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Gran Bretagna sigillata e impacchettata, che guaio

Giuliano Ferrara

Gli inglesi hanno sempre avuto la sensazione di poter vivere senza di noi, ma ora tra Brexit e quarantena estiva negano tutto il mondo a Londra e Londra a tutto il mondo

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Tra Brexit e quarantena estiva ci tocca un mondo senza l’Inghilterra e senza gli inglesi. Strano. Anzi inaudito. Triste. Chi è stanco di Londra è stanco della vita, diceva il dottor Johnson. Ma non è un problema turistico. Ora Londra è stanca di sé stessa, della sua proiezione in Europa, della sua accoglienza multicontinentale, ripiega verso la deriva marittima in una specie di Dunkirk globale in cui al patriottismo subentra l’isolazionismo, ingigantito dai pericoli della pandemia che ha colpito duro un paese pronto a tutto e preparato a niente, in questo caso. Gli inglesi hanno sempre avuto la sensazione di poter vivere senza di noi, il Commonwealth era il sostituto naturale delle vicinanze ostili, un braccio largo di influenza e ricchezza attraverso le acque oceaniche, eludendo gli ingombri della terra. Nebbia sulla Manica, il continente è isolato, scherzavano. Ora è proprio così, ma gli ultimi provvedimenti restrittivi negano tutto il mondo a Londra e Londra a tutto il mondo, che guaio.

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Tra Brexit e quarantena estiva ci tocca un mondo senza l’Inghilterra e senza gli inglesi. Strano. Anzi inaudito. Triste. Chi è stanco di Londra è stanco della vita, diceva il dottor Johnson. Ma non è un problema turistico. Ora Londra è stanca di sé stessa, della sua proiezione in Europa, della sua accoglienza multicontinentale, ripiega verso la deriva marittima in una specie di Dunkirk globale in cui al patriottismo subentra l’isolazionismo, ingigantito dai pericoli della pandemia che ha colpito duro un paese pronto a tutto e preparato a niente, in questo caso. Gli inglesi hanno sempre avuto la sensazione di poter vivere senza di noi, il Commonwealth era il sostituto naturale delle vicinanze ostili, un braccio largo di influenza e ricchezza attraverso le acque oceaniche, eludendo gli ingombri della terra. Nebbia sulla Manica, il continente è isolato, scherzavano. Ora è proprio così, ma gli ultimi provvedimenti restrittivi negano tutto il mondo a Londra e Londra a tutto il mondo, che guaio.

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Uno dice che vabbè, passerà, si può stare una stagione senza il British, la British Library, i Proms e Glyndebourne, che sarà mai, trascureremo Hyde Park che ci è proibito e passeggeremo al Luxembourg o a Villa Borghese, spazi di città aperte dopo la quarantena. Ma non è così semplice vivere senza gli inglesi. Non sono stati solo una bandiera, un divertimento massimo con le loro bizzarrie, una gioia dello spirito con il loro humor e la letteratura, non hanno soltanto inventato con Shakespeare l’umano (Bloom), ché al divino e alla mania dell’umano avevano pensato Dante e Cervantes, hanno difeso l’umano in guerra, lo hanno violato con il colonialismo e ripristinato con gli effetti liberatori e unificatori dell’imperialismo, ne hanno fatte di tutti i colori, e senza i loro colori l’esistenza psicologica, antropologia e culturale dell’Europa è dimezzata.

  

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Ora Johnson è molto popolare, il suo guru Cummings è nei guai per una fuitina in campagna durante il lockdown, le trattative con Bruxelles sono a uno stallo, il parlamento di Westminster vive di una maggioranza conservatrice schiacciante, il Labour si lecca le ferite dopo la sbornia neomarxista, all’orizzonte corrono notizie di lontananza, mentre la Francia vuole rendere reciproco l’isolamento, quarantena per quarantena. Chissà come va a finire con gli altri, ma è così penosa l’idea di troncare le relazioni con quel paese bello, fatale, possente e fragile, ormai collegato anche via terra e ferrovia, dannazione. La City può lavorare a distanza, come Cambridge, ma fino a un certo punto. La mobilità, la connessione, tutto ciò è notoriamente decisivo, anche negli affari.

  

I britannici solo nel Novecento, a parte la vittoria su Hitler, che è un “a parte” singolare, hanno creato e poi parzialmente riformato, e in certi casi smantellato, lo stato sociale, hanno dato inizio nel 1979 a una rivoluzione liberale con i metodi del leninismo thatcheriano, hanno difeso le Falkland in una guerra convenzionale che sembrava l’Ottocento, hanno modernizzato per il bene e per il male la moda, le scienze, la biologia, la genetica, hanno prodotto l’economia di sinistra più felice e inventiva, gareggiano con le ex colonie americane nell’arte, nell’accademia, nella specializzazione in ogni campo. E ora vogliono starsene tra di loro, che follia. Si capisce che con quei risultati amarissimi dell’epidemia, con quel trauma nazionale, abbiano poca voglia di socializzare, ma non si capisce fino a che punto un mondo che gioca la carta della ripresa possa fare a meno di una nazione così grande e così piccola, la Singapore sul Tamigi sigillata e impacchettata, chiusa col fiocco.

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