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La formula chimica di Trump

Paola Peduzzi

Non ci sono solo le ferite del passato, in America. C’è il presidente attuale che sdogana ogni orrore

Milano. Eccola, la faccia triste dell’America, la solita, quella che i sostenitori della miglior-democrazia-del-mondo tendono a ignorare, quella che parla di diseguaglianze, discriminazioni, violenze, soprusi mai risolti, forse irrisolvibili. “Non respiro”, ha detto George Floyd prima di morire soffocato da un poliziotto a Minneapolis, lo stesso “non respiro” che disse Eric Garner, soffocato dalla polizia il 17 luglio del 2014 prima di morire, il ritornello tragico di una ferita – il razzismo, la violenza della polizia sugli afroamericani – che si riapre di continuo.

 

Ma nel reiterarsi di alcune dinamiche ci sono delle novità, non tutte le storie di violenza sono una recrudescenza del passato: c’è la chimica di oggi, anno 2020, in cui tutto l’orrore è diventato accettabile, in cui al massimo tasso di suscettibilità personale corrisponde il massimo tasso di accondiscendenza collettiva. La formula chimica è stata trovata e gettata sull’America da Donald Trump e a spiegarla proprio in questi giorni è stato il suo aedo, Rush Limbaugh, che diffonde la formula via radio (fa anche le vocine dei liberal, è irresistibile). Ha detto così, Limbaugh, riferendosi all’ennesimo ammiccamento presidenziale a una becera teoria del complotto: “Trump tratta le teorie del complotto in modo veramente astuto. Ed è proprio questo che la gente non comprende di lui, la sua sottigliezza, perché nessuno pensa che Trump possa essere sottile. Trump non dice mai di essere a favore di teorie del complotto, semplicemente le mostra (…) Le diffonde sotto forma di qualcosa che la gente è tenuta a sapere, è il modo per renderle visibili (…) Trump getta semplicemente benzina sul fuoco, e si diverte a guardare le fiamme”. 

 

Sottigliezza e divertimento sono ingredienti importanti della formula chimica trumpiana, la novità rispetto al passato: ieri Politico raccontava il ritorno dei Tea Party così come in queste ore si racconta il ritorno del razzismo, ma questo ritorno non avrebbe la potenza che ha ora se non ci fosse un presidente che ha come obiettivo lo scontro, la guerra culturale, che sia una mascherina o un vaccino o una riforma, l’importante è gettare benzina, e godersi le fiamme. E che fiamme. Max Boot, saggista conservatore che non si capacita di come il suo partito si sia abbandonato al trumpismo, scriveva ieri sul Washington Post che questo mandato ha sdoganato il pensiero “anti antirazzista”: citava un sondaggio in cui si diceva che il 75 per cento dei repubblicani non usa termini dispregiativi verso gli afroamericani né elogia il suprematismo bianco, è più “sottile” direbbe Limbaugh, perché parla della discriminazione dei bianchi e definisce “politicamente corretto” chi denuncia il razzismo. E se qualcuno propone di rinominare le basi militari che portano il nome di generali della Confederazione, il portavoce del Pentagono dice: “E’ un attacco alle nostre forze armate”.

 

Trump dice con il suo candore sottile di essere la persona meno razzista sulla faccia della terra, ma ha passato il Memorial Day, lunedì, a rituittare (otto volte) John Stahl, uno che ambiva a fare il politico ma si dedica al razzismo (contro le donne nere in particolare). E ora i repubblicani stanno mettendo in piedi una brigata di controllori del voto di novembre “per sopprimere l’affluenza degli elettori delle minoranze – scrive Boot – fingendo di combattere brogli (virtualmente inesistenti)”.

 

Il presidente si diverte con le fiamme. Così non mettere la mascherina diventa un atto di libertà – libertà di cosa esattamente, di contagiare? – e i critici sono bufalari allarmati, l’impeachement è una bufala, le interferenze russe sono una bufala, i migranti sono assassini e la più grande rete di complottisti del mondo, QAnon, conta quante Q mette Trump nei tweet come un segnale e ripete: abbiate fede nel piano, godetevi lo spettacolo. Che è fatto di manifestanti armati davanti ai palazzi del governo negli stati dei democratici che hanno fatto lockdown rigorosi. Che è fatto di accuse: chi non sta con me non è solo un nemico, è un traditore. Anzi se sei Joe Scarborough, conduttore televisivo famosissimo, sei anche un assassino, secondo l’ultimo complottismo. E’ la formula chimica che permette a Trump di far ingurgitare di tutto al suo pubblico e di sdoganare ogni orrore, e fiamme come a Minneapolis.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi