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L’euforia della ripresa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Molti dicono che si sono scatenati gli “animal spirits”, ma per andare dove? Qualche studio, un gioco a un anno dalle europee, alcune lettere d’amore e una classifica scandalosa

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L’Europa della prossima generazione è iniziata ieri con un Recovery fund generoso e ambizioso – soprattutto per l’Italia – e pure difficile da far digerire a tutti, ma è sembrato che tutto il chiacchiericcio sovranista e nazionalista scomparisse d’un colpo, come la luce che porta via le notti insonni. Sappiamo che non scomparirà, ma intanto questa fase due di confusione e nervosismo ogni tanto si colora di euforia. Sciagurata euforia o liberatoria euforia? Difficile dirlo, i mercati provano a viverla bene – gli animal spirits sono tornati, scrive il Financial Times, l’urgenza di investire, la necessità di agire e non di stare lì ad aspettare – e accolgono con corse verso l’alto le notizie delle riaperture. Alcuni dicono cose indicibili, come la nota dei ricercatori di Exane Bnp Paribas: “La recessione è presumibilmente finita. I lockdown vengono gradualmente tolti nella maggior parte dei paesi” e i dati suggeriscono che “la crescita economica ha toccato il fondo”. Si può solo risalire, gli investitori hanno iniziato a buttare gli occhi su operazioni più rischiose – nell’euforia di martedì si investiva nei settori più disastrati, quelli legati al turismo – vogliono gettarsi alle spalle la pandemia come un brutto ricordo. Alcuni analisti citano a dimostrazione della legittimità di questa euforia la Nuova Zelanda, dove il lockdown è stato allentato prima di altri paesi e non si è verifica una recrudescenza del virus (ma quello è anche il paese guidato da Jacinda Ardern, una che sente il terremoto mentre è in diretta tv e offre al pubblico il sorriso più rassicurante di sempre). Jamie Dimon, ceo di JPMorgan, dice che “le banche questa volta sono i porti in cui rifugiarsi dalla tempesta”, ammicca a una ripresa rapida, il virus è un ricordo ma anche lo choc finanziario del 2009 lo è. Gli animal spirits – che Keynes definiva come “l’urgenza spontanea di agire più che di non agire, e non come risultato di una media ponderata di benefici moltiplicati a probabilità” – sembrano intenibili, ma i cauti restano, come Max Kettner, che lavora a Hsbc e dice al Financial Times: “Gli investitori stanno assumendo che la riapertura sia quasi equivalente alla ripresa. Andiamoci piano”. Chissà se gli animal spirits troveranno casa ed equilibrio nel mezzo, tra i frettolosi e gli impauriti. Intanto abbiamo provato a vedere che forma ha la ripartenza e come potrebbe diffondersi in Europa.

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L’Europa della prossima generazione è iniziata ieri con un Recovery fund generoso e ambizioso – soprattutto per l’Italia – e pure difficile da far digerire a tutti, ma è sembrato che tutto il chiacchiericcio sovranista e nazionalista scomparisse d’un colpo, come la luce che porta via le notti insonni. Sappiamo che non scomparirà, ma intanto questa fase due di confusione e nervosismo ogni tanto si colora di euforia. Sciagurata euforia o liberatoria euforia? Difficile dirlo, i mercati provano a viverla bene – gli animal spirits sono tornati, scrive il Financial Times, l’urgenza di investire, la necessità di agire e non di stare lì ad aspettare – e accolgono con corse verso l’alto le notizie delle riaperture. Alcuni dicono cose indicibili, come la nota dei ricercatori di Exane Bnp Paribas: “La recessione è presumibilmente finita. I lockdown vengono gradualmente tolti nella maggior parte dei paesi” e i dati suggeriscono che “la crescita economica ha toccato il fondo”. Si può solo risalire, gli investitori hanno iniziato a buttare gli occhi su operazioni più rischiose – nell’euforia di martedì si investiva nei settori più disastrati, quelli legati al turismo – vogliono gettarsi alle spalle la pandemia come un brutto ricordo. Alcuni analisti citano a dimostrazione della legittimità di questa euforia la Nuova Zelanda, dove il lockdown è stato allentato prima di altri paesi e non si è verifica una recrudescenza del virus (ma quello è anche il paese guidato da Jacinda Ardern, una che sente il terremoto mentre è in diretta tv e offre al pubblico il sorriso più rassicurante di sempre). Jamie Dimon, ceo di JPMorgan, dice che “le banche questa volta sono i porti in cui rifugiarsi dalla tempesta”, ammicca a una ripresa rapida, il virus è un ricordo ma anche lo choc finanziario del 2009 lo è. Gli animal spirits – che Keynes definiva come “l’urgenza spontanea di agire più che di non agire, e non come risultato di una media ponderata di benefici moltiplicati a probabilità” – sembrano intenibili, ma i cauti restano, come Max Kettner, che lavora a Hsbc e dice al Financial Times: “Gli investitori stanno assumendo che la riapertura sia quasi equivalente alla ripresa. Andiamoci piano”. Chissà se gli animal spirits troveranno casa ed equilibrio nel mezzo, tra i frettolosi e gli impauriti. Intanto abbiamo provato a vedere che forma ha la ripartenza e come potrebbe diffondersi in Europa.

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La ripresa a “baffo della Nike”. La Brookings Institution ha pubblicato qualche tempo fa uno studio sulle possibilità di ripresa che è stato molto dibattuto e commentato e che è ancora oggi il testo cui si fa riferimento quando si immaginano i tempi della ripresa. Secondo il centro studi americano, lo scenario più ottimistico è quello fatto a Z, quello in cui nella fase due le persone spendono tutto quel che hanno risparmiato o tenuto stretto durante il lockdown. In questo caso, i settori del “tempo libero” e dei viaggi avrebbero un boom notevole – complice l’estate – e poi l’economia si riassesterebbe velocemente sulla crescita del pil che c’era prima della pandemia. Secondo la Bbc, un altro scenario ottimo è quello a V, una ripresa rapidissima che in un semestre al massimo ha cancellato le perdite della pandemia. Ma lo scenario al momento ritenuto più probabile è quello a “swoosh”, che è il cosiddetto “baffo della Nike”. In sintesi: il crollo, una risalita veloce e breve e poi una lunga ripresa che forse non arriva alla pre pandemia. Quanto lento? Gennaio 2021 è diventato il momento in cui lentezza o rapidità mostreranno il loro volto.

 

La promessa di convergenza. Il Center for European Reform ha pubblicato uno studio che analizza le diverse vie della ripresa, un modo per dettagliare la ripartenza a “swoosh” e anche per stabilire alcune priorità per l’Europa della prossima generazione. Lo studio presenta tre strade. I lockdown più lunghi allungano i tempi della ripresa: “La nostra simulazione – scrivono Christian Odendahl e John Springford, autori dello studio – suggerisce che per Francia, Italia, Spagna e Regno Unito la ripresa arriverà dopo che per paesi come Austria, Germania e Polonia”. Il sud dell’Europa “soffrirà più a lungo” rispetto al nord e all’est del continente. “Se le regole fiscali non saranno riformate, i paesi del sud dell’Ue dovranno tagliare il debito, e questo ridurrà la crescita nel medio periodo”. Questo fattore – la divergenza – è il punto politico importante: l’Europa della prossima generazione deve cercare di limare le differenze, altrimenti “la crescita lenta di alcune regioni diventerà terreno fertile per l’estrema destra e l’estrema sinistra e sminuirà il fascino di un’Europa intesa come ‘macchina di convergenza’”. Il Recovery fund è uno strumento adatto a mettere in moto questa macchina, ecco perché l’opposizione dei frugali – che sono diventati avari, e la cancelliera tedesca Angela Merkel si è smarcata proprio a questo bivio – andrà contenuta il più possibile.

 

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A proposito: e se si votasse oggi? Ci è piaciuto molto il gioco proposto da Politico su cosa succederebbe se si votasse oggi, un anno dopo, per rinnovare l’Europarlamento. Per conoscere meglio le regole, ci siamo rivolte al suo creatore, Cornelius Hirsch, intelligence analyst di Politico e cofondatore di Poll of polls. Se si votasse oggi “ci sarebbe un notevole incremento del Partito popolare europeo che guadagnerebbe fino a 11 seggi in più, soprattutto grazie alla crescita dei cristianodemocratici in Germania, che nei sondaggi nazionali sono circa al 40 per cento”. Un anno fa eravamo qui a parlare di ondate populiste, invece la crescita dell’estrema destra non c’è stata e non ci sarebbe neppure quest’anno. “La Lega in Italia rimane il partito più forte, ma meno rispetto al 2019. Questo però non sposta di molto le dinamiche del gruppo Identità e democrazia, perché i seggi persi dalla Lega vengono recuperati da altri partiti. Tuttavia, quella che sembrava dovesse diventare la grande storia dello scorso anno, l’avanzata dei populisti, non si è realizzata, non si realizzerebbe neppure quest’anno e l’ultima volta che abbiamo visto un incremento delle estreme destre è stato nel 2014”. La vera grande storia dello scorso anno, ci dice Hirsch, è quella dei Verdi, “le questioni climatiche nel 2019 godevano dell’effetto Greta Thunberg, ma sono finite in secondo piano per la pandemia”, in Germania i Grünen sono passati dal 23 al 16 per cento, “sia Verdi sia l’estrema destra sono in discesa”. Scendono anche i liberali e le sinistre. “Chi regge bene è il centro, sono stati i partiti di centro a consolidare di più il loro gradimento”. Ma la regola vale per tutti e in questi mesi sono stati i partiti al governo a salire nei sondaggi, per l’effetto rally ‘round the flag che ben conosciamo, “abbiamo visto crescere i socialdemocratici in Svezia e i conservatori nazionalisti in Polonia. Gli esecutivi hanno goduto di una copertura mediatica maggiore e della propensione delle persone, in periodi di crisi, a mettere da parte le divergenze. Iniziamo a vedere adesso qualche cambiamento, il maggiore è in Gran Bretagna, che ovviamente non seguiamo per le nostre analisi sul Parlamento europeo, ma i conservatori sono per il momento l’esempio più consistente di un cambiamento nell’opinione pubblica”. Questi mesi, ci dice Hirsch, ci restituiscono una fotografia molto composita soprattutto per quanto riguarda la fiducia nelle istituzioni europee che è cresciuta e calata in tutti i paesi in modo differente. Concludendo: il centro tiene, il Ppe se votassimo oggi sotto gli effetti del coronavirus sarebbe la famiglia europea più premiata, non ci sarebbe nessuna onda verde e nemmeno euroscettica. Abbiamo domandato a Cornelius Hirsch – la squadra di Poll of polls è costituita da tre persone – come è stato possibile ricreare questo nuovo Parlamento un anno dopo: “Usiamo i sondaggi affidabili che ci arrivano da ogni paese membro, li combiniamo, li aggreghiamo e otteniamo una stima di quanto è forte il consenso per ogni partito. Poi, secondo i metodi di redistribuzione dei seggi che ogni stato ha, assegniamo i seggi a ogni famiglia europea”. 198 al Ppe, 143 a S&D, 90 a Renew Europe, 49 ai Verdi, 67 Ecr, 75 Id, 48 Gue/Ngl.

 

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Il Maduro d’Europa. Sarà grazie all’emergenza del coronavirus che Viktor Orbán, premier ungherese, diventerà definitivamente il Nicolás Maduro europeo? Molti hanno posto questa domanda, abbiamo chiesto una risposta al nostro Maurizio Stefanini, che ci ha dato alcune spiegazioni. Le differenze sono, per fortuna, ancora molte. Il Venezuela è al collasso economico, l’Ungheria va ancora relativamente bene, e comunque sta pur sempre nell’Ue, dove alcune regole vanno rispettate (la convivenza di tanti paesi è nella sua essenza virtuosa). Il Venezuela è un sistema semipresidenziale: per risolvere il “problema” di una opposizione che aveva vinto 112 dei 167 seggi in Assemblea nazionale Maduro ha dovuto fare un golpe contro il potere legislativo, togliendogli i poteri con la sentenza di un Tribunale supremo di Giustizia a sua volta formato con un colpo di mano convocando una precedente Assemblea nazionale già decaduta. L’Ungheria è un sistema parlamentare in cui è il partito di Orbán ad avere 133 deputati su 199, pur con meno del 50 per cento dei voti. E’ stata la stessa maggioranza parlamentare a conferire il 31 marzo a Orbán i pieni poteri. Orbán ha nel frattempo emanato 180 decreti: ha fatto rumore soprattutto quello che vietava di registrare il cambio di sesso dei transessuali sui documenti e più in generale quelli che permettevano di mandare in galera chi diffondeva critiche al governo. Conoscendo la situazione venezuelana, però, la cosa che fa più impressione è la creazione di “zone economiche speciali” in cui le tasse non saranno più versate alle municipalità ma alle contee in cui sono incluse. Non casualmente, queste zone coincidono quasi al millimetro con la mappa delle amministrazioni locali in mano all’opposizione. Questo è il metodo inventato dal fu Hugo Chávez: l’opposizione poteva anche vincere sindaci e governatori, ma questi venivano regolarmente privati di risorse, poteri, perfino cibo. Fino a quando gli elettori non “imparavano” che il voto è libero, ma se è dato “male”, poi si paga.

 

Vieni a ballare in Islanda. Dopo nove settimane di chiusura, l’Islanda è la prima nazione a riaprire le discoteche e i locali notturni. L’apertura è solo a metà, fino alle 23, e anche i locali sono pieni a metà. Ci sono tavoli e sedie per tutti, ballano in pochi, si osserva la pista alla ricerca di un angolo per rimanere alla giusta distanza gli uni dagli altri. In Islanda il virus ha contagiato 1.800 persone e ne sono morte dieci, la nazione aveva fretta di riprendere la nuova vita e per dare un segnale di normalità ha deciso di ricominciare dalle notti bianche.

 

L’amore al confine. La Danimarca è stata tra le nazioni più coraggiose: senza sventatezza e con passi accorti, “come fossimo equilibristi”, aveva detto la premier Mette Frederiksen, è stata la prima a tracciare la strada per l’apertura. Alla domanda: apriremo presto anche le frontiere?, il governo aveva risposto di no, “siamo stati bravi a tenere sotto controllo il virus, non possiamo permettere che torni da fuori”. E tante coppie erano rimaste lì a guardare il confine sbarrato, il New York Times aveva raccontato la storia di due ottantenni che continuavano a ritrovarsi alla frontiera. Loro avevano trovato la soluzione, un thermos colmo di tè e un tavolino, per superare quella linea un tempo solo ideale diventata improvvisamente un ostacolo, ma tante altre coppie sono rimaste divise fino a lunedì quando il governo socialdemocratico ha permesso a tedeschi, islandesi, norvegesi, finlandesi e svedesi divisi a metà dalla pandemia di entrare in Danimarca per ricongiungersi ai propri innamorati. Ma non bastano nome e cognome, bisogna mostrare che la relazione è vera, è seria, e anche duratura, almeno di sei mesi. Gli amanti, senza limiti di età, devono portare foto, messaggi, registri telefonici e anche lettere d’amore. Noi ce le siamo immaginate così le coppie in fila al confine, ognuna con il proprio epistolario sotto al braccio e non diteci che le lettere d’amore non le scrive più nessuno: a quanto pare l’usanza non ha abbandonato la Danimarca. Qualcuno ha detto: e la privacy? Perché dovrei far leggere alla frontiera il mio carteggio d’amore e di indicibilità? E’ bastato dire privacy ed è venuta giù tutta la magia: tra qualche settimana per rivedere il proprio amato o la propria amata sarà sufficiente un’autocertificazione.

 

A proposito di congiunti e di amori stabili: c’è uno scandalo in corso. Riguarda il Regno Unito (che è tecnicamente fuori dall’Ue, ma per noi no), dove il principale consigliere del governo, Dominic Cummings, ha violato le regole sul lockdown poste dal suo stesso governo. No, non si è dimesso, non si è nemmeno scusato, anzi: rifarebbe tutto. L’effetto sul premier, Boris Johnson, che ha difeso il suo Cummings con fervore, inizia a diventare molto forte: popolarità crollata, rivolta interna del Partito conservatore, pressione dei media. Vi racconteremo come andrà a finire, ma intanto una classifica. Il titolo migliore: “Stay élite” del Metro, che sintetizza alla perfezione il problema del populismo che va al potere e approfitta dei privilegi che aveva combattuto per andare al potere. L’iniziativa migliore: le mascherine regalate dal Daily Star, la faccia di Cummings da ritagliare. La copertura migliore dello scandalo: l’account Twitter @Queen_Europe (la Merkel) per l’occasione diventato “Lockdown Angela”, che tra le tante pepite ha scritto al premier Johnson: “Non voglio rovinarti la festa, @BorisJohnson, ma se il tuo sistema di tracciamento del virus è campione del mondo com’è che ci sono volute otto settimane per scoprire che il tuo consigliere capo era nella parte sbagliata del paese?” (anche “Covid means Covid” non è male). La censura migliore: il Guardian ha scritto che i filtri anti porno di Twitter hanno bloccato il nome di Cummings per almeno una settimana, tanto che sono nati molti hashtag in cui il nome è scritto diversamente (il perché della censura lo trovate googlando). La nostalgia migliore: quella di Donald Tusk, l’ex presidente del Consiglio europeo, sempre lui. Ha tuittato: “Pare la regola di Cummings e dei suoi amici della Brexit sia questa: they leave when they should stay”, escono quando dovrebbero rimanere a casa. Che poi sì, vale un po’ per tutto, e per tutti.

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