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Di chi è questa droga?

Daniele Ranieri

Enorme sequestro di Captagon “prodotto dall’Isis” a Salerno. Ma il traffico è in mano agli amici di Assad

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Roma. “Che cosa stavano pensando le autorità italiane quando hanno detto che il Captagon è stato prodotto dallo Stato islamico? E’ perché non sono a conoscenza dei fatti oppure è una scelta deliberata per non dire nulla di male a proposito di Assad e Hezbollah?”, chiede Sam Dagher al Foglio. Dagher è corrispondente in medio oriente da più di quindici anni, l’anno scorso ha scritto un saggio di cinquecento pagine sulla famiglia Assad e la guerra civile in Siria e come molti è stato colpito in modo negativo dalla notizia arrivata mercoledì dall’Italia: un sequestro di 84 milioni di pasticche di Captagon “prodotte dall’Isis” nel porto di Salerno, per un valore di mercato di un miliardo di euro sul mercato illegale (qui scriviamo Captagon per comodità come se fosse il medicinale bandito dal commercio, ma si tratta di solito di una contraffazione). La Guardia di Finanza ha dichiarato come un fatto certo che quella quantità enorme di Captagon è stata prodotta in Siria dallo Stato islamico per finanziare il terrorismo internazionale. L’informazione è poi girata molto e anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’ha rilanciata. Ma non è convincente. Il sequestro è un’ottima cosa e un colpo durissimo contro il narcotraffico, ma l’associazione con lo Stato islamico è dubbia. Come tanti altri, anche Dagher nota che il traffico di Captagon e di altro è in mano da molti anni a una filiera che fa capo al gruppo libanese Hezbollah e al regime siriano.

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Roma. “Che cosa stavano pensando le autorità italiane quando hanno detto che il Captagon è stato prodotto dallo Stato islamico? E’ perché non sono a conoscenza dei fatti oppure è una scelta deliberata per non dire nulla di male a proposito di Assad e Hezbollah?”, chiede Sam Dagher al Foglio. Dagher è corrispondente in medio oriente da più di quindici anni, l’anno scorso ha scritto un saggio di cinquecento pagine sulla famiglia Assad e la guerra civile in Siria e come molti è stato colpito in modo negativo dalla notizia arrivata mercoledì dall’Italia: un sequestro di 84 milioni di pasticche di Captagon “prodotte dall’Isis” nel porto di Salerno, per un valore di mercato di un miliardo di euro sul mercato illegale (qui scriviamo Captagon per comodità come se fosse il medicinale bandito dal commercio, ma si tratta di solito di una contraffazione). La Guardia di Finanza ha dichiarato come un fatto certo che quella quantità enorme di Captagon è stata prodotta in Siria dallo Stato islamico per finanziare il terrorismo internazionale. L’informazione è poi girata molto e anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’ha rilanciata. Ma non è convincente. Il sequestro è un’ottima cosa e un colpo durissimo contro il narcotraffico, ma l’associazione con lo Stato islamico è dubbia. Come tanti altri, anche Dagher nota che il traffico di Captagon e di altro è in mano da molti anni a una filiera che fa capo al gruppo libanese Hezbollah e al regime siriano.

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Alla fine di aprile le autorità dell’Arabia Saudita hanno sequestrato un carico di 45 milioni di pasticche di Captagon nascoste dentro a confezioni di tè di un’azienda che appartiene a una famiglia, i Kabour, vicina al presidente siriano Bashar el Assad. Pochi giorni prima le autorità egiziane avevano scoperto a Port Said quattro tonnellate di hashish sistemate dentro diciannovemila contenitori confezionati dalla Milkman, un’azienda di Rami Makhlouf, il cugino di Assad che in Siria fino a poco tempo fa era considerato l’uomo d’affari più potente del paese. A gennaio l’ennesima nave con un carico di Captagon era stata intercettata a Dubai negli Emirati Arabi Uniti. 

  

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Come le altre arrivava da Latakia, il porto sulla costa della Siria che gli assadisti considerano il loro feudo storico – e dove la presenza dello Stato islamico è sempre stata minima. Lo Spiegel a maggio scriveva che “le intercettazioni della droga mostrano quanto il regime di Assad e i suoi alleati a Teheran siano alla ricerca disperata di nuovi occasioni di profitto”, che è una lettura possibile – nell’area c’è una crisi devastante – ma fa quasi sembrare che il traffico di Captagon sia una novità di adesso. Invece uno studio pubblicato nel 2016 sul Journal of International Affairs della Columbia University di New York fa risalire l’inizio di questa attività al 2006, nelle zone del Libano dove Hezbollah è più forte, come la Beqaa. Quando poi è scoppiata la guerra civile in Siria c’è stato un margine di manovra più ampio per sfruttare la zona attorno a Qusayr, sul confine con il Libano, a partire dal 2013. Il Captagon sarebbe prodotto in tante manifatture locali sotto la protezione del gruppo libanese e di Maher el Assad, fratello di Bashar a capo della Quarta Divisione, una delle poche unità dell’esercito siriano che ancora riesce a funzionare con efficienza. Ma prima di arrivare in Libano e Siria, all’inizio degli anni Novanta, produzione e smercio erano in mano a produttori bulgari, che approfittavano della relativa anarchia. Come il flusso di droga scorre dal Messico verso gli Stati Uniti, così la droga della regione scorre verso l’Arabia Saudita e gli Emirati, i luoghi dove c’è più denaro. E anche verso l’Europa. Si tratta di un traffico che gode di una quasi sponsorizzazione da parte delle autorità locali e questo spiega la relativa buona organizzazione: le quattordici tonnellate di Captagon trovate a Salerno erano nascoste dentro a cilindri di carta per uso industriale prodotti in Germania. Da quindici anni ci sono sequestri in medio oriente: molto prima della nascita dello Stato islamico.

  

È poco plausibile che un’operazione del genere fosse gestita dal gruppo estremista, che in questo momento in Siria è ridotto ai minimi termini dal punto di vista organizzativo. È un assortimento di cellule clandestine che un po’ vive sotto copertura nei centri abitati e un po’ si nasconde nel deserto che occupa la parte centrale del paese. Come tutte le fazioni cerca di ricavare denaro come può, ma da qui a dire che produce e fa passare tonnellate di anfetamine per il porto di Latakia, dall’altra parte del paese, è un salto da dimostrare. L’associazione fra il Captagon e lo Stato islamico è suggestiva ed è circolata parecchio, ma è debole. Per esempio si sente dire spesso che gli attentatori del Bataclan a Parigi nel novembre 2015 fossero sotto l’effetto del Captagon, ma come ricorda il ricercatore francese Laurent Laniel, che ha studiato l’argomento, le loro autopsie provarono che non avevano preso alcolici o droghe. L’unico caso conosciuto finora per Laniel è quello dell’attentatore di Sousse, in Tunisia. Ma l’idea che dietro al traffico di Captagon ci sia di sicuro lo Stato islamico è diventata irresistibile. Nel maggio 2017 le autorità sequestrarono un carico di 37 milioni di pasticche nel porto di Genova su una nave proveniente dall’India. Anche in quel caso si disse che era un carico dello Stato islamico, anche se la provenienza – l’India – andava poco d’accordo con quella tesi.

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