(foto LaPresse)

Nessuno tocchi Churchill

Nicola Pedrazzi

Non tutte le statue sono uguali e alcuni personaggi storici li possiamo discutere, ma non possiamo eliminarne l'importanza. Chi protesta contro il razzismo ha attaccato un simbolo della vittoria contro il nazismo

Non è certo la prima volta che la statua di un governante viene attaccata nel corso di una manifestazione di piazza e non è la prima volta che la figura storica di Winston Churchill viene messa a dibattito. Da un lato la forma di un potere politico – perché questo sono le statue "di Stato" – dall’altro il gesto dissacrante di chi, sfregiando la forza di un simbolo, la utilizza per segnalare al potere di turno che è tempo di ridiscutere il presente e, fatalmente, il passato. La scritta "Churchill was a racist" viene da lì, dalla mai finita negoziazione, indispensabile in una società democratica, tra potere pubblico e pensiero critico.

   

Tutto ciò premesso, quanto accaduto a Londra domenica scorsa non può essere derubricato a "già visto", perché quella piazza si era riunita in solidarietà a George Floyd e ai neri d’America, e l’accusa di razzismo è stata mossa a uno degli autori della Dichiarazione delle Nazioni Unite: un foglio redatto nel 1941, da governanti "convinti che la piena vittoria sui loro nemici è essenziale per difendere la vita, la libertà, l'indipendenza e la libertà religiosa, e di preservare i diritti umani e la giustizia nelle proprie e nelle altre nazioni".

  

Winston Churchill fu solo questo?

 

Ovviamente no, ma se nel 1973, otto anni dopo la sua morte, la Regina e il primo ministro Edward Heath inaugurarono la sua statua dinanzi al Parlamento è innanzitutto a memoria della vittoria della Seconda Guerra Mondiale – non per caso la (splendida) posa di quel bronzo si basa su una nota fotografia di Churchill che ispeziona la Camera dei Comuni dopo i violenti bombardamenti nazisti nella notte del 10 maggio 1941.

 

Il paradosso è potente: chi protesta contro il razzismo ha attaccato un simbolo della vittoria contro il nazismo. Un fatto che merita di essere sottoposto a critica, perché non tutte le affermazioni vere sono vere, non tutte le vecchie statue sono superate, non tutti i gesti forti sono forti.

 

La frase "Churchill era un razzista" è vera, per le stesse ragioni per cui formalmente non mentirebbe chi affermasse che "Lutero odiava gli ebrei", che "Pasolini era antiabortista", che "Nilde Iotti era la donna del leader", o che "Maradona era un drogato". I personaggi storici sono tali in quanto condivisi, controversi e contestuali; di qualsiasi controverso condiviso possiamo selezionare un aspetto solo interpretandolo con la lente dei nostri valori presenti. È quello che ha fatto lo stato inglese edificando una statua a Churchill ed è quello che ha fatto il manifestante incidendola con la bomboletta. Ma se il processo di rilettura è il medesimo (compio una selezione funzionale al messaggio contemporaneo che voglio lanciare), la natura delle due operazioni rimane profondamente diversa, perché la statua del "Churchill selezionato" è stata edificata da un potere pubblico (nel caso specifico democratico) che difende la possibilità di studiare il Churchill storico a tutto tondo. Insomma, non si può fare finta di non sapere che se al posto della statua di Churchill avessimo avuto la statua di Hitler difficilmente quel manifestante avrebbe potuto conoscere, denunciare e attualizzare uno dei "lati oscuri" del vincitore.

  

E qui viene il secondo punto, semplice e fondamentale: non tutte le statue sono uguali, non tutti i simboli del potere politico vigente sono ugualmente discutibili, almeno non lo sono allo stesso prezzo. Tanto per restare nell’attualità, la contestazione, a Bruxelles, della statua di Leopoldo II, tiranno del Congo belga, può mettere in difficoltà la già scricchiolante unità nazionale del Belgio, ma non colpisce al cuore un simbolo dell’Europa libera e democratica costruita all’indomani dell’ultima guerra del continente (Balcani esclusi). Lo stesso vale per la rimozione della statua di Edward Colston, che a Bristol creò scuole e ospedali, ma con quanto ricavato dal mercato di schiavi; o per la discussione, tutta statunitense, sulla presenza negli spazi pubblici di statue o memoriali ai generali confederati, che molti cittadini cominciano a giudicare inaccettabili. Insomma, ci sono simboli superabili, che lo scorrere del tempo rende sempre più piccoli, parziali e divisivi; e ci sono simboli fondanti, pulsanti e condivisi, che hanno ancora da dire la loro nel mondo di Trump e Putin. Questo è il caso di Winston Churchill.

  

Veniamo così alla valutazione di merito, a quel gesto come messaggio e strategia politica. Mettiamoci nei panni di un inglese medio, che le urne ci dipingono sostanzialmente conservatore, forse nazionalista, certamente affezionato alla monarchia. È molto probabile che non tutte le persone riconducibili a questa categoria etico-politica siano felici di quanto sta accadendo nella società americana, molti di loro avranno amici con la pelle diversa (siamo comunque nel Regno unito) e avranno letto con sgomento dell’orribile assassinio di George Floyd; molti di loro non si reputano né vivono da razzisti, al netto dei pregiudizi che purtroppo si annidano nei processi cognitivi degli esseri umani. Non è affatto detto che questo inglese medio non si identifichi nei valori espressi domenica a Londra, quello che invece è abbastanza certo è che se quella piazza si antagonizza a Churchill, egli faticherà a identificarvisi. Non un gran risultato, dal punto di vista dei fragili che si intendeva difendere.

  

In conclusione, se, sulla scia delle insopportabili violenze verificatesi negli Stati Uniti, al di qui dell’oceano desideriamo prendere coscienza di cosa sia stato il potere coloniale degli Stati europei nel mondo, questo è molto positivo. Così come sarebbe stupido rammaricarsi a priori di un sempre più diffuso approccio critico alla memoria pubblica, la quale spesso, purtroppo, è straripante di costruzioni falliche e ricorrenze incomprensibili, meritevoli di contestazione (la Risoluzione che il Parlamento europeo ha approvato nel settantesimo anniversario dell’invasione nazista della Polonia restituisce l’idea di quanto sia difficile fare bene in materia di "politiche della memoria").

 

Al contempo, però, bisogna chiedersi se la potenza simbolica sprigionata dalla "correzione" al bronzo di Churchill non sia, anche o invece, la vittoria della logica binaria, pura e memetica dei social network sulla logica complessa e tridimensionale delle istituzioni democratiche. Un processo culturale dentro al quale siamo altrettanto inseriti, che ci rende tanto "attivabili" quanto soli, e comunque sempre meno in grado di maneggiare la complessità e di agire politicamente. Che la politica estera sia il regno dell’amoralità e che qualsiasi politico di qualsiasi stato-nazione del Novecento, soprattutto se colonialista, abbia causato terribili sofferenze a esseri umani posti al difuori della propria sovranità legittimante, sono dati di fatto che qualsiasi persona adulta, soprattutto se pacifista, soprattutto se impegnata a difesa dei diritti umani, dovrebbe saper maneggiare. E invece non è (più) così. Temo che se insieme al Churchill storico non studiamo anche questo problema un giorno non troppo lontano potremmo trovarci la scritta "assassini" sotto ai partigiani di Porta Lame a Bologna, insieme alla tentazione di mettere like ai nipoti degli italiani e dei tedeschi uccisi che nel post rivendicano di non aver scritto nient’altro che la verità.