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Caccia a Zemmour

Giulio Meotti

“Viva l’islam, viva Allah”. E il giornalista francese viene nuovamente aggredito per strada

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Roma. La prima minaccia di morte a Éric Zemmour risale al 7 giugno 2012, quando una lettera arrivò alla radio Rtl, il suo datore di lavoro, in rue Bayard nell’ottavo arrondissement di Parigi. Zemmour è chiamato “SS in libertà” e gli autori annunciano di voler attaccare fisicamente il giornalista e la sua famiglia. L’ultima minaccia, due settimane fa, ha spinto anche il presidente francese Emmanuel Macron a esprimergli solidarietà. “Parigi. Francia 2020. Questa donna inveisce contro Zemmour nel nome di ‘Viva l’islam!’. E’ ridicolo, non lo accetto. Mi rifiuto di abituarmi”, ha reagito l’avvocato Gilles-William Goldnadel in un video. Il polemista del Figaro, antimmigrazione e antisistema, il più critico dell’integrazione e delle banlieue, camminava per strada a Parigi senza scorta (gli è stata tolta mesi fa) quando una donna gli si è avvicinata gridando “Éric Zemmour! Lunga vita all’islam! Lunga vita ad Allah! Lunga vita a Maometto!”. E’ il secondo episodio in due settimane. Il 1° maggio, Zemmour era stato aggredito e insultato sempre a Parigi mentre faceva la spesa. “Figlio di puttana! Fanculo a tua madre!”, gli urlano. Il video, diventato virale, aveva causato tumulti sui social e un’ondata di indignazione da parte dei politici di tutte le parti. Nel novembre scorso, Zemmour era stato chiamato “bastardo sionista” da una fiche S, un sospettato di terrorismo, di fronte alla sede di Cnews durante una dimostrazione. Una manifestazione chiamata “Stop Zemmour” era stata indetta davanti all’emittente che ha arruolato il polemista di destra. Il co-fondatore del Coordinamento contro il razzismo e l’islamofobia, Abedelaziz Chaambi, prende la parola dal palco e chiama Zemmour “bastardo sionista”, “virus” e “bestia disgustosa”.

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Roma. La prima minaccia di morte a Éric Zemmour risale al 7 giugno 2012, quando una lettera arrivò alla radio Rtl, il suo datore di lavoro, in rue Bayard nell’ottavo arrondissement di Parigi. Zemmour è chiamato “SS in libertà” e gli autori annunciano di voler attaccare fisicamente il giornalista e la sua famiglia. L’ultima minaccia, due settimane fa, ha spinto anche il presidente francese Emmanuel Macron a esprimergli solidarietà. “Parigi. Francia 2020. Questa donna inveisce contro Zemmour nel nome di ‘Viva l’islam!’. E’ ridicolo, non lo accetto. Mi rifiuto di abituarmi”, ha reagito l’avvocato Gilles-William Goldnadel in un video. Il polemista del Figaro, antimmigrazione e antisistema, il più critico dell’integrazione e delle banlieue, camminava per strada a Parigi senza scorta (gli è stata tolta mesi fa) quando una donna gli si è avvicinata gridando “Éric Zemmour! Lunga vita all’islam! Lunga vita ad Allah! Lunga vita a Maometto!”. E’ il secondo episodio in due settimane. Il 1° maggio, Zemmour era stato aggredito e insultato sempre a Parigi mentre faceva la spesa. “Figlio di puttana! Fanculo a tua madre!”, gli urlano. Il video, diventato virale, aveva causato tumulti sui social e un’ondata di indignazione da parte dei politici di tutte le parti. Nel novembre scorso, Zemmour era stato chiamato “bastardo sionista” da una fiche S, un sospettato di terrorismo, di fronte alla sede di Cnews durante una dimostrazione. Una manifestazione chiamata “Stop Zemmour” era stata indetta davanti all’emittente che ha arruolato il polemista di destra. Il co-fondatore del Coordinamento contro il razzismo e l’islamofobia, Abedelaziz Chaambi, prende la parola dal palco e chiama Zemmour “bastardo sionista”, “virus” e “bestia disgustosa”.

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“Ha un bersaglio nella schiena”

 

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Qualche giorno dopo, durante la grande “marcia contro l’islamofobia” a Place de la République, un oratore dal palco arringa così la folla: “Se non ti piace Zemmour batti le mani!”. Il giornalista finora è sfuggito al peggio. Ma fino a quando? “Se questa storia potesse aprire gli occhi a tutti coloro che, disumanizzando i propri avversari, hanno appeso dei bersagli dietro la loro schiena”, ha scritto sul Figaro Céline Pina. E Zemmour non è certo il solo. Un anno fa, il filosofo ebreo Alain Finkielkraut era stato minacciato di morte e apostrofato da un islamista salafita durante una manifestazione dei gilet gialli. Lo stesso Finkielkraut avrebbe poi confessato: “Ho paura a girare per strada”.

 

L’autore dell’aggressione a Zemmour, Mehdi K., si fa chiamare “haram”, proibito. Originario di Orleans, ha detto all’Express di essere “manager di un rapper” e dice di aver incontrato “per caso” quel giorno Zemmour. Uscendo dal commissariato di polizia, l’uomo ha pubblicato su Snapchat la prima pagina di una vecchia copia di France Soir, dal titolo: “Nemico pubblico numero uno”. Come se Zemmour, la cui trasmissione è già boicottata da alcuni grandi gruppi industriali e che è stato già trascinato più volte in tribunale, fosse il nemico numero uno della banlieue francese. I rapper lo odiano. E Youssoupha declama: “Chi zittirà questo stupido Zemmour”?

 

L’amico del giornalista Eric Naulleau è preoccupato: “Un giorno, ci sarà un dramma”. Anche il padre di Zemmour ci pensa: “Lo uccideranno”. Emilio Lussu avrebbe scritto che con queste parole (sionista bastardo, razzista islamofobo) “le pistole sparano da sole”.

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