C'è davvero stato un tentato golpe in Venezuela?

Maurizio Stefanini

Otto persone armate sono state catturate domenica mentre stavano cercando di sbarcare armati sulla costa venezuelana. Quello che non torna della presunta “Operazione Gedeón”

“Operazione Gedeón” è stata definita da alcuni gruppi di militari venezuelani ribelli che domenica la hanno rivendicata via Twitter: richiamo a  Óscar Pérez, l’ispettore di polizia ribelle ucciso il 15 gennaio 2018. “Macutazo” la hanno chiamata sui giornali, dalla località di Macuto da dove un commando di ribelli avrebbe tentato l’invasione del paese. Il governo di Maduro parla di “Baia dei Porci venezulana”,  paragonando i “mercenari” catturati a quelli che tentarono invano di abbattere il regime di Fidel Castro. Per Guaidó è una “olla”: una marchiana montatura, per distrarre da cose ben più gravi che stanno accadendo.

  

I fatti: otto persone armate sono state catturate domenica mentre stavano cercando di attraccare a riva. Secondo il regime dovevano incontrare le “forze popolari”, lì composte prevalentemente da pescatori. L’arsenale sequestrato al commando consisterebbe in 10 fucili, una pistola e due mitragliatrici. Ci sarebbe poi stato anche un secondo tentativo di sbarco. La cifra totale dei catturati è aumentata a 16, e si parla anche di otto morti.

 

Secondo vari analisti, la rotta di invasione era particolamente eccentrica rispetto a quelle per cui storicamente sono passate imprese del genere, ossia l’Amazzonia, la pianura dei Llanos o il Delta dell’Orinoco. Eccentrica perché quella zona è intensamente popolata e c’è una importante base navale vicino.

 

Tra i prigionieri c’è però Josnars Adolfo Baduel, alias Simón: figlio del generale Raúl Isaías Baduel che aveva contribuito a riportare al potere Chávez nel 2002 ed era stato nominato dal dittatore comandante dell’esercito e ministro della Difesa, prima di cadere in disgrazia ed essere arrestato nel 2009. Con Simón c'erano anche due cittadini statunitensi, Luke Alexander Denman e Airan Berry, reduci di Iraq e in Afghanistan.

 

In rete gira un video di rivendicazione con la Guardia Nazionale venezuelana Javier Nieto Quintero e l’ex-Berretto Verde americano Jordan Goudreau.

  

 

Quest'ultimo è un personaggio controverso, che nei giorni scorsi ha detto al Washington Post e a Reuters di essere a conoscenza di 60 combattenti infiltrati via terra e via mare, e di scontri a fuoco a Caracas.

 

Per Maduro tutto ciò è parte di un piano che si chiama Silvercorp, a cui parteciperebbero Trump, la Dea, il presidente colombiano Duque, Guaidó e la società di sicurezza di Goudreau.

 

Tra i caduti c’è il capitano dell’esercito Robert Colina, che secondo il governo di Caracas era agli ordini di Clíver Alcalá, ex generale venezuelano che dopo aver partecipato al golpe di Chávez ed essere stato un pezzo grosso del regime nel 2011 fu accusato dagli Stati Uniti di narcotraffico e che dal 2013 è passato all’opposizione, prima di consegnarsi lo scorso marzo agli americani. In molti però lo accusano di essere un agente provocatore infiltrato da Maduro.

 

Goudreau ha parlato di un contratto che Guaidó avrebbe firmato con lui, senza pagare. Lo ha fatto al programma tv di Patricia Poleo, famosa giornalista venezuelana, ora in Florida, che più volte ha accusato Guaidó di essersi accordato con Maduro sotto banco. La firma di un contratto con Goudreau è stata energicamente smentita da Guaidó, di cui Maduro minaccia comunque l’incriminazione, anche perché l'esistenza del contratto con Goudreau sarebbe stata confermata da Juan José Rendón, uno dei consulenti del leader dell'opposizione, chiarendo però che Guaidó non era a conoscenza né dell'incontro, né dell'accordo.  

 

“Certamente ci sono militari patrioti disposti a lottare per il Venezuela”, ha commentato Guaidó, “ma è evidente che quello che è accaduto è una nuova montatura”. Si tratterebbe dunque di gente in buona fede condotta da infiltrati in una provocazione voluta dal regime per distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica su alcuni fatti che stanno mandando il paese nel caos. Ossia sulla penuria di cibo e benzina; sul un massacro di 47 detenuti insorti per mancanza di cibo nel carcere di Portuguesa; su di un sanguinoso regolamento di conti tra bande rivali che si sta trascinando da giorni nel sobborgo di Petare; sulle denunce dell’Assemblea Nazionale del tentativo di svendere all’Iran una raffineria; sul contrabbando di oro delle riserve della Banca Centrale.

 

“Il paese è già invaso” ricorda al Foglio Mariela Magallanes, deputata esule che rappresenta l’Assemblea Nazionale nel nostro paese. “Ci sono già più di 20.000 cubani che prendono decisioni e che sono i consiglieri di Maduro e del regime. E il nostro territorio è occupato pure da iraniani, Hezbollah e gruppi irregolari colombiani”.

 

“Se gli americani vogliono agire, lo farebbero come a Panama con Noriega o in Iraq con Saddam Hussein”, hanno detto esponenti dell’opposizione. La battuta è stata fatta propria da Mike Pompeo: “Se ci fossimo stati coinvolti noi, sarebbe andata in modo differente”. Pompeo ha comunque assicurato che il governo americano farà il possibile per riportare a casa i cittadini americani catturati.

 

Ma non manca chi vede in Goudreau un profilo terzo. Un rocambolesco cacciatore di taglie che avrebbe provato riscuotere i 15 milioni di quella posta da Trump su Maduro, con un colpo di mano dal sapore hollywoodiano.

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