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Il modello svedese spiegato da tre esperte, con le sue peculiarità e i suoi sbagli

Daria Finocchiaro, Federica Romei e Chiara Ruffa*

Le raccomandazioni e la responsabilità individuale, il distanziamento sociale, la fiducia nelle autorità scientifiche. Che cosa sta davvero accadendo in Svezia e con quali potenziali conseguenze

La Svezia non è in quarantena come il resto d’Europa, ma è falso sostenere che in Svezia non sia stato fatto niente per mitigare i contagi, come suggerito dalle maggiori testate giornalistiche italiane. L’immagine della Svezia che organizza coronaparty per i suoi cittadini per raggiungere l’immunità di gregge e salvare l’economia a spese dei più deboli sembra piuttosto il frutto di gravi errori di traduzione o erronea interpretazione di fatti oggettivi. In che cosa consiste la strategia che sta seguendo la Svezia? Che cosa sta davvero accadendo e con quali potenziali conseguenze? Il bilancio è misto.

  

Da quando l’epidemia è giunta in Europa, anche il paese scandinavo ha cominciato a organizzarsi dal punto di vista sanitario. La Svezia, che nel 2011 figurava  penultima nell’Unione europea in termini di letti in terapia intensiva pro capite, ha tentato di porre rimedio a questo preoccupante primato. Così, in circa un mese, i posti in terapia intensiva sono stati raddoppiati ed è in programma l’apertura a Stoccolma di un grande ospedale da campo. Inoltre per porre rimedio alla mancanza di personale sanitario, si stanno riaddestrando  i medici non rianimatori affinché siano integrati nell’emergenza. A partire dal 10 marzo, la Svezia ha adottato progressive misure volte al contenimento dei contagi, alcune in forma di divieti, altre come raccomandazioni. Per esempio, alcune settimane fa, sono stati vietati gli assembramenti di più di 50 persone e le scuole superiori e le università sono passate a modalità di telelavoro. Sono tuttavia di più le raccomandazioni e gli appelli al senso civico dei cittadini: si chiede agli svedesi di lavorare da casa se ne hanno la possibilità, di autoisolarsi in presenza di sintomi, di limitare i contatti sociali. Gli asili, le scuole elementari e medie rimangono aperte come lo sono i bar e i ristoranti, che però sono tenuti mantenere distanza fisica fra gli avventori.

  

I motivi di tale scelta sono molti e complessi. La Svezia è un paese dove il distanziamento sociale è di matrice culturale, è uno dei paesi al mondo con il maggior numero di persone che abitano da sole e le interazioni tra generazioni sono più limitate che in Italia. Dal punto di vista dei valori, la Svezia concilia un forte senso di responsabilità individuale con uno stato onnipresente nella vita delle persone e un altissimo livello di fiducia nelle istituzioni statali. Il 22 marzo, in un raro discorso alla nazione, il primo ministro Stefan Löfven ha esortato ad affrontare la crisi come “una società dove ognuno si assume la responsabilità di se stesso, degli altri e del nostro paese”. Nel corso di questa pandemia la fiducia nello stato si declina nel totale sostegno verso gli esperti, in particolare verso l’Agenzia di salute pubblica che corrisponde all’Istituto Superiore di Sanità nostrano. In Svezia le agenzie pubbliche come questa godono di particolare autonomia che dà loro voce preminente. La coalizione guidata dai social-democratici di Löfven sta seguendo le sue raccomandazioni, cosa che per esempio non è accaduta in Danimarca dove i politici sono andati contro le indicazioni anti quarantena dei loro esperti. Un sondaggio mostra che il 75 per cento del pubblico svedese sostiene questo approccio all’emergenza; mentre le poche voci contrarie – pur provenienti da esperti – vengono criticate come inappropriate in questo momento di crisi.

 

A ciò si associa un tentativo di identificare scelte sostenibili nel lungo periodo che possano conciliarsi con una risposta efficace. Per esempio, la decisione di non chiudere le scuole è motivata anche dalla necessità di offrire assistenza all’infanzia per coloro che hanno lavori indispensabili durante l’emergenza. Questo diventa particolarmente rilevante in un paese dove l’occupazione femminile è tra le più alte in Europa.

  

Le misure stanno funzionando?

In parte. Sono stati fatti molti errori. Per esempio, la raccomandazione di proteggere i più vulnerabili non è stata adeguatamente implementata. Una conseguenza è che la metà delle case di riposo di Stoccolma è infetta. La scorsa settimana, il primo ministro Löfven ha ammesso di aver sbagliato su questo aspetto, e l’agenzia di salute pubblica ha finalmente introdotto divieti di visita nelle case di riposo. Inoltre, le persone di origine straniera sono state particolarmente colpite, soprattutto le comunità somala e siriana. In parte per le loro limitate possibilità di telelavoro, ma anche perché la comunicazione dell’agenzia di salute pubblica non è stata abbastanza chiara per chi non è avvezzo alle sottigliezze della cultura svedese.

  

I dati sulla risposta degli svedesi alle raccomandazioni del governo forniscono tuttavia un quadro misto ma timidamente incoraggiante. Dati anonimi sulle celle telefoniche mostrano come, in risposta a un invito esplicito al telelavoro rivolto agli abitanti di Stoccolma, si sia registrata una diminuzione del 55 per cento degli spostamenti in centro città. A questi dati si affiancano i primi risultati di un sondaggio appena iniziato dalla Protezione civile in cui il 98 per cento degli intervistati dichiara di aver cambiato il proprio comportamento. In particolare, si scopre che il 60 per cento ha ridotto le proprie attività sociali ed evita posti pubblici affollati mentre solo il 30 per cento ha dichiarato di lavorare maggiormente da casa. Sicuramente la stragrande maggioranza (85 per cento) passa più tempo a lavarsi le mani. Allo stesso tempo, i numeri sulla crescita dei nuovi contagi, le ammissioni alla terapia intensiva e la percentuale di sopravvivenza alla stessa (80 per cento secondo quanto riportato dal Karolinska Institutet) infondono un lieve ma circostanziato ottimismo sul futuro.

   

Non sappiamo se le misure funzioneranno e se le riduzioni dei contatti sociali saranno sufficienti per una diffusione della pandemia lenta e in una certa misura controllata. Ma per il momento il governo sembra chiaramente intenzionato a continuare su questa strada. Misure e politiche devono essere adattate alle peculiarità socio-culturali del paese e la Svezia è un paese talmente particolare da rendere il suo modello difficilmente esportabile. I prossimi giorni saranno cruciali per capire davvero in che direzione si stia orientando la curva. Speriamo non verso un drammatico aumento dei contagi e dei morti.


  

*Daria Finocchiaro (Banca Centrale di Svezia ed Università di Uppsala), Federica Romei (Stockholm School of Economics) e Chiara Ruffa (Università di Uppsala)

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