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“In Svezia ‘curiamo’ il Covid negli anziani con l’eutanasia”, denunciano i medici

Giulio Meotti

Morfina anziche’ ossigeno. Il dramma dell’ingegneria sociale

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Roma. Lo scenario è ormai tristemente noto. Più della metà delle vittime da coronavirus in Belgio sono nelle case di cura. “La società belga ha deciso che le vite di questi anziani confinati contano molto meno di quelle dei cosiddetti ‘attivi’”, ha scritto sul Soir il sociologo Geoffrey Pleyers. E Marcus de Brun, nominato dal ministero della Salute irlandese presso il Consiglio medico, ha scritto: “Confinare i negativi da Covid all’interno delle case di cura dove ci sono positivi equivale all’eutanasia sanzionata dallo stato”.

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Roma. Lo scenario è ormai tristemente noto. Più della metà delle vittime da coronavirus in Belgio sono nelle case di cura. “La società belga ha deciso che le vite di questi anziani confinati contano molto meno di quelle dei cosiddetti ‘attivi’”, ha scritto sul Soir il sociologo Geoffrey Pleyers. E Marcus de Brun, nominato dal ministero della Salute irlandese presso il Consiglio medico, ha scritto: “Confinare i negativi da Covid all’interno delle case di cura dove ci sono positivi equivale all’eutanasia sanzionata dallo stato”.

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C’è un paese, la Svezia, che forse questa decisione l’ha presa più brutalmente e oggi si ritrova con il più alto numero al mondo di vittime pro capite. La Svezia è l’unico paese occidentale che non ha imposto un lockdown. “Non siamo riusciti a proteggere i più vulnerabili, gli anziani”, ha ammesso lo stesso primo ministro Stefan Löfven. “Ci hanno detto che non dovremmo mandare nessuno in ospedale, anche se hanno 65 anni”, ha detto alla Bbc Latifa Löfvenberg, un’infermiera che ha lavorato in diverse case di cura a Gävle, a nord di Stoccolma. Löfvenberg attualmente lavora in un reparto Covid-19 in un grande ospedale della capitale: “Non abbiamo molti anziani. Ci sono molti nati negli anni 90, 80 e 70”.

 

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“Professore di geriatria: questa è l’eutanasia attiva”, titola il Dagens Nyheter, il più prestigioso quotidiano svedese. Yngve Gustafson ritiene che molti anziani non siano curati, ma che ricevano trattamenti di medicina palliativa. “Vivere in una casa di riposo non è una diagnosi”, afferma Gustafson. “Di per sé non può mai essere una base medica per decidere se si debba vivere o morire”. Gustafson dice che il trattamento anti-coagulo del sangue, ossigeno e trattamento della polmonite avrebbe aiutato gli anziani. “Invece, somministrare regolarmente morfina e midazolam è eutanasia attiva, se non qualcosa di peggio. Abbiamo rinunciato agli anziani che avrebbero potuto avere una possibilità di sopravvivenza”. Un altro medico ricercatore presso l’ospedale universitario del Karolinska Institutet, che vuole restare anonimo, dice che in Svezia si “pratica sempre più l’eutanasia sotto sembianze di cure palliative”. Per protestare contro questo trattamento è stato creato il gruppo Facebook “Tutti hanno il diritto all’ossigeno!” (Alla har rätt fino al syrgas!).

 

Marcus Carlsson, un matematico della Lund University, da marzo accusa il governo di compiere un “esperimento folle con dieci milioni di persone” e afferma che “veniamo radunati come un gregge di pecore verso il disastro”. Parlando al Foglio, Carlsson lamenta che non c’è stato alcun dialogo scientifico in Svezia. “Mi sembra che siano stati poco etici. E’ stato un ‘esperimento’: mentre tutti stavano facendo un lockdown, qui abbiamo lasciato aperto senza nemmeno fare molti test, le scuole sono rimaste aperte, gli anziani non sono stati avvisati in tempo, abbiamo respinto le raccomandazioni sull’equipaggiamento protettivo per i lavoratori ospedalieri (e si continua a farlo), non separiamo i malati dai sani. Sembra che non abbiano permesso agli anziani di accedere alle terapie intensive, altrimenti non potremmo spiegare l’elevata sopravvivenza a queste cure qui, e che è stata rilevata anche in altri paesi, tra soggetti più giovani, anche se questo rimane da confermare. In entrambi i casi è una completa contraddizione della filosofia svedese, abbiamo sempre cercato di sostenere cause umanitarie, dall’Africa all’Oms, e abbiamo avuto successo nell’ingegneria sociale. E guarda cosa è successo con la pandemia. Dicono che i 4.000 morti sono in linea con i loro calcoli. Quali calcoli? E’ stato uno choc per molti”. E se invece questo “calcolo”, questo razionalismo battuto dal freddo vento svedese, rientrasse nello spirito ingegneristico della socialdemocrazia di maggior successo in Europa?

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