PUBBLICITÁ

La resistenza di Taiwan

Giulia Pompili

Pechino non si fermerà a Hong Kong. Per questo l’alleanza democratica deve rafforzarsi. Parla l’ambasciatore Andrea Sing-Ying Lee

PUBBLICITÁ

Roma. Il sogno di Hong Kong è finito, e Pechino ha vinto. Ma la comunità internazionale può fare ancora qualcosa. Esistono degli strumenti, come le sanzioni internazionali, che possono mandare un messaggio chiaro al Partito comunista cinese. E poi c’è una scelta di campo, più ideologica: per esempio riconoscere e ascoltare quel pezzo di Asia che è rimasto fieramente democratico per oltre settant’anni, nonostante la costante minaccia cinese: Taiwan, l’isola di Formosa che Pechino rivendica come suo territorio.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma. Il sogno di Hong Kong è finito, e Pechino ha vinto. Ma la comunità internazionale può fare ancora qualcosa. Esistono degli strumenti, come le sanzioni internazionali, che possono mandare un messaggio chiaro al Partito comunista cinese. E poi c’è una scelta di campo, più ideologica: per esempio riconoscere e ascoltare quel pezzo di Asia che è rimasto fieramente democratico per oltre settant’anni, nonostante la costante minaccia cinese: Taiwan, l’isola di Formosa che Pechino rivendica come suo territorio.

PUBBLICITÁ

 

“Hong Kong è parte del mondo democratico e liberale. Dall’altra parte c’è il mondo antidemocratico: la Corea del nord, il Venezuela, la Cina”, dice al Foglio l’ambasciatore di Taiwan in Italia, Andrea Sing-Ying Lee. “Con questa legge Pechino ha oltrepassato il limite. Avrebbe dovuto tener fede a un impegno preso con il resto del mondo per altri ventisette anni, ma non lo ha fatto. E’ bene capire che in questo modo si sta destabilizzando l’equilibrio del mondo democratico, che non è perfetto, certo, ma cosa c’è dall’altra parte? L’autoritarismo”.

 

PUBBLICITÁ

L’ambasciatore Lee parla fluentemente italiano, ed è a capo della rappresentanza diplomatica dal 2018, ma ha lavorato per molti anni come funzionario del ministero degli Esteri di Taipei in Italia: “E’ come il ratto delle Sabine, Pechino vuole prendersi la cosa più bella che l’alleanza democratica ha in Asia orientale. Anzi, immagina il capolavoro di Giambologna: l’espressione della donna che cerca di scappare. Anche Hong Kong è una bellezza, un gioiello pieno di talenti, e idee, giovani e imprenditori. La Cina si sta portando via un gioiello che era nella casa dei democratici, e se nessuno dice niente – e parlo delle tre potenze più coinvolte, l’America, l’Unione europea e il Giappone – allora vuol dire che lo stesso mondo democratico ha dei seri problemi, e soprattutto Hong Kong sarà per sempre ciò che ha iniziato a essere ieri”.

 

Per l’ambasciatore si tratta di uno scontro tra “forze del bene e forze del male”, per questo è così importante: “Se la Cina vince questa partita indisturbata, proseguirà con le azioni assertive. Penso al Mar cinese meridionale, alle zone di confine con l’India, perché sanno che il mondo liberale non dirà niente. Se noi ci identifichiamo in certi valori, dobbiamo farli rispettare a livello internazionale”.

 

Nelle ultime settimane, la Cina ha intensificato le provocazioni e le violazioni dello spazio aereo di Taiwan. Le esercitazioni militari nello stretto di Formosa sono periodiche. La presidente Tsai Ing-wen, rieletta a gennaio, è stata celebrata ovunque nel mondo per il metodo con cui ha condotto il paese fuori dalla pandemia, e nonostante il virus non ha mai smesso di celebrare l’autonomia di Hong Kong. Per Pechino è una separatista: “Taiwan ha sua storia, una sua posizione politica, però ha anche il suo stretto legame con la Cina – del resto ci chiamiamo pur sempre Repubblica di Cina. Siamo una voce di giustizia nel mondo della lingua cinese. Non abbiamo mai smesso di criticare le azioni di Pechino, di ricordargli la democrazia e la libertà. Ma quando a Pechino arrivano le nostre critiche sono più tolleranti, perché non possono dire: ‘Sono affari interni’”. Per molti analisti, Taiwan potrebbe essere il secondo obiettivo cinese dopo Hong Kong: “Taiwan non può essere come Hong Kong, per motivi geografici – ci sono 130 chilometri di mare tra noi e loro. La Cina non ha sufficienti risorse militari: noi abbiamo 300 mila soldati e tre milioni di riservisti. E poi c’è il possibile coinvolgimento di altri paesi. L’opzione militare è insomma inapplicabile, o comunque molto rischiosa per il Partito, ed è per questo che per settant’anni la Cina ha rispettato questa divisione”. Stare dalla parte della democrazia, dell’autonomia e del rispetto degli accordi internazionali – e imporre sanzioni per chi li vìola –, sono le cose che può fare il mondo occidentale per difendere Hong Kong. Nel suo piccolo mondo democratico, Taiwan si sta offrendo come alternativa per chi volesse lasciare Hong Kong. “E’ un progetto di solidarietà e aiuto. Abbiamo aperto un ufficio e un numero dedicato che si occuperà di chi vuole trasferirsi a Taiwan per studio, per trovare lavoro e fare investimenti, e per le aziende, per chi vuole andare via da Hong Kong. Non stiamo promuovendo un esodo, sia chiaro, vogliamo solo dare delle alternative. E’ un impegno umanitario, anche se i nostri immigrati non arrivano con le barche come nel Mediterraneo, ci siamo messi a disposizione”.

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ