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La scelta di Angela Merkel

Paola Peduzzi

Ricordiamocelo, il 18 maggio 2020: è il giorno in cui la cancelliera ha deciso di salvare l’Europa dall’egoismo (pure dal suo)

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C’è chi dice che il 18 maggio del 2020 diventerà una data cruciale per l’Unione europea, una di quelle cui troveremo un nome, un simbolo, una cerimonia sperando che il tempo non la logori troppo come spesso accade con le faccende comunitarie. E’ il giorno in cui la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno presentato una proposta di salvataggio europeo che segna una svolta nello storico approccio tedesco e merkeliano agli affari dell’Ue: 500 miliardi di euro, il 3,6 per cento del pil europeo, per “le regioni e i settori” più colpiti dal coronavirus che non sono un prestito ma un investimento a fondo perduto. Un debito che l’Europa si assume tutta insieme, per salvarsi tutta assieme.

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C’è chi dice che il 18 maggio del 2020 diventerà una data cruciale per l’Unione europea, una di quelle cui troveremo un nome, un simbolo, una cerimonia sperando che il tempo non la logori troppo come spesso accade con le faccende comunitarie. E’ il giorno in cui la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno presentato una proposta di salvataggio europeo che segna una svolta nello storico approccio tedesco e merkeliano agli affari dell’Ue: 500 miliardi di euro, il 3,6 per cento del pil europeo, per “le regioni e i settori” più colpiti dal coronavirus che non sono un prestito ma un investimento a fondo perduto. Un debito che l’Europa si assume tutta insieme, per salvarsi tutta assieme.

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Si dirà: che c’è di tanto rivoluzionario? E’ un’iniziativa franco-tedesca, quindi di quel motore che da sempre governa, indirizza, dirige l’Unione europea in modo insulare e talvolta presuntuoso; è una proposta che deve passare il vaglio della Commissione e poi di tutti i parlamenti nazionali e la storia ci insegna che il modo migliore per bloccare i cambiamenti europei è proprio quello di precipitarli nelle aule degli stati membri, in quelle relazioni locali ognuna infelice a modo suo; i danni della pandemia saranno molti di più, ci vogliono ben altri fondi perduti per rimetterci tutti in piedi. E’ il business as usual europeo, di che rivoluzione state parlando? Di questa: la Germania, la padrona Germania, la sprezzante Germania, e la sua cancelliera Merkel, che nell’immaginario di buone fette di europei ha i baffetti hitleriani e richiama chissà quali poteri occulti con il suo gesto delle mani (il cosiddetto diamante), hanno rotto con la loro tradizione, hanno spezzato tabù, hanno detto: se non ci salviamo tutti, non si salva nessuno.

 

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Questa svolta è “impressive”, salta all’occhio, dice al Foglio Steven Erlanger, corrispondente del New York Times a Bruxelles, “a diciotto mesi dalla fine del suo mandato, la Merkel ha deciso di guardare oltre la Germania, di forgiare un’eredità europea, e di farlo con coraggio”. Macron “ha fatto molte pressioni”, dice Erlanger, così come le ha fatte anche il ministro delle Finanze tedesco, il socialdemocratico Olaf Scholz, ma la cancelliera pareva inamovibile. “All’inizio della crisi, questi leader hanno mostrato grande egoismo”, continua Erlanger, e quell’esordio così poco europeo ha lasciato un segno profondo, “voi italiani lo sapete bene”. Sulle pressioni di Macron – citatissime sui media internazionali che cercano di ricostruire la storia dietro al 18 maggio, momento per momento – il corrispondente del New York Times ha una sua opinione, costruita in questi anni da osservatore: la Merkel non ama troppo Macron, al loro primo incontro ha parlato di magia, ma l’idillio è finito presto, “Macron è troppo irruente, troppo retorico, troppo innamorato di un’idea di Europa lontana dalla realtà”. Come a dire: non c’è modo che Macron potesse convincere la Merkel, è lei che ha scelto.

 

Circondati come siamo da improvvisazioni e irrazionalità, siamo diventati molto più attenti a riconoscere i leader politici che sanno mettere nel giusto ordine le cause e gli effetti degli eventi. La Merkel ha un gran senso delle conseguenze delle sue decisioni, è il metodo scientifico che utilizza tanto per spiegare il tasso di trasmissione del coronavirus quanto per maneggiare le questioni umane: è così che ha esercitato la sua leadership in questi anni, scomponendo i problemi e poi risolvendoli con una sua idea e con i suoi tempi. Di fronte a quella che lei considera la più grave crisi europea del Dopoguerra, la Merkel ha deciso che la risoluzione non poteva essere tedesca, doveva essere europea.

 

E’ accaduto anche in passato. Fu la Merkel a decidere di salvare la Grecia quando neppure la Grecia voleva salvarsi. Ha deciso di accogliere i migranti nel picco di arrivi del 2015 pur sapendo che le sarebbe costato molto in termini di consenso politico interno (così è stato). Durante i tormentati negoziati sulla Brexit, quando tutta Europa non sopportava più i capricci britannici e spingeva per una cacciata esemplare, la Merkel ha deciso che il primo divorzio europeo non sarebbe stato senz’accordo (e così è stato). Intanto in Europa è cresciuto il tic antitedesco, e in Germania la popolarità della cancelliera e ancor più del suo partito è andata declinando, mentre salivano l’AfD e le correnti interne ai cristiano-democratici e ai cristiano-sociali fondate su un sentimento antimerkeliano. Il pasticcio della successione poi, non ne parliamo: era la fine della Merkel, ricordate? “La pandemia è stata una resurrezione per la cancelliera”, dice Erlanger, se un leader si vede nelle crisi, la cancelliera è la quintessenza del leader da crisi: quanto l’abbiamo ammirata nelle sue conferenze stampa professionali, nella sua capacità di comprendere, dopo quel passo falso iniziale, che bisognava riconquistare fiducia e credibilità, e metterle al servizio della solidarietà europea.

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L’allineamento delle stelle, come lo chiama il Financial Times, che ha portato al 18 maggio è nato dalle pressioni francesi, dalla sentenza della Corte di Karlsruhe che ha gettato un’ombra sull’attività della Bce, dalla consapevolezza della Merkel, come ha scritto Sylvie Kauffmann sul Monde, di avere un dovere di solidarietà nei confronti dei paesi europei, “un dovere storico”. Eppure l’annuncio del fondo per i settori e le regioni più colpiti dal coronavirus (“non ha detto ‘paesi’”, sottolinea Erlanger, “le parole usate sono importanti”) è risultato inatteso: i funzionari francesi hanno detto che non si aspettavano così tanto, Macron è stato avvisato poco prima della videoconferenza che non ci sarebbero stati prestiti e condizionalità. La proposta apre la strada a una integrazione che l’Europa non ha ancora conosciuto (la sogna e la rifiuta da sempre però), e le forze contro la celebrazione del 18 maggio sono molte, a partire da quelle dei paesi “frugali”. Ma una Germania così non l’avevamo mai vista, e ancora una volta la Merkel ha usato il suo metodo, che conosciamo e che pure ci sorprende, come capita con le cose preziose: nelle crisi, ha detto, devi avere un’unica idea ben chiara e seguirla. La mia, ha detto, è “l’idea di Europa, gli stati da soli non hanno futuro”.

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