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Il virus delle banlieue

Micol Flammini

Le proteste nei sobborghi francesi contro il lockdown. Il giornalista attivista contro Macron

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Roma. La scorsa settimana, dopo il discorso con cui il presidente francese Emmanuel Macron annunciava che la Francia sarebbe rimasta chiusa fino all’11 maggio, la situazione nelle banlieue era già molto tesa. Far rispettare le regole del confinement nelle periferie dove la densità abitativa è maggiore e da cui provengono molte di quelle categorie che non si sono fermate durante la crisi sanitaria – badanti, cassieri, postini, netturbini – rappresenta una delle difficoltà maggiori per il governo. Per questo, dopo la decisione dell’Eliseo di prolungare la chiusura e il blocco della nazione, Salima Yenbou, eurodeputata del partito dei Verdi, ha firmato un appello assieme a Yannick Jadot, che dei Verdi francesi è leader, e ad altre personalità politiche per chiedere al presidente di non dividere la Francia in due: quella delle banlieue e il resto del paese. L’appello era nato come risposta alle parole di Laurent Nuñez, segretario di stato per il ministero dell’Interno, che al Canard enchaîné aveva detto che garantire il rispetto del lockdown in alcuni quartieri non era al momento tra le priorità del governo. “I nostri sobborghi – scrivono i politici nell’appello al presidente – meritano gli stessi diritti, la stessa protezione, la stessa Repubblica” e queste parole venivano scritte soltanto una settimana fa quando aumentavano sia la consapevolezza che la Francia era ancora lontana dalla fine della crisi sanitaria sia i numeri sui morti nelle banlieue. L’Istituto nazionale di statistica indica che la progressione del virus nei sobborghi è più elevata – a la Seine-Saint-Denis, fuori Parigi, è al 63 per cento – favorita dalla struttura urbanistica e da una popolazione molto giovane alla quale è complicato far rispettare le regole del confinement. Dalle banlieue sono iniziate le proteste che si sono trasformate in una guerra culturale e hanno tirato fuori il tema che nei mesi scorsi, in cui si parlava molto di pensioni, aveva tormentato ancora di più il rapporto tra il governo e i manifestanti: le violenze della polizia. 

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Roma. La scorsa settimana, dopo il discorso con cui il presidente francese Emmanuel Macron annunciava che la Francia sarebbe rimasta chiusa fino all’11 maggio, la situazione nelle banlieue era già molto tesa. Far rispettare le regole del confinement nelle periferie dove la densità abitativa è maggiore e da cui provengono molte di quelle categorie che non si sono fermate durante la crisi sanitaria – badanti, cassieri, postini, netturbini – rappresenta una delle difficoltà maggiori per il governo. Per questo, dopo la decisione dell’Eliseo di prolungare la chiusura e il blocco della nazione, Salima Yenbou, eurodeputata del partito dei Verdi, ha firmato un appello assieme a Yannick Jadot, che dei Verdi francesi è leader, e ad altre personalità politiche per chiedere al presidente di non dividere la Francia in due: quella delle banlieue e il resto del paese. L’appello era nato come risposta alle parole di Laurent Nuñez, segretario di stato per il ministero dell’Interno, che al Canard enchaîné aveva detto che garantire il rispetto del lockdown in alcuni quartieri non era al momento tra le priorità del governo. “I nostri sobborghi – scrivono i politici nell’appello al presidente – meritano gli stessi diritti, la stessa protezione, la stessa Repubblica” e queste parole venivano scritte soltanto una settimana fa quando aumentavano sia la consapevolezza che la Francia era ancora lontana dalla fine della crisi sanitaria sia i numeri sui morti nelle banlieue. L’Istituto nazionale di statistica indica che la progressione del virus nei sobborghi è più elevata – a la Seine-Saint-Denis, fuori Parigi, è al 63 per cento – favorita dalla struttura urbanistica e da una popolazione molto giovane alla quale è complicato far rispettare le regole del confinement. Dalle banlieue sono iniziate le proteste che si sono trasformate in una guerra culturale e hanno tirato fuori il tema che nei mesi scorsi, in cui si parlava molto di pensioni, aveva tormentato ancora di più il rapporto tra il governo e i manifestanti: le violenze della polizia. 

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Sabato nel sobborgo di Villeneuve-la-Garenne, a nord di Parigi, ci sono stati scontri importanti tra manifestanti e agenti. Nei video si vedono le immagini di fuochi di artificio sparati per le strade, incendi, proteste e scontri generati dalla notizia di un uomo gravemente ferito durante un incidente con un’auto della polizia. Dell’incidente sono circolate varie versioni, la questura all’agenzia Afp ha detto che l’uomo andava velocissimo e si è schiantato contro la portiera dell’automobile aperta inavvertitamente da uno dei poliziotti. Sono molti i video che girano sui social e in tanti si sentono voci che gridano rivolte alla polizia: “Hanno fatto apposta, hanno fatto apposta”. L’uomo è in ospedale, è gravemente ferito alla gamba e la versione che più circola nella banlieue e che ha portato allo scoppio delle proteste nel fine settimana è che si sia trattato di un attacco volontario da parte degli agenti. Sul posto era presente Taha Bouhafs, giornalista freelance franco algerino, che ha raccolto molte testimonianze e dai suoi tweet si possono seguire vari momenti della protesta, le voci che dicono che “era tutto voluto”, lui che mostra le immagini della portiera dell’automobile, i segni della frenata sulla strada e a un certo punto Bouhafs stesso inizia a gridare contro la polizia. Gli agenti lo hanno fermato e poi multato con l’accusa di aver violato le regole del lockdown e anche su questo punto circolano varie versioni. Lui, che spesso si presenta più come attivista che come giornalista, ha detto di essere stato trattenuto con la forza, gli agenti dicono che si è trattato di un fermo in regola, senza violenza. Appena rilasciato Bouhafs ha scritto su Twitter: “Le banlieue si infiammano, la storia si ripete, questa volta l’esplosione non è molto lontana, si sono accumulate troppe ingiustizie”, una chiamata alle armi con tanto di appello ai giornalisti a far bene il loro lavoro: “Come andranno queste rivolte dipenderà molto da come titolerete domani. Non aggiungete rabbia alla rabbia”. A gennaio, quando la Francia da poco uscita dalle proteste dei gilet gialli protestava contro la riforma delle pensioni, Macron venne bloccato a teatro a causa di un blitz di alcuni manifestanti. A chiamarli era stato Bouhafs con un tweet in cui avvisava che il presidente era a vedere il suo stesso spettacolo, “tre file più indietro”, e chiedeva agli attivisti di radunarsi: “Sarà una serata movimentata!”.

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