – modo da scienziata della Germania dell’est – la leadership tedesca, evitando conflitti plateali, ma frenando tutto quello che le sembrava andare in una direzione diversa rispetto a quella storica tedesca – basta chiedere ai diplomatici francesi di tutte le stagioni, con Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron, per sentirselo raccontare con parecchi aneddoti espliciti. Per questo quando si parla della Merkel, al netto degli epiteti che le sono stati appioppati, si dice che ha un tratto molto femminile nella sua leadership: è come quelle mogli che fanno fare ai mariti ciò che vogliono loro, ma lasciano che i mariti pensino di essere stati loro a decidere. Il modello negoziale della cancelliera è stato questo, ma non si è ritagliata soltanto il ruolo di mediatrice.


La più novecentesca dei leader occidentali ha trovato uno sguardo nuovo per trasformare “quel che è necessario in straordinario”


 

 

A volte ci capita di voler dimenticare quel che la Merkel ha fatto durante la crisi dei migranti nel 2015. Secondo la gran parte degli analisti tedeschi e non, quello fu il momento in cui l’Europa cambiò per sempre, non soltanto per questioni demografiche ma perché i movimenti antieuropei accentuarono la loro anima xenofoba e crebbero tantissimo. Per questo, a volte, vogliamo dimenticare. Nel celebre “Wir schaffen das” della Merkel – ci sono le magliette: è una di quelle formule che ti porti addosso con fierezza – non c’era soltanto un’accoglienza che lei considerava necessaria, ma uno stravolgimento che avrebbe cambiato molto e chissà per quanto tutta l’Europa. Aveva calcolato tutti i rischi, la scienziata prudente? La Merkel ha raccontato in seguito che certi disequilibri non li aveva messi in conto, ma che da quel momento ha realizzato quanto ancora fosse fragile il progetto europeo, pure se aveva quasi settant’anni di vita, e che diventava indispensabile rimettersi a prendersene cura con attenzione e delicatezza. Nelle parole della Merkel è tornata con insistenza la libertà – libertà di muoversi, di scegliere, di sognare. Il sogno europeo dei migranti che arrivavano avvolti nella bandiera blu con le stelline che noi nascondevamo nei cassetti ha preso forma anche nei cittadini europei – una forma ancora non del tutto distinguibile, viziata dal fatto che per noi di sogno c’è solo quello americano, e siamo pieni di pregiudizi identitari.

 

Oggi che la Merkel ha deciso di cambiare ancora una volta, quel sogno europeo è più sagomato. Sa di solidarietà e di unità: sui migranti, non ci era riuscita a creare questa trama. La Merkel è riuscita a creare in Germania un modello di integrazione unico – andate a vedere dove sono finiti il milione e più di migranti del 2015: troverete storie straordinarie – ma per quell’accoglienza l’Europa si è sfaldata proprio lungo quei valori che l’avevano costruita e tenuta insieme. Con il Covid e la sua furia invece sì, la Merkel ce l’ha fatta, ma dotandosi prima di tutto di una forma tutta nuova per sé. Il Recovery fund e tutti gli strumenti che l’Unione europea ha messo a disposizione degli stati membri sono il frutto dell’ultima rivoluzione merkeliana, quella che apre la strada a un debito comune europeo e a una progettualità che per forza deve andare oltre l’emergenza e la necessità. Ci si salva tutti insieme o non si salva nessuno, quel che sembrava impossibile è accaduto e di tutte le cose che non torneranno più la trasformazione europea è la più promettente. La normalità dell’Ue – il business as usual – è stato sempre associato alla pigrizia, al disaccordo, alle interminabili discussioni che non cambiano mai nulla, a una routine alienante e aliena a buona parte dei cittadini. Non è una rappresentazione del tutto corretta perché nelle pieghe di quell’inefficienza si sono create efficienze epocali, ma la normalità non è mai suonata molto bene quando si tratta di Europa. Ecco perché il new normal che ci aspetta carico di incertezze nel contesto europeo ha l’aria fresca del cambiamento, ha la forza di un rinnovamento insperato nelle relazioni interne ma anche su come vogliamo essere fuori dai nostri confini.


La ricerca di solidarietà sui migranti spaccò l’Europa, ora la furia del Covid mostra quanto tempo abbiamo perso 


Una delle rare volte in cui la Merkel ha utilizzato l’immagine delle maniche rimboccate è stato quando, all’elezione di Trump, disse che era necessario impegnarsi per una nuova autonomia. Aveva capito che l’America non sarebbe stata più la stessa e anche se ancora oggi, a domanda diretta, dice che l’occidente senza America non è pensabile, ha imparato – e insegnato – a convivere con quest’assenza. Anzi, ora ambisce a portare l’Ue fuori dal perimetro internazionale in cui è stata finora, creando una voce europea armoniosa, forte, anche decisiva. Il programma è a lunga scadenza, quando e se si realizzerà la Merkel non sarà più al potere. Ma le basi sono state poste in questi giorni, sotto ai nostri occhi, e mentre molti – i soliti – contano in giorni dalla dipartita della Merkel, tutti gli altri hanno scoperto un’altra cosa in più riguardo alla cancelliera, e alla leadership. La convivenza – con i paesi europei, con il virus, con un mondo capovolto – non è per forza stanchezza e routine. La necessità non è per forza disperazione. Gi sguardi non sono uguali per sempre, anche quando hai negli occhi una storia immutabile. E per certi cambiamenti, non c’è tramonto che tenga: siamo fatti per la luce.

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