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Il focolaio nella chiesa di Francoforte è una prova di “trace and test”

Eugenio Cau

Almeno 107 infettati da Covid-19 dopo una messa. Come si sono mosse le autorità tedesche, e come dovremmo muoverci noi

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Milano. A Francoforte, in Germania, 107 persone sono risultate positive al Covid-19 dopo una messa tenuta il 10 maggio scorso in una chiesa battista. Soltanto poche decine di contagiati avevano partecipato alla celebrazione religiosa, ma nel corso di un paio di settimane hanno a loro volta infettato colleghi e famigliari, fino a raggiungere la quota provvisoria di 107 persone – che sono un buon numero, considerando che ieri i nuovi casi in tutto il paese erano 289. Ci sono state molte polemiche a proposito della messa di Francoforte. Secondo le ricostruzioni dei media tedeschi, durante la celebrazione era stato rispettato il distanziamento sociale, e la chiesa aveva messo a disposizione il disinfettante per le mani, ma non erano state utilizzate mascherine, e questo probabilmente è stato uno degli errori principali: ancora ieri Christian Droste, primario di Virologia all’ospedale Charité di Berlino che in questi mesi è diventato una celebrità, raccomandava che nei luoghi chiusi è più importante la ventilazione dell’ambiente che la disinfezione delle superfici. Alcuni membri dell’opposizione tedesca hanno usato il focolaio di Francoforte per criticare la politica di riapertura del governo, che è proseguita ancora ieri. E la notizia si è inserita in una polemica internazionale sulla riapertura dei luoghi di culto, alimentata soprattutto dal presidente americano Donald Trump.

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Milano. A Francoforte, in Germania, 107 persone sono risultate positive al Covid-19 dopo una messa tenuta il 10 maggio scorso in una chiesa battista. Soltanto poche decine di contagiati avevano partecipato alla celebrazione religiosa, ma nel corso di un paio di settimane hanno a loro volta infettato colleghi e famigliari, fino a raggiungere la quota provvisoria di 107 persone – che sono un buon numero, considerando che ieri i nuovi casi in tutto il paese erano 289. Ci sono state molte polemiche a proposito della messa di Francoforte. Secondo le ricostruzioni dei media tedeschi, durante la celebrazione era stato rispettato il distanziamento sociale, e la chiesa aveva messo a disposizione il disinfettante per le mani, ma non erano state utilizzate mascherine, e questo probabilmente è stato uno degli errori principali: ancora ieri Christian Droste, primario di Virologia all’ospedale Charité di Berlino che in questi mesi è diventato una celebrità, raccomandava che nei luoghi chiusi è più importante la ventilazione dell’ambiente che la disinfezione delle superfici. Alcuni membri dell’opposizione tedesca hanno usato il focolaio di Francoforte per criticare la politica di riapertura del governo, che è proseguita ancora ieri. E la notizia si è inserita in una polemica internazionale sulla riapertura dei luoghi di culto, alimentata soprattutto dal presidente americano Donald Trump.

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Ma c’è un altro aspetto interessante del focolaio di Francoforte, che riguarda la gran abbondanza di dati e l’efficienza delle indagini epidemiologiche. Essere in grado di ricostruire in maniera puntuale che a partire da un determinato evento (la messa) è partita una catena del contagio che ha coinvolto 107 persone dovrebbe essere la normalità nel corso di un’epidemia, ma in molti paesi ancora non lo è – compresa l’Italia, dove domenica la regione più colpita dal virus non è stata nemmeno in grado di fare chiarezza sul numero giornaliero dei morti. A Francoforte i contact tracer, cioè le persone deputate a ricostruire le catene del contagio, si sono messi al lavoro non appena, pochi giorni dopo la celebrazione, i primi fedeli avevano cominciato ad accusare qualche sintomo. Le autorità hanno tenuto aggiornato il pubblico mano a mano che l’indagine epidemiologica si espandeva, coinvolgendo dapprima poche decine di persone e infine 107. Tra gli infettati, si è scoperto, c’è anche un bambino che frequenta un asilo a Karben, una cittadina fuori Francoforte. In poco tempo a tutti gli alunni e a tutto il personale dell’asilo è stato fatto il tampone, e per fortuna sono risultati tutti negativi, anche se per sicurezza dovranno rimanere in quarantena. Questa precisione e questa prontezza nel “trace and test” sono una delle ragioni per cui la Germania è riuscita a contenere la pandemia meglio di qualunque altro paese europeo, anche senza aver mai imposto una quarantena rigida a tutta la popolazione. Queste tecniche di contact tracing – che non hanno niente di nuovo, sono state sviluppate duecento anni fa, ma sono le uniche che funzionano senza dubbio – sono state impiegate dalla Germania con eccezionale dettaglio fin dai momenti iniziali del contagio: a fine gennaio, quando si è sviluppato il primo focolaio in un’azienda bavarese, i contact tracer riuscirono a ricostruire che il paziente numero 4 aveva contagiato il paziente numero 5 passandogli il sale durante la pausa pranzo in mensa. Nel corso di questi mesi la Germania ha ampliato le sue capacità di tracciamento, reclutando migliaia di persone, in gran parte volontari. In Italia, invece, il numero di contact tracer non è confermato ma secondo tutti gli esperti è insufficiente.

   

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Nota importante: tutto questo eccellente tracciamento la Germania lo sta facendo senza nessuna app. Il governo ne sta preparando una, ma senza fretta. A fare le cose per bene non c’è bisogno di aggrapparsi alla speranza che un’applicazione sul telefono ci salvi dal virus.

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