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Le resistenze in Israele all'annessione di parte della Cisgiordania

Micol Flammini

Il piano di Netanyahu è considerato molto controverso, dentro e fuori Israele. Oggi che le relazioni con i vicini sono più stabili, la decisione unilaterale può essere molto rischiosa. Parla lo scrittore israeliano Yossi Klein Halevi

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La tentazione dell’annessione di parte della Cisgiordania non è difficile da capire per un israeliano, lo ammette anche Yossi Klein Halevi, scrittore e condirettore dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, nato negli Stati Uniti e oggi uno dei più influenti intellettuali in Israele. E’ una tentazione antica, che ha anche a che fare con un senso intimo di insicurezza perenne, di precarietà geografica. Dalla finestra di Yossi Klein, che vive nella parte nord-est di Gerusalemme, si estendono tre entità politiche che lui descrive così: “Lo stato sovrano di Israele, che termina appena oltre la mia finestra; l’Autorità palestinese; poi in lontananza le montagne della Giordania, il tutto a un’ora di macchina da casa mia”.

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La tentazione dell’annessione di parte della Cisgiordania non è difficile da capire per un israeliano, lo ammette anche Yossi Klein Halevi, scrittore e condirettore dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, nato negli Stati Uniti e oggi uno dei più influenti intellettuali in Israele. E’ una tentazione antica, che ha anche a che fare con un senso intimo di insicurezza perenne, di precarietà geografica. Dalla finestra di Yossi Klein, che vive nella parte nord-est di Gerusalemme, si estendono tre entità politiche che lui descrive così: “Lo stato sovrano di Israele, che termina appena oltre la mia finestra; l’Autorità palestinese; poi in lontananza le montagne della Giordania, il tutto a un’ora di macchina da casa mia”.

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Quello che Klein Halevi vede dalla finestra potrebbe cambiare se i piani dell’annessione andranno avanti, il primo ministro Benjamin Netanyahu intende annettere allo stato di Israele circa il 30 per cento della Cisgiordania, una mossa che sembra interessare poco ai suoi stessi cittadini, che in questo momento sono presi da altre questioni, come la crisi sanitaria, e seguono con disattenzione quella che, secondo molti, è ormai un’ossessione del premier e non più una battaglia della nazione. “Soltanto il quattro per cento della popolazione crede che l’annessione sia una delle priorità dello stato ebraico, in questo momento sono tutti presi da altre questioni e da molte difficoltà”, dice al Foglio Yossi Klein Halevi.

  

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Per lo scrittore israeliano sono tante le motivazioni per le quali bisognerebbe evitare l’annessione che, dopo il piano di pace proposto dall’Amministrazione Trump, ha acceso in Netanyahu questa fretta di muoversi verso est e di portare avanti un progetto che ha molte resistenze interne, a cominciare dal ministro della Difesa Benny Gantz, e tantissime esterne. Ci sono ragioni strategiche, di sicurezza, di alleanze, ma soprattutto ci sono questioni morali contro l’annessione unilaterale della Cisgiordania, dice lo scrittore che racconta di aver trascorso vent’anni, dalla Seconda Intifada, a difendere Israele soprattutto “nei templi del pensiero liberal e di fronte ai leader progressisti, un pubblico incline a dare la colpa agli israeliani” per la situazione di tensione nell’area. “Una delle più grandi risorse del nostro stato è la nostra credibilità morale. Con credibilità ci siamo sempre dimostrati pronti a negoziare, di fronte alla comunità internazionale noi eravamo quelli che ragionavano sulle offerte che ci venivano fatte. Mentre noi dicevamo di sì alle proposte di Clinton, Arafat rispondeva con quattro anni di attacchi terroristici. La nostra credibilità morale è data dal fatto che siamo stati sempre a favore di tutte le opzioni, compresa l’eventuale creazione di uno stato palestinese, noi abbiamo sempre resistito alla tentazione di determinare con la forza la natura giuridica dei territori” e l’annessione, dice Klein Halevi, sarebbe questo: agire come Israele non ha mai voluto agire. “Questo era il nostro modello, ed ora stiamo mettendo in pericolo la nostra credibilità morale. Il progetto di Netanyahu di annettere unilateralmente parte di Giudea e Samaria ha anche un lato ironico. Se Israele procede con l’annessione, se estende la legge israeliana agli insediamenti, non ci saranno grandi cambiamenti sul piano pratico, non cambierà la realtà sul campo, piuttosto la nostra posizione nella comunità internazionale. La nostra moralità, appunto. Con l’annessione si creerà una dinamica internazionale in cui Israele sarà sempre di più sulla difensiva”. Non vede risvolti positivi dal piano che Netanyahu avrebbe voluto attuare da oggi, ma che invece è stato rimandato. Eppure Israele si è sempre ritrovata di fronte ai “no” dei palestinesi, alla loro contrarietà di fronte a qualsiasi forma di negoziato, sembra impossibile trovare un compromesso e l’annessione sembra quasi l’unica strada, l’unica alternativa. Non è d’accordo Yossi Klein: “Non sta a noi cambiare il modo di pensare palestinese e non è questo il momento di giocare con lo status quo. Ora Israele dovrebbe pensare a rafforzare le sue relazioni internazionali. Questo è un momento storico in cui la paura condivisa dell’imperialismo iraniano sta mettendo insieme gli stati arabi e noi, è un momento importante per tutto il medio oriente e l’annessione è una risposta selvaggia”.

  

In una lettera inviata a Benny Gantz e al ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi dalle colonne del Times of Israel, Klein Halevi chiede ai due esponenti del governo di guardarlo con attenzione quel piano di pace da cui tutto è partito, perché quel piano non è l’invito a un’annessione unilaterale sotto qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, è piuttosto un suggerimento, l’invito a negoziare e trovare un accordo. “La nostra responsabilità ora è fare di tutto per sostenere l’integrità di un piano che abbiamo approvato, i no lasciamoli ai palestinesi. Io credo che sia un buon piano, soprattutto se lo interpretiamo come un patto di transizione e non come uno status quo definitivo per il futuro. Ma potrebbe essere un punto di svolta per far ripartire i negoziati. Quello che trovo davvero positivo di questo piano è la sua capacità di suonare come un campanello d’allarme, sia per la leadership palestinese sia per i leader della destra israeliana. Il piano deve far capire ai palestinesi che ogni volta che rifiutano un accordo, la possibilità per loro di vedere nascere uno stato si fa sempre più piccola. La destra israeliana invece deve comprendere che anche un’Amministrazione americana comprensiva, repubblicana, vicina alle loro idee sostiene la necessità di creare uno stato palestinese, allora anche per loro è arrivato il momento di fare i conti con la realtà”.

   

A preoccupare Yossi Klein è anche la sicurezza dello stato ebraico, “l’idea di procedere con l’annessione mette in pericolo la cooperazione che abbiamo con l’autorità palestinese, che è molto importante per la sicurezza israeliana, e anche l’accordo di pace con la Giordania. Mantenere posizioni militari nella Valle del Giordano è essenziale per proteggere Israele dagli attacchi che vengono da est. E, per mantenere una presenza di sicurezza sul confine orientale di Israele, non è necessaria l’annessione”. Le speranze di Klein Halevi che fosse la parte blu e bianca del governo con il suo leader Benny Gantz a cambiare le sorti di questo processo si sono trasformate in delusioni. Anche Gantz, quando ancora era l’uomo dell’opposizione, prima della terza elezione in un anno, aveva approvato il piano di Trump, era stato anche accolto alla Casa Bianca dal presidente americano – gli aveva chiesto però di non sottoporlo allo strazio di una photo opportunity accanto al rivale Bibi, ancora non sapeva che avrebbe acconsentito a formare un governo di unità nazionale – ma ha cercato di non pronunciarsi mai apertamente a favore dell’annessione. In queste ultime settimane aveva chiesto a Netanyahu di attendere, di pensare alla crisi sanitaria, ma il primo ministro aveva risposto che non spettava a lui decidere, ma alla Knesset, il Parlamento. “Sono molto deluso da Gantz, potrebbe fare molto, dovrebbe dire con fermezza che non è questo il momento di danneggiare le relazioni internazionali di Israele, i suoi rapporti economici. Capisco perché ha accettato di formare un governo con il Likud, il partito di Netanyahu, ha evitato al paese una quarta elezione con poche speranze di portare a un risultato netto, ha risparmiato al paese una campagna elettorale durante una pandemia, e gli sono grato. Ma credo sarebbe il momento di sfruttare la sua posizione”.

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Ieri , dopo un incontro con l’ambasciatore americano in Israele Friedman e l'inviato speciale per il medio oriente Avi Berkowitz, Netanyahu ha detto che il governo continuerà a lavorare sulla questione della sovranità in Cisgiordania, la decisione è stata rimandata, segno del fatto che forse anche il sostegno degli Stati Uniti non è più così sicuro. “Credo che questo indichi una certa dose di caos dentro all’Amministrazione americana. C’è una fazione che sostiene l’annessione e un’altra che la vede come un’alterazione del piano di pace. Penso però che uno dei motivi per i quali Washington ha detto di essere a favore abbia a che fare con la frustrazione che deriva dal fatto che la leadership palestinese non ha nemmeno accettato di incontrarsi per discutere il piano. C’è molta rabbia, da tutte le parti. Ma non può essere la rabbia il motore della nostra politica”. Non per Israele, dice Yossi Klein Halevi, la credibilità morale di un popolo che per decenni ha mostrato la sua disponibilità a negoziare sul territorio conteso non può reggersi sulla rabbia.

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