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Una sentenza della Corte suprema rivoluziona la tutela dei risparmiatori

Giulio Napolitano e Lavinia Zanghi Buffi

E' stata sancita l’incostituzionalità dello speciale regime di indipendenza del Direttore del Consumer Financial Protection Bureau per violazione del principio di separazione dei poteri

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Nelle ultime settimane, il Chief Justice della Corte Suprema, John G. Roberts, ha redatto tre importanti sentenze in materia di diritti civili, con l’appoggio decisivo della minoranza progressista della Corte (e in un caso del giudice Gorsuch), così smentendo ogni facile schematismo politico nella lettura della giurisprudenza della Corte.

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Nelle ultime settimane, il Chief Justice della Corte Suprema, John G. Roberts, ha redatto tre importanti sentenze in materia di diritti civili, con l’appoggio decisivo della minoranza progressista della Corte (e in un caso del giudice Gorsuch), così smentendo ogni facile schematismo politico nella lettura della giurisprudenza della Corte.

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A farne le spese è stata anche la controversa decisione del presidente Trump di bloccare il programma varato dall’amministrazione Obama di protezione degli immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti da bambini: una decisione giudicata arbitrary and capricious, perché priva di adeguata motivazione.

 

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Con la sentenza del 29 giugno 2020, invece, il fronte conservatore si è ricompattato, portando la Corte Suprema a sancire l’incostituzionalità dello speciale regime di indipendenza del Direttore del Consumer Financial Protection Bureau per violazione del principio di separazione dei poteri. Il Bureau è un’agenzia indipendente creata dal Dodd-Frank Act del 2010, la legge di riforma del sistema finanziario adottata in reazione alla crisi del 2008. L’Agenzia, nata da un’idea di Elisabeth Warren quando era ancora soltanto un’accademica, è dotata di ampi poteri regolamentari e investigativi al fine di garantire ai consumatori condizioni di correttezza e trasparenza nell’accesso ai prodotti e servizi finanziari e di bilanciare così il potere di “cattura” del regolatore concentrato nelle mani dei grandi intermediari. Nel tentativo di isolare l’Agenzia da indebite pressioni politiche, il Congresso aveva ritenuto che essa dovesse essere guidata da un unico Direttore, nominato ogni cinque anni dal presidente con l’assenso del Senato. Una volta assunto l’ufficio, il direttore non avrebbe potuto essere rimosso se non per “inefficienza, negligenza o malafede nell’esercizio delle proprie funzioni”.

 

Con la decisione del 29 giugno, la Corte suprema ha invece sancito che la mancata attribuzione al presidente del potere di rimuovere il direttore at will è incostituzionale. Seconda la maggioranza della Corte, infatti, nel sistema costituzionale statunitense il potere esecutivo appartiene al presidente. E questo potere racchiude quello di controllare e di rimuovere tutti coloro che esercitano rilevanti poteri esecutivi in sua vece. Ricalibrando gli equilibri di potere tra il presidente e le agenzie indipendenti, la Corte segna così un punto a favore della lunga crociata conservatrice a sostegno della teoria dell’unitarietà del potere esecutivo, propugnata da Antonin Scalia in un famosa dissenting opinion sin dal 1988. Secondo questa prospettazione, ogni funzionario al quale siano attribuite funzioni esecutive deve rispondere della propria attività dinanzi al Presidente, che, conseguentemente, deve poterlo rimuovere anche senza che ricorra una specifica causa. Come ora sottolineato nell’opinione di maggioranza del Chief Justice, d’altra parte, il presidente è “the most democratic and politically accountable official in Government”. La logica della decisione della Corte non è priva di punti deboli. La struttura monocratica dell’Agenzia non è così “unprecedented” come sembra volere far credere la Corte. Inoltre, come rilevato nell’opinione dissenziente della giudice Elena Kagan e degli altri giudici di nomina democratica, la decisione della maggioranza ha “eliminato una caratteristica dell’Agenzia che i suoi creatori hanno reputato fondamentale al perseguimento della sua missione – una misura di indipendenza dalla pressione politica”. La sentenza, tuttavia, non sancisce certo la fine del sistema americano di regolazione indipendente, come alcuni temevano. Da un lato, grazie all’opinione concorrente dei giudici di nomina democratica, il Bureau rimane in vita e potrà continuare a tutelare i consumatori, anche se senza lo scudo di prima. Infatti, la clausola del Dodd-Frank Act che limita il potere di rimozione del Direttore è stata considerata dalla Corte “separabile” dal resto del testo normativo. Dall’altro, le censure della Corte si appuntano soprattutto sulla struttura monocratica del Bureau, lasciando intendere che le più ampie garanzie di indipendenza continueranno ad applicarsi alle commissioni a composizione collegiale e bipartisan. Il mantenimento in futuro di questa sottile linea di equilibrio, però, dipenderà non soltanto dalle virtù del Chief Justice e degli altri giudici della Corte suprema, ma anche dal risultato delle prossime elezioni presidenziali.

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