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La Germania e l’Ue

Il mercato interno va “riequilibrato”, ci dice la commissaria Ferreira

David Carretta

La responsabile per la Coesione spiega che gli aiuti di stato tedeschi hanno creato “uno squilibrio grave”. Il piano per la convergenza. “Rilanciare la capacità di comprare”

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Bruxelles. Il Recovery fund da 500 miliardi proposto da Germania e Francia rappresenta un investimento senza precedenti da parte di Angela Merkel per salvare il mercato interno dell’Unione europea e la zona euro. Per la prima volta, e contrariamente a quanto accaduto durante la crisi del debito sovrano, il governo tedesco accetta il principio di un’unione dei trasferimenti per finanziare la ripresa nei paesi più colpiti, caricandosi buona parte dei costi del debito comune. La sentenza della Corte costituzionale tedesca contro il Quantitative easing della Bce potrebbe aver spinto Merkel verso questa direzione. Più probabilmente, all’origine della svolta c’è un calcolo politico e economico basilare. I 1.000 miliardi di aiuti di stato che la Germania ha messo a disposizione delle sue imprese per reggere all’impatto del Covid-19 stanno creando “un disequilibrio molto grave” dentro all’Ue, spiega al Foglio Elisa Ferreira, commissaria europea per la Coesione: “Se non siamo in grado di organizzare stimoli che aiutino la convergenza” tra gli stati membri, la Germania potrebbe ritrovarsi senza clienti cui vendere merci e servizi (un’ipotesi economicamente insostenibile), e le imprese degli altri paesi rischiano di farsi fagocitare da quelle tedesche (uno scenario politicamente intollerabile).

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Bruxelles. Il Recovery fund da 500 miliardi proposto da Germania e Francia rappresenta un investimento senza precedenti da parte di Angela Merkel per salvare il mercato interno dell’Unione europea e la zona euro. Per la prima volta, e contrariamente a quanto accaduto durante la crisi del debito sovrano, il governo tedesco accetta il principio di un’unione dei trasferimenti per finanziare la ripresa nei paesi più colpiti, caricandosi buona parte dei costi del debito comune. La sentenza della Corte costituzionale tedesca contro il Quantitative easing della Bce potrebbe aver spinto Merkel verso questa direzione. Più probabilmente, all’origine della svolta c’è un calcolo politico e economico basilare. I 1.000 miliardi di aiuti di stato che la Germania ha messo a disposizione delle sue imprese per reggere all’impatto del Covid-19 stanno creando “un disequilibrio molto grave” dentro all’Ue, spiega al Foglio Elisa Ferreira, commissaria europea per la Coesione: “Se non siamo in grado di organizzare stimoli che aiutino la convergenza” tra gli stati membri, la Germania potrebbe ritrovarsi senza clienti cui vendere merci e servizi (un’ipotesi economicamente insostenibile), e le imprese degli altri paesi rischiano di farsi fagocitare da quelle tedesche (uno scenario politicamente intollerabile).

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La Commissione europea ha decretato il “liberi tutti” sugli aiuti di stato per permettere ai governi di tenere in vita le loro imprese durante il lockdown. Complessivamente, gli stati membri hanno notificato aiuti per 1.950 miliardi di euro tra garanzie, prestiti, compensazioni e iniezioni di capitale. Ma non tutti hanno lo stesso margine di bilancio. La Germania, che è entrata nella crisi con un debito pubblico al 60 per cento del pil, è in cima alla classifica degli aiuti di stato con il 51 per cento del totale a livello Ue. Francia e Italia seguono molto indietro, con il 17 e il 15,5 per cento. Il totale degli aiuti tedeschi “è equivalente al pil di 16 stati membri. E’ una somma imponente”, spiega Ferreira. Risultato: “Le imprese tedesche che competono sul mercato interno sono in vantaggio rispetto a tutte le altre”. In un mercato aperto come l’Ue, in cui le compagnie aeree o i fornitori di componentistica per automobili competono tra loro, questa montagna di aiuti di stato concentrati in un solo paese crea “una situazione molto critica che dobbiamo riequilibrare”. Tanto più che in questo momento “non si può chiedere ai paesi più deboli di andare sui mercati e indebitarsi” per fare come la Germania. Al centro dell’agenda per la ripresa – secondo Ferreira – deve esserci la necessità di “restaurare le parità di condizioni nel mercato interno per evitare uno squilibrio totale, in cui alcune imprese possono prendersi tutto il mercato o comprare le altre imprese perché diventano acquistabili da tutti o perché vanno in bancarotta”.

 

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Portoghese e socialista, Ferreira ricorda la precedente crisi. “Abbiamo visto come Grecia, Portogallo e Cipro, che sono paesi marginali, hanno scosso le fondamenta della zona euro”, dice la commissaria: “Provate a immaginare una recessione prolungata in Italia e Spagna. Sarebbe devastante per tutta l’area euro”. Con gravi conseguenze per la Germania e i paesi nordici. Metà delle esportazioni dei paesi frugali va nel mercato interno, ricorda Ferreira: “Non puoi chiedere ai paesi più poveri di continuare a comprare, perché non avranno più soldi per pagare”. Il Recovery fund (la Commissione formalizzerà la proposta il 27 maggio) deve servire a “rilanciare la capacità di comprare”. Per Berlino è un investimento come il piano Marshall. “Non fu carità”, dice Ferreira: “Gli Stati Uniti avevano capito che c’era un grande mercato da ricostruire e che loro potevano essere i principali fornitori”.

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