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Paola Peduzzi

Il baricentro dei progressisti scivola sempre più a sinistra, ma dove si fermerà? Alcune risposte

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Milano. “Il grande show dello spostamento a sinistra”, titola la rivista britannica New Statesman, raccontando l’occasione che si presenta alle sinistre occidentali ora, in queste fasi due e tre in cui si contano i danni economici e sociali della pandemia e si cerca rifugio nello stato e nella sua capacità di spendere e proteggere. I sindacati, nel Regno Unito, hanno negoziato con il governo conservatore un piano che permette di garantire ai lavoratori l’80 per cento del loro salario: tanto potere non si vedeva dagli anni Settanta, dicono i commentatori, e non è soltanto l’attivismo dei sindacati a segnalare il cambiamento, ma anche gli elogi reciproci con il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, ex alfiere dell’austerità. 

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Milano. “Il grande show dello spostamento a sinistra”, titola la rivista britannica New Statesman, raccontando l’occasione che si presenta alle sinistre occidentali ora, in queste fasi due e tre in cui si contano i danni economici e sociali della pandemia e si cerca rifugio nello stato e nella sua capacità di spendere e proteggere. I sindacati, nel Regno Unito, hanno negoziato con il governo conservatore un piano che permette di garantire ai lavoratori l’80 per cento del loro salario: tanto potere non si vedeva dagli anni Settanta, dicono i commentatori, e non è soltanto l’attivismo dei sindacati a segnalare il cambiamento, ma anche gli elogi reciproci con il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, ex alfiere dell’austerità. 

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Il grande show del “moving left” non è solo un affare inglese, anche se in Inghilterra sta creando uno slancio tutto nuovo per il Labour. L’occasione è buona e Keir Starmer, nuovo leader del partito arrivato ad aprile quindi già nel mezzo della crisi, la sta cogliendo al volo in modo molto composto (e inaspettato anche). I giornali inglesi festeggiano questo nuovo corso, i moderati che erano stati marginalizzati durante gli anni corbyniani riprendono i loro spazi. David Miliband, eterno aspirante leader laburista, ha detto che ora è tornato a sentirsi fiero del Labour, mentre il magazine The New European sposta le aspettative ancora più in là: vuoi vedere che usciamo da questa crisi che siamo tornati a essere capaci di avere e di fare un’opposizione intelligente al governo?

 

In America il “moving left” è uguale: il candidato alle presidenziali dei democratici, l’ex vicepresidente Joe Biden, sta lavorando a un programma molto più di sinistra rispetto alle attese pre pandemia, ma lo scivolamento non è soltanto un affare interno al suo partito: i repubblicani al Congresso hanno sostenuto uno stimolo di duemila miliardi di dollari. Lo scivolamento non è una cosa recente: il fatto che il Labour inglese sia stato guidato dal 2015 fino a un mese fa da Jeremy Corbyn e che la sfida tra i democratici americani sia stata lanciata e sostenuta da Bernie Sanders nel 2016 e ancora nel 2020 dimostra che la tendenza esiste da tempo. Tutte le rilevazioni mostrano un baricentro nuovo già da tempo, ma prima c’era una faglia dolorosa e invalicabile tra moderati e radicali, mentre adesso si sta tentando una sintesi. Il cambiamento sta tutto qui: nel riunirsi, dopo tanta lontananza, un pochino più a sinistra.

 

Chi saprà cogliere questa occasione? I più radicali ci stanno provando, perché sono convinti di aver vinto la sfida interna, come dimostrano le tante esternazioni di Thomas Piketty, uno degli economisti cari a questa fazione. Ma potrebbe esserci un fraintendimento su questo “moving left show”. Su FiveThirtyEight, il sito di analisi e sondaggi americani di Nate Silver, ha pubblicato un articolo molto utile dal titolo: quanto a sinistra si sposterà Joe Biden? La situazione del candidato democratico è particolare visto che lì si vota a novembre e c’è Donald Trump come rivale, il più atipico dei fenomeni politici del momento, ma alcuni elementi dell’analisi possono essere applicati anche altrove. Il primo riguarda la coperta troppo corta: per cogliere il momento rivoluzionario e trasformarlo in consenso è necessario ricostruire una grande casa – la blairiana “big tent” – che ospiti moderati e radicali. Al momento lo scontro è ancora troppo vivo e l’istinto è: se c’è lui, non ci sono io. Il secondo elemento è quello della provvisorietà: il fervore interventista degli stati è legato alla crisi, alla necessità di dare una risposta rapida e consistente all’emergenza. Il “moving left” esisteva, ma l’accelerazione è stata imposta dall’urgenza: è plausibile immaginare che la sintesi duratura non si troverà troppo a sinistra. Quando il New Statesman chiede: siamo di fronte a una grande svolta a sinistra?, la risposta è sì, ma non dev’essere un caso che Labour e democratici abbiano scelto leader della “soft left”: scivolare è bello se c’è qualcuno che alla fine ti raccoglie, e ti rimette in piedi.

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