Angela Merkel (foto LaPresse)

Le tre fasi della presidenza europea della Merkel, mese per mese

David Carretta

Priorità, tempi, personaggi e quel 3 novembre che può cambiare tutto

Bruxelles. Il 17 luglio Angela Merkel festeggerà il suo sessantaseiesimo compleanno insieme agli altri capi di stato e di governo dell’Unione europea durante il vertice dedicato al Recovery fund e al bilancio 2021-2027. Nonostante mazzi di fiori, bicchieri di champagne e l’immancabile torta, per la cancelliera tedesca non sarà una festa. Il primo luglio la Germania assumerà la presidenza di turno dell’Ue per un semestre che avrà una priorità assoluta: trovare un accordo su un pacchetto da 750 miliardi, che in termini di portata finanziaria e politica non ha precedenti, ma sui cui dettagli i 27 sono ancora profondamente divisi. Merkel, che secondo i suoi piani dovrebbe lasciare la cancelleria dopo le elezioni politiche del settembre 2021, aveva immaginato un’uscita di scena tranquilla dall’Ue. A luglio i dossier più controversi dell’agenda europea dovevano già essere un ricordo: il bilancio 2021-27 approvato, i piani di riforma della zona euro di Emmanuel Macron annacquati, il dibattito sulla riforma della politica europea su migrazione e asilo avviato, la Brexit rinviata con una nuova proroga o un accordo sulle relazioni future. Il momento più importante della presidenza della Germania dell’Ue doveva essere il summit con il presidente cinese Xi Jinping a Lipsia in settembre, per segnare una nuova intesa con la Cina in nome del multilateralismo, del libero commercio e del clima, contro il protezionismo unilateralista di Donald Trump. Poi il Covid-19 ha rivoluzionato tutto. 

 

L’ordine del giorno dell’Ue si è bloccato il 21 febbraio. Le riunioni in presenza sono state cancellate. Tutti i dossier sono stati rinviati. L’unico cantiere aperto è quello della mutualizzazione del debito per la ripresa post Covid – quella mutualizzazione del debito che, diceva Merkel, non ci sarebbe mai stato finché lei era in vita. Così è stata rivoluzionata anche la presidenza tedesca dell’Ue. A lungo si è dubitato sulla volontà e determinazione di Merkel nel far compiere un vero balzo all’Ue. La cancelliera poteva già rivendicare di aver salvato la zona euro (con Mario Draghi) nel 2010-15. Ora, invece, la domanda è se il “momento Hamilton” dell’Ue verrà ricordato nei libri di storia come il “momento Merkel”.

 

Forte del suo pragmatismo e della sua capacità organizzativa, la Germania non si è fatta intimorire dal Covid-19 nella preparazione della sua presidenza. Il programma e il calendario sono stati adattati. A Bruxelles la squadra Merkel è guidata dall’ambasciatore Michael Clauss. A Berlino la configurazione politica della grande coalizione è favorevole agli equilibri europei: la cancelliera è la leader indiscussa dei popolari europei, mentre tre socialdemocratici sono alla testa dei ministeri chiave delle Finanze (Olaf Scholz), degli Esteri (Heiko Maas) e degli Affari europei (Michael Roth). La presidenza tedesca dell’Ue è stata divisa in tre fasi. La prima sarà dominata dalla necessità di trovare un accordo sul Recovery fund e il bilancio 2021-27. Merkel spera di trovare un compromesso politico al più alto livello a luglio, non al vertice del 17 e 18, ma in un Consiglio europeo successivo, che dovrebbe tenersi entro la fine del mese, anche se non è escluso che i negoziati si trascinino fino ad agosto. La sfida è considerata da Berlino difficile – i 27 sono divisi sull’ammontare di 750 miliardi, sulla ratio tra prestiti e sussidi, sui criteri di allocazione, sulle condizionalità in termini di riforme economiche e stato di diritto – ma l’impresa non è impossibile. La squadra Merkel ha analizzato le posizioni di tutti gli stati membri. Italiani, spagnoli e portoghesi sono entusiasti della proposta della Commissione. La resistenza del gruppo di Visegrád può essere superata grazie agli interessi interni divergenti: Polonia e Slovacchia otterrebbero molti soldi, costringendo Ungheria e Repubblica ceca ad accettare un accordo. La chiave per un compromesso sono i “quattro frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia). L’interlocutore più ostico è Mark Rutte, dato che il premier olandese deve andare a elezioni a inizio 2021.

 

Ma ci sono diverse concessioni che possono essere fatte. Innanzitutto i “rebate” (gli sconti stile Margaret Thatcher) e un taglio di 40 miliardi alla proposta di bilancio 2021-27. Sul Recovery fund, Berlino intende offrire ai “frugali” le condizionalità sulle riforme nei paesi del sud. La cancelliera tedesca è pronta anche a ridurre l’ammontare complessivo del Recovery fund, ma vuole preservare gli stanziamenti a fondo perduto. Merkel si è convertita alla mutualizzazione del debito – e agli stanziamenti al posto dei prestiti – quando ha compreso che la crisi Covid avrebbe fatto esplodere quello dell’Italia. Dopo il 2010-15, non vuole che la sua eredità storica sia il disfacimento della zona euro.

 

La seconda fase della presidenza tedesca inizierà a settembre e sarà dominata dalla Brexit. Dopo l’uscita formale il 31 gennaio, non ci sono stati progressi nei negoziati sulle relazioni future. Anzi, il Regno Unito ha fatto marcia indietro su alcuni impegni che aveva assunto nella dichiarazione politica. Boris Johnson ha annunciato che non chiederà un prolungamento del periodo di transizione, che permette ai britannici di restare nel mercato interno e nell’unione doganale fino al 31 dicembre, in attesa di un accordo di libero scambio. L’incubo è di ritrovarsi con il “no deal” il primo gennaio 2021 con tutto ciò che comporta: dazi, controlli alle frontiere, acrimonia politica che avvelenerà le relazioni future. Merkel non si farà coinvolgere direttamente nei negoziati. Il compito rimarrà affidato a Michel Barnier. Ma la presidenza tedesca lavorerà per smussare le posizioni tra i 27. Berlino non crede che i negoziati decolleranno prima dell’inizio di settembre e auspica un approccio più realistico di Londra nei mesi di intensi negoziati dell’autunno. Per contro, si aspetta una drammatizzazione verso ottobre. La valutazione tedesca è che l’accordo debba essere concluso entro l’inizio di novembre. Altrimenti sarà hard Brexit.

 

La terza fase della presidenza tedesca, anche a seconda di come andrà la Brexit, dovrebbe scattare a fine ottobre. Sarà dedicata alle questioni più marginali o su cui un consenso politico appare improbabile: la Conferenza sul futuro dell’Ue (i governi vogliono smorzare le ambizioni dell’Europarlamento sulla riforma dei trattati) e il Patto sulle migrazioni (la proposta della Commissione è stata rinviata a fine estate e Berlino ritiene che la questione sia ancora troppo ideologica per immaginare una svolta). In mezzo ci sono potenziali sorprese, brutte e belle. Sulla Cina, Merkel si è convinta che non si va da nessuna parte in termini di accesso al mercato e che occorra essere più assertivi. Ma, se Xi Jinping cambierà atteggiamento, un accordo sugli investimenti può ancora essere firmato. Sugli Stati Uniti Trump potrebbe mettere una bomba sotto la sedia della presidenza europea con nuovi dazi in rappresaglia alla digital tax. Ma è proprio dall’America che potrebbe arrivare la notizia più gradita il 3 novembre. In caso di vittoria di Joe Biden, sarà Merkel a guidare il dibatto del reset tra Europa e Stati Uniti per ricucire l’alleanza atlantica.

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